venerdì 31 luglio 2015

Eurodittatura e nuova Resistenza

Un sondaggio commissionato dalla CGIL delinea il porto delle nebbie ove si è incagliata la democrazia italiana. Una maggioranza schiacciante della popolazione esprime un giudizio senza appello sulla Unione Europea e sull'Euro. Essi ci hanno danneggiato economicamente e ci impongono regole che distruggono le nostre libertà. L'80% degli intervistati la pensa in questo modo e la vicenda greca ne ha rafforzato le convinzioni. Nello stesso tempo però si è anche rafforzata la maggioranza di chi non vuole cambiare nulla e teme il salto nel buio di ogni rottura con le istituzioni europee e con la moneta unica. Stiamo perdendo e continueremo a perdere sia sul piano delle condizioni di vita che della stessa democrazia, ma non abbiamo alternative alla resa. La rassegnazione alla inevitabilità del peggioramento delle proprie condizioni di vita e di libertà, assieme al timore a reagire, sono il brodo di coltura di ogni operazione autoritaria. Operazione a cui il sistema economico politico che chiamiamo Europa è perfettamente funzionale.
Oramai è evidente che nella Unione Europea un solo parlamento è sovrano, cioè può decidere sulla base dei mandati ricevuti da chi lo ha eletto, ed è ovviamente quello della Germania. Tutte le altre assemblee dei rappresentanti, seppure in diversa misura, sono sottoposte al vincolo della compatibilità delle proprie decisioni con quelle delle istituzioni europee.
Spesso gli europeisti ingenui spiegano che il male dell'Europa sarebbe l'unione monetaria in assenza di una unione politica. È una sciocchezza. L'attuale sistema europeo è prima di tutto un sistema politico ove si prendono decisioni politiche. La scelta di affamare e poi sottomettere la Grecia ad un memorandum devastatore e anche antieconomico, come ricorda l'insospettabile Fondo Monetario Internazionale, è stata squisitamente politica. Il sistema di potere europeo doveva punire il governo che aveva osato contrastarlo e ancora di più il popolo, che con oltre il 60% aveva detto no ai suoi diktat.
Giusto quindi il paragone con il trattato di Versailles, che per ragioni politiche nel 1919 impose alla Germania dei vincoli insostenibili sul piano economico. Non è dunque vero che l'Europa politica non esista e che bisognerebbe costruirla per contrastare lo strapotere dei mercati. L'Europa politica esiste, è quella che ha schiacciato la Grecia e che le ha imposto un governo coloniale. L'Europa politica esiste: è un protettorato della Germania che adotta le politiche di austerità prima di tutto perché esse servono all'interno del paese guida. I salari dei lavoratori tedeschi sono compressi da anni, se c' è un paese dove ingiustizie sociali e corruzione son cresciuti a dismisura questo è proprio la Germania. Le classi dirigenti tedesche han bisogno come il pane dell'austerità, prima di tutto per controllare il proprio popolo e per questo devono poi imporla a tutta l'Europa.
Le istituzioni, i trattati, la gestione concreta del potere europeo sono la costituzionalizzazione delle politiche liberiste di austerità in tutto il continente. La moneta unica a sua volta è il veicolo materiale delle politiche di austerità, non è separabile da esse, come ci ha ricordato il ministro tedesco Schauble.
Ma la moneta unica ha anche una enorme funzione ideologica. Se nel sistema autoritario europeo vediamo delinearsi il più pericoloso attacco alla democrazia dal 1945 ad oggi, nell'ideologia della moneta unica vediamo risorgere i mostri dell'identità razziale.
L'euro è sempre più venduto come una moneta razzista. Chi la possiede o, anche senza possederne, sta in uno stato che l'adotta, vive nella parte giusta del mondo. L'euro è la moneta dei ricchi e austeri popoli del Nord, non vorranno i fannulloni e corrotti meridionali abbandonarla per finire in Africa? Questo il messaggio subliminale della minaccia di Grexit rivolta al governo Tsipras, che di fronte ad essa, invece che raccogliere la sfida, si è arreso.
L'Euro è la moneta dei popoli superiori e quelli inferiori devono perciò meritarla. Come stupirci che di fronte a questo eurorazzismo distillato dalle élites e dai mass media, poi ci siano coloro che fanno i pogrom contro i migranti? Tutto si tiene. Il ricatto contro i popoli, o euro e austerità o l'Africa, finora ha funzionato anche perché le principali correnti politiche di governo se ne sono fatte portatrici. Le grandi famiglie democristiana e socialdemocratica sono al governo in tutta Europa e l'unico governo estraneo ad esse, quello di Syriza, è stato per l'appunto umiliato.
D'altra parte le borghesie nazionali non esistono più, in particolare nei paesi debitori come Italia, Spagna Grecia. I resti dei vertici delle classi imprenditoriali di questi paesi sono oramai parti e appendici del sistema finanziario multinazionale.
Si delinea così la vera Troika che governa l'Europa, che si regge su tre gambe. Quella della Germania, quella delle borghesie europee transnazionali, quella del sistema di potere dei partiti popolare e socialdemocratico. È un potere ed un progetto politico europeo quello che ha massacrato e usato come cavia la Grecia. Un potere che vuol governare l'Europa con austerità e liberismo e per questo è disposto a cancellare molto della democrazia.
Non tutto? Certo sino ad ora, ma come insegna la storia quando si imbocca la via autoritaria non si sa mai dove ci sia il punto di arresto. Un fascismo bianco liberaleggiante e tecnocratico, o uno brutale e apertamente razzista? Nella Germania del 1930 non si poteva prevedere cosa sarebbe successo. Ma i mostri son già tutti in campo e la loro fabbrica sta nell'umiliazione della democrazia contenuta in ogni atto del sistema politico europeo
La vicenda greca ci consegna un lezione chiarissima. Questa Europa non è riformabile, o la si accetta così come è sperando che non esageri in dittatura. Oppure si organizza la resistenza per rompere la moneta unica e tutto il sistema politico UE e ricostruire su nuove basi la democrazia e lo stato sociale. Tertium non datur.
Proprio di questa sua irriformabilità il sistema di potere europeo a trazione tedesca ha finora fatto largo uso per vincere tante battaglie. O mangi sta minestra o salti dalla finestra sta oramai scritto nella bandiera azzurra stellata che sventola nei pubblici edifici. Ma se, come sempre è avvenuto nel passato, fosse proprio l'irriformabilità del potere la causa della sua sconfitta finale? Su questo devono contare le resistenze alla Troika che si stanno organizzando in ogni paese.

