La Russia e la Cina continuano la loro lunga marcia verso la liberazione dalla dipendenza del dollaro.
La Russia e la Cina continuano la loro lunga marcia verso la liberazione dalla dipendenza del dollaro.
Dipendenza dal dollaro significa di
fatto dipendenza dagli USA, significa subire crisi ricorrenti legate
all’andamento del “biglietto verde” eccetera.
Il dollaro è anche l’arma per eccellenza degli americani, con cui
riescono a sovvenzionare colpi di stato in giro per il mondo, alimentare
un sistema corruttivo su scala planetaria (i politici europei, e non,
non sono sottomessi agli USA per idealismo) e sostenere la prima
macchina bellica mondiale.
Di fatto, gli americani possono stampare dollari a volontà, consapevoli che il dollaro non andrà mai fuori mercato.
Su cosa si fonda questa consapevolezza?
Il dollaro, lo ricordiamo, ha un ruolo
chiave nell’economia mondiale, anche a causa della decisione (ormai
“storica”) dell’OPEC di vendere petrolio solo in cambio di dollari.
In particolar modo, i sauditi sono
legati a doppio filo con gli americani: i primi vendono petrolio in
cambio di dollari (e, a richiesta americana, inondano il mercato, per
tentare di strangolare l’economia russa, come accaduto di recente) e i
secondi, in cambio, li proteggono.
Entrambi poi collaborano contro
obiettivi comuni, vedi la guerra ibrida contro Assad in Siria, che ha
visto l’impiego (fallimentare) da una parte dei terroristi made in
Arabia Saudita (e non solo), e dall’altra i missili, i droni e gli
incursori americani.
Ma ciò non riguarda solo il petrolio, ma
anche altri beni: quando due paesi – con valute differenti – vogliono
commerciare, lo fanno in dollari. Questo vale anche per Paesi
decisamente ostili agli USA.
Cioè, se il Paese A vuole comprare diamanti o uranio dal Paese B, deve
procurarsi dollari con cui pagare. A sua volta, il Paese B, userà i
dollari acquisiti dal Paese A, per comprare armi o know-how dal Paese C, il quale a sua volta lo userà per procurarsi cibo dal Paese D, e così via.
Ovviamente, se nel frattempo il dollaro
crolla, poniano mentre il paese B ha appena venduto i beni al Paese A, e
non ha ancora speso i dollari nel Paese C, il Paese B subirà una
perdita secca di potere d’acquisto. In pratica avrà venduto beni
per 100, ma in mano avrà solo, per esempio, 50.
Se il Paese B è un Paese dall’economia fragile, lo shock potrebbe anche
farlo finire a gambe all’aria, o costringerlo a chiedere un prestito al
FMI, che lo renderebbe completamente schiavo dei suoi creditori.
In pratica, il dollaro ha sostituito
l’oro come valuta di scambio internazionale. Questo ha avuto effetti
devastanti, perché ovviamente ha regalato un potere enorme agli
americani. L’oro è di chi ce l’ha, mentre il dollaro è degli USA, e
quindi subisce gli effetti sia delle scelte politico-economiche
americane, che degli alti e bassi dell’economia americana.
Dato che il dollaro serve a comprare
beni da paesi terzi, in particolare il petrolio, la sua domanda non
cesserà mai, e quindi gli USA possono di fatto stamparne a volontà,
consapevoli che, finché reggerà questo sistema di scambi basati sul
dollaro, quest’ultimo non crollerà mai.
Questo, nonostante da tempo la bilancia
commerciale americana sia deficitaria: cioè gli USA importano molto di
più di quanto non esportino. In teoria questo dovrebbe aver da tempo
fatto scendere il valore del dollaro a quello del marco tedesco della
Repubblica di Weimar, ma così non è.
Il dollaro può flettere, può risalire, e infatti lo fa continuamente, ma non più di tanto.
Da circa tre anni, però, diversi
Paesi stanno abbandonando, in tutto o in parte, il sistema degli scambi
basati sul dollaro. I nomi di tali Paesi li conoscete, perché o gli USA
hanno scatenato contro di loro una rivoluzione colorata, o ci stanno
provando.
Fra questi Paesi, ci sono Russia e Cina, che non solo tra loro hanno
cominciato da almeno un paio di anni, a usare le rispettive valute
nazionali (cioè, la Cina quando compra beni dai russi lo fa in rubli, e i
russi usano lo yuan per comprare dai cinesi) ma hanno cominciato a
coinvolgere altri Paesi, sopratutto quelli latino-americani, nel
commercio de-dollarizzato.
Fra tutti, il Venezuela ha annunciato,
per bocca del presidente Maduro, che venderà petrolio in cambio di un
paniere di altre valute: principalmente lo yuan, ma anche il rublo, lo
yen, la rupia cinese e, in misura minore, l’euro.
In particolare, lo yuan, la valuta
cinese, da alcuni anni è entrato nel paniere delle valute utilizzate dal
FMI per il calcolo dei diritti speciali di prelievo (DSP) insieme a
dollaro, euro, sterlina e yen.
I DSP sono una unità di conto, non
quindi una vera valuta, che consentono alle banche centrali di un Paese,
di acquistare una o più valute di tale paniere. E’ uno strumento nato
per contrastare gli effetti squilibranti prodotti da un’economia dollaro-centrica.
Per il momento, i DSP sono di importanza
marginale, ma l’inserimento dello Yuan (che per l’FMI è la settima
valuta più utilizzata al mondo, al primo posto c’è il dollaro; al
secondo, con un certo distacco, l’euro) ne attesta la crescente
importanza internazionale, impossibile da ottenersi senza che diversi
Paesi ne acquistino ingenti quantità.
Inoltre, è significativo che Paesi non
certo antiamericani come la Svizzera, il Regno Unito e la Germania,
stiano allentando sempre di più le misure protezionistiche ai danni
della Cina.
In particolar modo, la Svizzera ha
firmato degli accordi con la Cina per l’acquisto di yuan, mentre Pechino
da circa tre anni può aprire filiali (invece di semplici succursali)
delle proprie banche in UK e Germania.
La fine del dollaro è imminente? No, ma in compenso l’egemonia globale americana è entrata in una fase di inevitabile declino.
Le recenti sconfitte americane (l’ascesa
di Al Sisi in Egitto, il riavvicinamento di Turchia e Russia, la
vittoria di russi, siriani e iraniani in Siria, le recenti manovre
saudite in direzione di Mosca, eccetera) accentuano la generale
sensazione che il Titanic americano sia lungi dall’essere inaffondabile.
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