giovedì 30 luglio 2015

Renzi travolge la sanità: 10 miliardi di tagli

Il nuovo passo governativo relativo ai tagli passa anche attraverso la sanità, rischiando di travolgerla, ma potrebbe permettere di ricavare dai 10 ai 30, ottimistici, miliardi di €. Il Ministro della Salute stesso, Beatrice Lorenzin, ancora in quota NCD ha presentato il decreto che taglia, de facto, ulteriori 10 miliardi a un reparto in crisi come quello sanitario. Da ogni città e dalle amministrazioni comunali di ogni appartenenza politica si levano puntuali gridi per ottenere un potenziamento o, nel peggiore dei casi, la permanenza di ospedali e ambulatori territoriali, eppure il Governo non ascolta e continua a ritenere esatta la teoria che vede un solo grande presidio ospedialiero per più città e, nei casi più estremi, per più di duecento mila abitanti.
Tutto questo non ferma Renzi e la Lorenzin che continuano a calare la scure chiamandola “efficientamento”. Come quasi ogni manovra politica sembra sia cosa buona e giusta: quante volte i cittadini si lamentano del fatto che la sanità italiana è poco efficiente o addirittura del tutto inefficiente? Quante volte, mettiamoci una mano sulla coscienza, ci si è lamentati a nostra volta perché bisognava attendere secoli e millenii per ottenere una visita magari specialistica passando con la mutua? Chiamando questa manovra “efficientamento” Renzi fa leva sul malcontento popolare che circonda e appesantisce la triste aria rarefatta degli ospedali, ma cosa vede esattamente questo decreto? Per il biennio 2015/17 si prevedono tagli per 2,3 miliardi all’anno che riguarderanno da vicino le visite specialistiche: ritenendo infatti che molte prestazioni specialistiche non siano affatto necessarie, il Governo pubblicherà una lista di visite necessarie per le diverse patologie. Per fare un esempio: a chi soffre di gastrite non verrà fatta passare una visita al dito del piede, per ovvii motivi. Fino a questo punto niente da obiettare; ma se chi soffre di gastrite ha problemi di denti dovuti all’acido del reflusso gastrico? Chissà se il dentista finirà nella lista delle visite necessarie a chi soffre di problemi gastrici.
Il Ministro Lorenzin si difende dalle accuse con queste parole: “Sono perfettamente d’accordo con la road map indicata dal commissario – Yoran Gutgeld, commissario alla revisione alla spesa – Niente tagli lineari, anche perché non c’è più niente da tagliare: c’è invece la possibilità di recuperare risorse grazie a una maggiore efficienza e a una nuova organizzazione. Si calcola una cifra intorno ai 30 miliardi ma se riusciamo a trovarne 10 mi accontento.” Siamo proprio sicuri che non ci sia più nulla da tagliare? Effettivamente tagliare ancora è praticamente impossibile, ma è possibile fare un efficientamento migliore? Sicuramente si. Perché una determinata A.S.L. decide di appaltare la fornitura di siringhe, per dire, ad un costo di “X” quando un’altra A.S.L.per ottenere lo stesso numero di siringhe della stessa qualità e per lo stesso periodo di tempo deve pagare il triplo di quella che ha pagato X? Ciò che scriviamo non è certo la scoperta del secolo: in fin dei conti per quale motivo è saltato fuori lo scandalo della sanità siciliana che rischia di far saltare la poltrona di Crocetta? Nel mondo della sanità il clientelismo, il favoritismo e il nepotismo la fanno da padrone nella maggior parte dei casi e questo fa si che non vi sia un unico appalto per le forniture nonostante molti dei medici per nulla collusi abbiano proposto più di una volta determinata manovra al fine di ridurre gli sprechi colossali presenti nel mondo sanitario.
Tagliare non era possibile, e nemmeno necessario. Era possibile cercare di limitare gli sprechi mandando a casa chi specula da anni sulla sanità italiana. Eppure il Governo Renzi si mantiene incredibilmente coerente: cambiare tutto per non cambiare proprio nulla.

mercoledì 29 luglio 2015

Quanto deve costare la sanità? Quanto serve

Ma quanto deve “costare” la ‪#‎sanità‬? A mio avviso, l’unica risposta intelligente (e carica di giustizia) è: quanto serve, quanto serve per curare al meglio le persone che ne hanno bisogno. Tutte. IdeaImente, non un euro in più, né un euro in meno.
I rapporti ufficiali, invece, ci dicono che circa 10 milioni di italiani non possono curarsi come dovrebbero, perché non se lo possono più permettere. La spesa sanitaria italiana è di poco superiore ai 100 miliardi di euro annui. Troppi? Pochi? Chissà. La “spesa sanitaria” è però il costo per lo Stato, o meglio per la collettività, del “sistema sanitario”, non è quanto viene speso per curare le persone. C’è molto di più in quei 100 miliardi l’anno. Certamente ci sono un uso poco razionale delle risorse e la dannosa “medicina difensiva” a dilapidare danaro pubblico.
C’è però una cosa nella #sanità che costa più di tutto il resto e che viene ostinatamente censurata: il profitto. In tutte le sue forme, nelle strutture pubbliche come in quelle private “convenzionate”, che ormai da noi funzionano esattamente nello stesso modo. Aziende, non più Ospedali. Il profitto stimato nel settore della #sanità si aggira attorno ai 25 miliardi di euro annui. E se si iniziasse a “tagliare” da lì? Con i soldi risparmiati dando vita ad ospedali non-profit, cioè a strutture che abbiano come obiettivo le migliori cure possibili per tutti e non il pareggio di bilancio, si potrebbe ricostruire una vera #sanità pubblica, cioè un servizio totalmente gratuito, di alta qualità…e molto meno costoso.

martedì 28 luglio 2015

Potranno gli Stati Uniti uscire dalla loro ossessione per la guerra?

Avete notato come gli esponenti dell’amministrazione USA sembrano essere capaci ogni momento di parlare costantemente circa la guerra, guerra e sempre guerra? Dall’altra parte la Russia e la maggior parte dei paesi del mondo stanno parlando di associazione, di sviluppo, di integrazione, di progresso, di prosperità e di pace. Cosa si prepara per l’umanità, la pace o la guerra?
I dirigenti nordamericani sono fossilizzati su una apparente routine mentale di ostilità, di sospetti, di inimicizia e di guerra. Guardateli negli occhi. Quello che offrono è un tunnel senza uscita di rassegnazione, senza progresso, senza umanità e soltanto di conflitto permanente.
In contrasto con questo, il presidente russo Vladimir Putin, ed altri leader mondiali, si sforzano per sancire una visione di speranza per l’umanità’, una visione che poggia le sue basi sulla cooperazione, l’associazione e lo sviluppo comune.
Il problema con gli esponenti ufficiali dell’amministrazione USA è’ che seguitano a restare ancorati ad una mentalità’ che fa data a secoli addietro quando presupponeva il diritto o la giustificazione per schiavizzare milioni di persone e sterminare le popolazioni originarie nelle loro terre. Nell’attualità alcuni Stati nordamericani potrebbero stare ammainando la bandiera confederata come simbolo di razzismo genocida, ma in altre parti, se ascoltiamo i dirigenti americani, vedremo che la stessa mentalità’ genocida e di pretesa supremazia prevale, incluso quando è’ articolata da parte di un presidente afroamericano.
Nei giorni scorsi abbiamo visto un esempio disgustoso di quanto sia ritardata e nichilista la visione ufficiale degli esponenti dell’amministrazione USA. Davanti al Senato nordamericano è comparso il presunto prossimo comandante di Stato Maggiore unificato, Joseph Dunford, fornendo testimonianza previa alla sua nomina ufficiale.
Il capo dello Stato Maggiore integrato è il più alto livello delle forze armate degli Stati Uniti che consiglia il presidente ed il Consiglio Nazinale della Sicurezza circa tutti gli aspetti della guerra e molto poco circa la pace. Nell’ascoltare la visione mondiale di Dunford, una persona di senso comune potrebbe pensare che gli USA si trovino sotto una minaccia incombente che provenga da ogni angolo del pianeta. Una minaccia, insicurezza, pericoli. timori, nemici, morte, distruzione, ecc. ecc. La visione globale ed ufficiale degli Stati Uniti è quella di un interminabile incubo dove perversi spettri e demoni stranieri stiano in agguato.
Alla testa di una lista di nemici fatta da Dunford troviamo la Russia, la quale, secondo lui, rappresenta la minaccia più grande alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti, aggiungendo che – per quanto senza dimostrarlo- che “il comportamento della Russia è quanto meno allarmante”.
Il comandante in capo del corpo dei marines ha detto ai senatori che “se voi volete parlare di una nazione che potrebbe rappresentare una minaccia esistenziale contro gli USA, io segnalerei la Russia”.
Dunford ha inquadrato la sua premonitoria valutazione su documenti allegati ed infondati circa il coinvolgimento russo nella guerra civile dell’Ucraina ed ha denunciato una aggressione straniera senza fornire alcuna prova di intelligence o evidenza, allo stesso modo di come sono stati a ripetere le medesime accuse un numero indefinito di dirigenti nordamericani che hanno ripetuto queste accuse nel corso dell’anno trascorso. (Naturalmente nessuno ha nominato il golpe in Ucraina promosso dagli USA e tanto meno il regime neo nazista patrocinato dagli Stati Uniti che sta facendo la guerra contro i suoi compatrioti dell’est).
Per dimostrare che le opinioni di Dunford non costituiscono una eccezione male informata, dobbiamo soltanto ricordare l’ultimo documento di Strategia Nazionale Militare degli Stati Uniti pubblicato la settimana scorsa, in cui una identica visione di minacce, di nemici e di altre forze oscure fu anche allora pubblicata. Questo documento rappresenta la posizione ufficiale degli Stati Uniti e la loro visione globale, Una volta di più, la Russia è stata nominata come la minaccia alla sicurezza assieme alla Cina ed all’Iran.
Adesso bene, mettiamo in contrasto questa mentalità nordamericana con quella di altre nazioni e dirigenti mondiali. Mentre Dunford avvisava circa i nemici esistenti davanti al Congresso, dall’altra parte del mondo, i leaders dell’America Latina, dell’Africa e dell’Asia erano riuniti nella città di Ufa in Russia per assistere alle conferenze congiunte dei BRICS (Brsile, Russia, India, Cina e Sud Africa) della SCO (Shangai Coperation Organization) e della EEU (Eurasian Economic Union). Dirigendosi alla sessione plenaria, il presidente russo, Vladimir Putin, ha dato il benvenuto ai leaders ed ai delegati di decine di paesi. Putin ha esortato tutte le nazioni associate a costruire un mondi sulla base di una “associazione giusta”, di “mutuo rispetto”e di “sviluppo sostenibile”.
Allo stesso modo, dirigendosi ai delegati, il presidente cinese, Xi Jinping, ha fatto sua la visione di Putin circa un mondo multilaterale ed interdipendente sulla base di una “associazione in profondità”. Il leader cinese ha segnalato che “il mondo necessita di abbandonare la mentalità della Guerra Fredda e dei giochi di somma zero con l’oggetto di salvaguardare in forma congiunta la pace e la stabilità regionale ed internazionale”. Ha indicato che non si deve considerare accettabile che alcuni paesi proferiscano minacce e sanzioni contro altri. Una simile attitudine bellicosa, ha aggiunto Xi Jimping, è risultata controproducente ed in realtà aumenta le tensioni, l’insicurezza ed il conflitto. Il leader cinese non ha menzionato direttamente il nome di questi paesi ma tutti sapiamo a quale paese si riferiva: gli Stati Uniti.
Tuttavia, in modo simile a Putin, il tema centrale di Jimping è stato positivo e denso di speranza per l’umanità, un tema che ha insistito nello”sviluppo comune”, nella “associazione economica” e nella” condivisione di interessi comuni”.
La crescente associazione economica e di sicurezza dei BRICS e della SCO e della EEU, dimostra che la visione di associazione che questi leaders promuovono non è meramente vuota retorica che punta a generare titoli di stampa per sentirsi bene. Nessuno pretende che questi paesi siano un bastione di perfezione ed armonia. Si necessita di molto sviluppo in ogni livello. Tuttavia la premessa di base dello sviluppo comune ed il bene comune si trova lì, ed anche la relazione di armonia e di cooperazione fraterna, di fiducia e pace per tutti.
La nostra opinione qui è che la riunione in Russia dimostra che l’umanità ha cambiato la sua aperta coscienza separandosi dalle strette rivalità scioviniste verso un altra di interdipendenza e cooperazione. Non si tratta solo di retorica e di aspirazioni ma di una pratica concreta. Tutti i paesi che hanno assistito ai vertici in Russia hanno sofferto le conseguenze di guerre in altri momenti del passato e nessuno come la Russia che ha perso quasi trenta milioni di persone durante la II Guerra Mondiale. (……………..)
Una simile visione di sviluppo e di pace, manifestatasi nel corso delle riunioni in Russia, risulta attuabile e di fatto lo si sta dimostrando attraverso le nuove relazioni internazionali che si stanno forgiando attraverso i BRICS , la SCOe la EEU per il miglioramento delle rispettive popolazioni – che collettivamente costituiscono la maggioranza della popolazione del mondo.
Quale contrasto appare tra Putin, Jinping e molti altri leaders mondiali con le teste pensanti degli Stati Uniti!
Il presidente nordamericano, Barack Obama, è propenso a cospargere la sua retorica con ogni tipo di eufemismo e una florida prosa, ma nel fondo tuttavia parla come la maggior parte dei funzionari di Washington circa un mondo di minacce, di pericoli, di nemici per i quali gli Stati Uniti devono stare in eterno, in modo unilaterale, supremamente poderoso per lanciare guerre quando vogliono e dove vogliono, quando sia un loro desiderio.
Alla fine gli USA non offrono niente altro al mondo ad eccezione di paura, insicurezza e guerra. Gli Stati Uniti sono l’incarnazione della negativa utopia orwelliana, dove la pace e la fratellanza sono cose da essere considerate con disprezzo, incluso denigrate come un qualche cosa di stupidamente ingenuo.
Per quale motivo gli USA non possono evolvere assieme al resto dell’umanità ed abbracciare il mondo come un luogo bello e generosamente abbondante dove tutti possiamo vivere assieme in pace ed in cooperazione?
Prima che si cerchi di dare una risposta a quanto scritto in precedenza, la domanda dovrebbe essere un tanto analizzata. Perchè l’atteggiamento ufficiale nordamericano risulta così pieno di aggressività e timori, guerre e distruzione? Perchè le reazioni internazionali si sono sempre presentate in condizioni di demonizzare e degradare gli altri? Cosa ci sarebbe di evasivo nella cooperazione, il comune senso dell’umanità e la pace?
Gli Stati Uniti non si sono mai assunti la responsabilità della loro origini sul genocidio (dei nativi) o delle guerre di genocidio che hanno portato a termine nella maggior parte dei loro 250 anni di storia come nazione. I loro crimini sono stati coperti di menzogne e negazioni. Gli Stati Uniti non hanno mai preso coscienza del fatto che la loro economia capitalista, perchè possa funzionare, richiede la loro egemonia e lo sfruttamento delle risorse in forma imperialista. La loro impostazione verso gli schiavi e lo sterminio dei nativi nel passato, attualmente viene incarnata attraverso la descrizione del mondo che fa Washington, insidiando assieme nemici disumanizzati che devono essere conquistati, soggiogati e, se necessario, finalmente eliminati.
L’arroganza e l’ignoranza dell’atteggiamento ufficiale nordamericano non ha limiti. Il paese viene diretto da presidenti, esponenti parlamentari, candidati presidenziali e generali che sono al servizio di grandi corporations private e raccontano narrazioni di terrore loro stessi al proprio popolo per giustificare il loro colossale, bellicista e criminale saccheggio del pianeta.
Nonostante questo i dirigenti nordamericani pensano di essere molto liberali e virtuosi. Disgraziatamente molti, troppi cittadini nordamericani comuni, sempre più oppressi, credono al brutto mondo di fantasia che gli è stato inculcato dai loro governanti dell’oligarchia al potere.
La verità è che i leaders nord americani non sono altro che governanti barbari vestiti con abiti di lusso, avrebbero bisogno di evolversi con il resto dell’umanità. Tuttavia l’evoluzione passa attraverso un processo di umiltà, di solidarietà e di ricerca della verità. Nell’ufficialismo nordamericano non esiste una simile dialettica. Esiste soltanto un canale senza uscita di morte di strage e di paura, guerra e paura.
Se non è possibile una evoluzione negli Stati Uniti, allora quello di cui hanno bisogno è di una rivoluzione che permetta all’umanità di progredire e liberarsi della paura e della guerra.

lunedì 27 luglio 2015

Il "partito della nazione" prende forma. Tosco-massonica

La politica, in Italia, è dirotta a uno sceneggiato in mano a pessimi scrittori di battute. Gente che non regge la distanza superiore a uno sketch. Fa sorridere, qualche volta; incazzare, sempre; pensare, mai.
Due sottoscene si vanno sviluppando contemporaneamente, sulla destra e sulla presunta sinistra del Pd, per arrivare alla stessa conclusione: “il partito della nazione”.
A destra lo strappo sembra clamoroso solo a chi crede che ci siano “parti” differenti e non solo varianti dello stesso copione. Denis Verdini, grande cucitore di Forza Italia fin dalle origini, massone toscano con una lunga serie di inchieste sul groppone (su tutte spicca il rinvio a giudizio per la loggia massonica denominata P3, l'evoluzione post-giudiziaria della più nota P2, insieme a personaggi di spicco come l’ex sottosegretario all'economia Nicola Cosentino, oggi in carcere per camorra e dintorni), ha “rotto” con Berlusconi e si appresta a confluire nel Pd o comunque a fare liste collegate o altri imbrogli a seconda della legge elettorale con cui si andrà alle urne. Probabilmente già l'anno prossimo. Nel frattempo gli garantirà al Senato quella maggioranza che si va logorando giorno dopo giorno.
Il rapporto tra i due è piuttosto antico, tanto che Verdini passa per essere stato il vero “scopritore” del talento recitativo di Matteo Renzi. Merito pare dei rapporti d'affari con il padre, titolare della società di distribuzione - fallita nel 2013 - del giornale che Verdini controllava (il Giornale della Toscana, inserto locale del più noto foglio milanese).
Che oggi il talent scout si riunisca con la sua scoperta non dovrebbe sembrare dunque una gran sorpresa. Del resto, nel rinvio a giudizio per la P3, a Verdini vengono contestati i reati di associazione a delinquere finalizzata a episodi di corruzione, abuso d’ufficio e finanziamento illecito; come corollario strumentale di un'associazione finalizzata a “condizionare gli organi dello Stato”. Più si è vicini a Palazzo Chigi, meglio si condiziona, no?
Sembra molto indicativo il fatto che il loquacissimo guitto di Pontassieve – ieri ha tonitruato contro i sindacati per lo sciopero in Alitalia e la chiusura di Pompei – non abbia trovato il modo di pronunciare verbo su un “apparentamento” che in altri tempi sarebbe suonata come una provocazione. Quindi è tutto vero, specie perché Verdini ha “svelato i suoi piani” dopo una cena con Luca Lotti, altro membro di rilevo del “giglio magico” nominato sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.
La cupola di Firenze, a questo punto della storia, chiude la fase del “marciare divisi, colpire uniti” e apre quella della falange che tutto vuol spianare.
Fin qui tutto normale. Un po' raccapricciante, ma quasi scontato.
I problemi ridicoli vengono come sempre dalla presunta “sinistra”. Gli ex diessini sono in via di espulsione progressiva dal Pd. Civati, Fassina & co. verranno prima o poi raggiunti anche da Bersani, D'Alema e compagnia cantando. In un “partito” ridotto a comitato elettorale di fedelissimi per loro non ci sarà mai più posto. Tantomeno in lista per il Parlamento. È anche facile: per qualcuno si agiterà l'immenso numero di legislature già alle spalle, per altri le critiche rivolte al caro leader, ecc.
Questa lenta cessione di ex nomi forti sta naturalmente eccitando gli animi dei “tessitori di contenitori”, ovvero di tutti quei residui “macinati fini” che possono sperare di restare nel giro delle poltrone istituzionali solo accorpandosi stretti stretti, senza badare più di tanto alle ragioni per cui ci si associa. Stavolta, per di più, ci potrebbe essere anche il supporto della maggioranza Cgil, che Renzi intende spazzare via quanto i dissidenti interni.
In linea teorica, un rassemblement che potrebbe aspirare all'8-10%, forse anche più, se si alzano i toni e c'è qualche scontro sociale importante.
Ma con quali prospettive? Per natura, storia e convinzioni personali, tutti costoro vogliono dar vita a una “sinistra di governo”, che non accontenta di stare all'opposizione come (o con) i grillini. Quindi?
Quindi non resta che l'antica pratica del berciare criticamente contro Renzi in attesa della data elettorale, in vista della quale si farà un listone collegato al Pd per massimizzare le speranze e le poltrone.
La stessa strategia di Verdini sul lato opposto. Per arrivare allo stesso tavolo.
Ma come! In compagnia della P3 e dei cosentiniani? Lo spauracchio Berlusconi non c'è più. Forse quello di Salvini, al momento, non appare altrettanto sostanzioso. Ma vedrete, più si avvicineranno le elezioni, più comincerà il mantra “uniamoci per non far vincere i razzisti della Lega”. Che razzisti certamente sono, e ben intrisi di fascisti, ma non hanno nessuna possibilità di emergere oltre una certa - e minoritaria – soglia.
L'alternativa, per loro, è addirittura tragica: Renzi che li manda tutti a quel paese, rifiuta di prenderli a bordo (magari come parabordo) e li lascia soli a vedersela col quorum. Una condizione in cui soltanto un'idea politica forte e una presenza di massa articolata può consentire, a fatica, l'emersione al di sopra della "linea dei cespugli".
Già completamente dimenticata la regola apparsa prepotentemente con la vicenda greca: chiunque governi un paese farà soltanto quel cha la Troika decide. E null'altro. A meno di non avere un credibile “piano B”, capace di portarti fuori da quella gabbia senza restare completamente dissanguati. Ce li vedete voi Civati e Vendola, oppure Fassina e D'Alema, preparare “piani strategici” per vincere la guerra con la Merkel e Draghi?

sabato 25 luglio 2015

Crisi economica, in aumento i suicidi e i tentati suicidi

Nei primi sei mesi del 2015 sono già 121 le persone che si sono tolte la vita per motivazioni fortemente correlate alla mancanza di lavoro e alla crisi economica . Il dato, rileva la Link Campus University di Roma, è il più tragico dal 2012, anno in cui l'Università ha istituito l'Osservatorio "Suicidi per ‪#‎crisi‬ economica". L'aggiornamento semestrale che emerge dal rapporto è allarmante: quasi il doppio dei suicidi rispetto a 3 anni fa, escalation delle tragedie soprattutto nel Mezzogiorno e nel Nord-Est, aumento dei casi tra gli imprenditori, abbassamento dell'età media, crescita dei tentati suicidi di quasi il 50% rispetto al stesso periodo 2014.
Salgono così complessivamente a 560 i suicidi (e 320 i tentati suicidi) registrati in Italia per motivazioni economiche dall'inizio del 2012 a giugno del 2015. Dopo l'aumento esponenziale del numero di suicidi tra i disoccupati registrato lo scorso anno, ora gli imprenditori "tornano a essere le prime vittime della crisi economica - sottolinea l'Osservatorio diretto dal sociologo Nicola Ferrigni - con 53 suicidi (nel semestre 2014 erano 46)". Quarantatré‚ i casi tra i disoccupati e – cifra triplicata rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso – 19 tra i dipendenti, mentre 3 sono i pensionati. Dei 121 suicidi per motivazioni economiche, 10 sono donne.
Altro dato significativo arriva dall'età, che nel semestre nero considerato si abbassa, con il segmento 35-44enni che rappresenta il 28,9% dei casi (era al 21,7%), mentre i 45-54enni scendono al 26,4%, oltre 10 punti in meno rispetto allo stesso periodo 2014. Anche tra gli under 35 il fenomeno è sensibilmente in crescita, con il 12,4% dei casi che equivale, in termini di incidenza, a quasi il doppio rispetto al 2012.
I primi sei mesi del 2015 registrano "un vertiginoso aumento dei suicidi nel Mezzogiorno e nel Nord-Est", rispettivamente con 37 casi (erano 27 lo scorso anno) e 35 casi (contro i 26 del 2014). Calano di poco gli episodi al Centro (22 contro 23) e in maniera più significativa al Nord-Ovest (20 contro 26) mentre sono quasi dimezzati i casi nelle Isole (7).
Dall'analisi emerge che, dal 2012 a oggi, il numero più elevato di vittime tra imprenditori e titolari d'azienda si riscontra nel Nord-Est con 83 casi (a seguire il Nord-Ovest, 53), mentre nelle regioni meridionali prevale il numero di vittime tra i disoccupati, con 61 casi (segue il Centro con 50).
Nel complesso, dal 2012 a oggi, il maggior numero di suicidi legati alla difficile situazione economica si registra soprattutto nel Nord-Est (146); a seguire il Sud (126), il Centro (120), il Nord-Ovest (108) e le Isole (59).
Tra le regioni, il Veneto è ancora una volta l'area più colpita e con il maggiore incremento: da sola rappresenta in questo primo semestre il 23,1% del totale dei casi (lo scorso anno era al 14,8%), seguita dalla Campania, che supera la Lombardia e raggiunge un'incidenza del 15,7% (4,4 punti in più rispetto al 2014). Veneto e Campania assieme fanno oggi registrare quasi 4 fatti di cronaca su 10. Cresce, nei primi sei mesi del 2015 rispetto al primo semestre del 2014, anche il numero dei suicidi in Calabria (4,1% contro l'1,7%), nel Lazio (5,8% contro il 4,3%), in Puglia (4,1% contro il 3,5%) e nel Piemonte (3,3% contro il 2,6%). Appaiono invece in calo, in riferimento al medesimo arco temporale, i casi di suicidio soprattutto in Lombardia (9,1% contro il 12,2% dello stesso periodo 2014) e in Liguria (4,1% a fronte del 7%).
"Preoccupante" anche il numero dei tentati suicidi: sono infatti già 71 le persone che nei primi sei mesi del 2015 hanno provato a togliersi la vita per motivazioni riconducibili alla crisi economica, tra cui 51 uomini e 20 donne (quadruplicate rispetto all'anno precedente). Il dato segna un 48% in più rispetto al primo semestre 2014, quando i casi furono 48.
Salgono così complessivamente a 320 i tentati suicidi riconducibili a motivazioni economiche registrati dall'inizio del 2012 a giugno del 2015.

giovedì 23 luglio 2015

750 euro al mese per tutti: in Finlandia preparano il “reddito universale”

“Il lavoro deve diventare una scelta di vita e con 1.000 euro al mese si può decidere di condurre un’esistenza modesta ma completamente dedita al tempo libero, alla famiglia, agli amici, al godersi la vita come meglio si crede”. Questo è il fantastico progetto di Juha Sipila, primo ministro della Finlandia.
È noto come i paesi del Nord Europa abbiano un sistema di welfare ai massimi livelli, che protegge e sussiste i residenti. Ma ciò il programma di “Basic Income” – reddito di cittadinanza – che sta mettendo in campo il primo ministro Juha Sipila, in carica dal 29 maggio scorso, è qualcosa di assolutamente rivoluzionario.
“Implement A Basic Income Experiment” (qui il pdf in lingua originale) è il primo esperimento di reddito di cittadinanza universale che vuole portare fino a 1.000 euro per tutti i cittadini, a prescindere dalla loro età o situazione sociale, rendendo di fatto il lavoro una “scelta di vita”.
I DETTAGLI DELLA PROPOSTA
La Finlandia è il paese migliore dove vivere con i bambini
La Finlandia è il paese migliore dove vivere con i bambini
Nonostante manchi ancora l’ufficialità sono trapelati i dettagli della proposta di Sipila, che consiste nel trasformare gradualmente il sistema di welfare in un sistema di reddito minimo. Tutti gli adulti sarebbero retribuiti con reddito di base mensile di € 620, che è il salario indicizzate. In aggiunta a questo reddito base è possibile richiedere una sovvenzione condizionale di € 130 (in casi di disoccupazione, malattia, studio, congedo parentale e assistenza all’infanzia), per un totale di 750 €.
LA FORZA DELLA FINLANDIA
Grazie al petrolio, il Governo di Helsinki ha un Pil pro capite superiore a quello di Germania e Francia e il rapporto tra debito e Pil è del 59,3%, superiore del 20% rispetto a nove anni fa. Parliamo di un paese virtuoso, ricco,dove tutti pagano le tasse e dove burocrazia e macchina amministrativa hanno subito un notevole restyling, fatto anche di tagli al personale. Le riforme, quelle vere, sono state tutte realizzate.
Ecco perché sinistra e destra si trovano d’accordo nel portare avanti il programma di “Basic Income”. Gli scettici lo ritengono una follia, preoccupati come sono di un’esplosione del debito ma il primo ministro Sipila vuole andare avanti a tutti i costi. E fa bene.

mercoledì 22 luglio 2015

LE MANCATE PROMESSE DI RENZI CI SONO COSTATE OLTRE 90 MILIARDI

Novantatrè virgola venticinque miliardi di euro. È il conto salato delle promesse mancate del premier Matteo Renzi. Slide, conferenze stampa, annunci e, talvolta, «incidenti di percorso» – come la sentenza della Consulta sulle pensioni – hanno generato una serie di aspettative il cui mancato compimento ha un risvolto economico molto significativo.
Ovvio che la fetta più grande di questa somma sia costituita dal mancato pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni: sono circa 70 miliardi di euro a fine 2014, come ricordato anche ieri dal Giornale. Si tratta di una montagna di fatture da saldare che è rimasta sostanzialmente immutata perché Stato ed enti locali non sono riusciti a onorare l’impegno, preso direttamente dal presidente del Consiglio, di chiudere con le pendenze al 31 dicembre 2013 entro la fine dell’anno scorso. Sebbene 36 miliardi siano stati pagati, la Pa ha continuato a spendere e il bubbone non si è ridotto.

Al secondo posto della graduatoria figura l’indicizzazione delle pensioni. Il pronunciamento della Corte Costituzionale, in teoria, avrebbe imposto l’adeguamento all’inflazione di tutti i trattamenti pensionistici in essere per gli anni 2012 e 2013 (e, di conseguenza, anche per il 2014 e il 2015). Renzi non aveva promesso nulla, è vero, ma per esigenze di bilancio ha trovato un compromesso che indennizza parzialmente e con un una tantum solo le pensioni comprese tra 3 e 6 volte l’assegno minimo con una spesa di 2,2 miliardi a fronte dei 16,3 miliardi di costo.
Sul gradino più basso del podio c’è la spending review 2014: Matteo Renzi aveva promesso tagli e risparmi, ma dei circa 10 miliardi previsti per l’anno scorso se ne sono realizzati circa 6 miliardi. L’ammanco di 4 miliardi è coperto da maggior deficit. Che significa più debito e più interessi da pagare. La caccia al «fantasma» della crescita economica è costato non poco.
Più contenute in valore assoluto ma non meno imbarazzanti sono le cifre relative alla mancata o parziale realizzazione di impegni assunti contestualmente all’incarico di governo. Ad esempio, la ristrutturazione di alcuni edifici scolastici è stata finanziata per poco più di un miliardo sui 3,5 promessi inizialmente con un ammanco di circa 2,5 miliardi. Il mini-taglio Irap per le imprese è stato cancellato retroattivamente con la legge di Stabilità, imponendo alle aziende di versare 2 miliardi in attesa dei prossimi sgravi. Questi ultimi sono stati finanziati per circa 5 miliardi ma saranno fruibili solo dall’anno prossimo. Chiamarla una poco elegante «partita di giro» non è offensivo nei confronti di Palazzo Chigi.
Molta delusione avrà provocato nel terzo settore il sottofinanziamento del Fondo per le imprese sociali. Renzi aveva promesso 500 milioni, ne sono arrivati solo 50. Mancano quindi ben 450 milioni rispetto a quelle fatidiche slide del 12 marzo 2014. Quota 93,25 miliardi si raggiunge con i 50 milioni di stipendi dei senatori. La riforma costituzionale è ancora in fieri e un po’ di ritardo rispetto alla tabella di marcia. Quel risparmio non sarebbe stato certo realizzato quest’anno né il prossimo, ma va comunque segnalato perché l’impeto riformatore tanto sbandierato all’inizio del mandato non ha trovato finora sufficienti conferme. Anzi, a voler essere «cattivi», si potrebbe imputare a Renzi anche la minor spinta propulsiva causata dalle riforme rimaste al palo. L’Ocse le ha stimate in uno 0,6% di Pil all’anno. Circa 9 miliardi di euro in fumo come le promesse.

martedì 21 luglio 2015

Come Atene ha perso la sua carta

Il collaborazionismo è una operazione indegna che lascia in Francia l’amaro in bocca sia a sinistra che a destra.
Il prezzo politico che l’eurocrazia deve pagare per la sconfitta e l’umiliazione della Grecia di Domenica scorsa, una vendetta politica davanti al primo tentativo di sfida alla politica di austerità, è enorme.
In Germania l’immagine benevolente della Repubblica Federale della Post guerra, se ne andata direttamente allla deriva ed oggi vi sono tensioni nella coalizione di governo. In Atene ci sono forti tensioni interne e la sicurezza che la vendetta politica subita non porta ad una qualsiasi soluzione ma aggrava la situazione economica inclusa la possibilità di un “Grexit” e nuovi aiuti a breve termine.
All’interno della UE ci sono tensioni dovunque; nel Consiglio europeo in molti vanno ad aggiungersi alla posizione negativa britannica nel non voler partecipare a nuovi aiuti.
Nella parte Est dell’Europa, di recente affrancatasi dalla “sovranità limitata” per il dominio di Mosca,si scopre che esiste una “sovranità limitata” per causa dell’euro. Tensioni anche nella BCE che respinge la responsabilità del pasticcio. Tensioni anche nel FMI che è propenso ad una ristrutturazione del debito greco. Che accade con la Francia in questo contesto?
Il presidente Hollande si affretta ad appuntarsi la medaglia dell’accordo con la Grecia. “Non c’è stata umiliazione della Grecia, si è evitato il peggio (il Grexit) ed il merito va alla Francia”.
In effetti soltanto grazie alla Francia si è imposto un accordo indegno, carente di ogni legittimità, visto che si è ottenuto con metodi facinorosi con la saga del ricatto a mezzo le banche chiuse che violano qualsiasi sovranità. Atene dovrà consultare tutto nella sua Assemblea nazionale.
A Berlino, dalla riunificazione, da quando è iniziata la quinta Germania, l’Europa ed il progetto europeo sono pseudonimi di Germania e di strategia nazionale. In Francia questo non è allo stesso modo, al contrario questo progetto dell’Europa tedesca divora l’essenza della democrazia francese: la sovranità nazionale. Questo si percepisce in forma trasversale e sempre di più tanto a destra che a sinistra. Dopo lo spettacolo greco questa preoccupazione è salita di un gradino. Il governo risponde argomentando che sta facendo un lavoro di zappa: “La Francia vuole un’altra linea in Europa dal 2012 e questo proposito guadagna terreno, dice il portavoce socialista alla Camera, Bruno Le Roux.
Un progresso vergognoso se bisogna credere all’unico testimone sul comportamento del ministro delle Finanze francese, Michel Sapin nell’Eurogruppo,il quale emette un tono di voce diverso ma, quando Shauble detta la linea, sempre si piega ed accetta”. Lo dice l’ex ministro Varoufakis nella sua intervista con El New Statesman. E, nonostante questo collaborazionismo fondamentale in nome della stabilità, Hollande non impedisce che si aprano brecce nell’asse franco tedesco e che Berlino avanzi il concetto della “Kerne Europa”, l’Europa Matrix in cui il posto della Francia solo può essere subalterno.
“Tsipras ha perso il suo polso ma non è l’unico responsabile”, lo dice l’analista Romaric Godin. Gli stati europei comne Francia ed Italia hanno preparato la loro strategia di concessioni a Berlino ingannandosi reciprocamente sulla loro possibilità di flessibilizzare la posizione tedesca nel futuro, afferma.
“L’euro non è soltanto una moneta ma anche una particolare politica economica tedesca basata sull’austerità”,spiega Romaric Gosin nel seminario publicato su la Tribune. La minaccia greca di uscire dall’euro , le cui conseguenze non erano chiare, era l’unica carta di Atene per seminare il dubbio nell’avversario. La Domenica gli eurocrati si sono però resi conto che la Grecia aveva più il timore di uscire dall’euro che non l’abbandono del suo programma. Da quel momento si è scoperto il bluff di Atene e questa è rimasta senza alcuno strumento di pressione, spiega questo osservatore che conosce bene il metodo greco ed è stato corrispondente a Francoforte davanti alla BCE.
” Questo l’errore strategico di Tsipras”

lunedì 20 luglio 2015

L’Euro, la ragione delirante

Le diverse rivelazioni circa le condizioni in cui si è arrivati all’accordo, o meglio parlare di un diktat tra la Grecia ed i suoi creditori, illustrano bene quello che uno potrebbe pensare a “botta calda”. Questo accordo è un vero disastro per tutti i sottoscrittori e per la Grecia in primo luogo.
Nella lunga intervista concessa la notte del mercoledì 14 Luglio da Alexis Tsipras nella televisione statale ERT, lo si conferma. Tsipras confessa che questo accordo è un ” cattivo accordo”. L’analisi che ha fatto sul sul suo Blog l’ex ministro delle Finanze Varoufakis procede nella stessa direzione. Inoltre il FMI ha pubblicato una nota dell’analisi che era stata comunicata a tutte le parti implicate dal 6 Luglio e che dimostra in modo irrefutabile che questo accordo non era percorribile. Da allora si rivela un altra faccia del dramma che si è svolto nella notte tra il 12 ed il 13: che tutto questo non serve a nulla .
Bisognerà rapidamente trovare un altro accordo e la possibilità di una espulsione della Grecia dalla zona dell’euro ritorna con forza. Il ministro delle finanze tedesco Schäuble lo ha riconosciuto, così come l’ex governatore della Banca Centrale del Belgio. Questo trasforma i proclami del successo che il nostro Presidente a lanciato a Bruxelles la mattina del 13 (abbiamo salvato l’Europa avevano detto Hollande e Renzi) come frasi particolarmente irrisorie. Lo stesso dicasi per il voto che si è avuto nel Parlamento francese . Si chiede ai deputati di pronunciarsi su un accordo che è di fatto inapplicabile. I deputati del PCF, al principio propensi a votare per il si, per ragioni alimentari, si sono riuniti e dovrebbero votare no. Il dramma qui si sposa con l’assurdo.
L’euro prima della Grecia, l’euro prima che la Francia
Comunque è opportuno leggere nel dettaglio le dichiarazione che Francois Hollande che ha fatto il 13 Luglio nella mattinata: tuttavia per quello bisogna mantenere i cuore ben sano. Vogliamo sottolineare in primo luogo che non si parla della Grecia ma soltanto della zona euro.
Hollande tra i sostenitori
Questo dimostra quali sono le sue priorità: “L’obiettivo era assicurare che la zona euro possa essere preservata nella sua integrità, nella sua unità, nella sua solidarietà”. Si può constatare che le prime parole riservate nella sostanza del testo non menzionano le sofferenze, gli sforzi e le speranze del popolo greco. No quello che è prioritario davanti a tutto è l’integrità della zona euro. Tutto quello che si enuncia su questa linea, in particolare la preferenza per una costruzione burocratica e che molti economisti considerano insostenibile al di sopra della vita e della volontà dei popoli. Questo concetto è corroborato dal terzo paragrafo del testo: “quello che io volevo, più che l’interesse della Grecia, era l’interesse dell’Europa ed anche l’interesse della Francia perchè l’interesse della Francia non si dissocia dall’interesse dell’Europa”.
Quindi l’ordine delle priorità, per Hollande, risulta ben stabilito: prima l’Europa, poi la Francia e finalmente la Grecia. Questa però si basa su di una menzogna o precisamente una doppia menzogna: la menzogna di colui che assimila continuamente l’eurozona all’Unione Europea e che, di seguito , assimila l’Unione Europea all’Europa. Sono menzogne entrambe scandalose. La zona euro non è in alcun modo l’Unione Europea : paesi che appartengono all’Unione europea non fanno parte della zona euro: questo è il caso di Gran Bretagna, Svezia, Polonia o Ungheria. D’altra parte la UE non comprende tutta l’Europa. La Svizzera, Norvegia, Serbia o i Balcani, la Bielorussia, la Russia e l’ Ucraina, questi paesi sono parte dell’Europa geograficamente e culturalmente senza essere parte della UE.
O forse vorrebbero far credere che artisti come Munch, l’autore del grido o scrittori come Dostoievski, Pushkin e Tolstoi non siano europei? Si dimentica che la UE è una alleanza politica ed economica di alcuni paesi europei e voler far passare il concetto che l’Unione Europea sia l’insieme dell’Europa è una flagramte menzogna. Il fatto che questo concetto venga pronunciato dalla più alta autorità dello stato francese, non toglie nulla alla gravità del fatto. Al contrario lo peggiora, stabilisce un dogma, senza che sia una verità e che si rivela una menzogna.
Questa menzogna Hollande la ripete più in basso nel testo, soprattutto quando afferma: “la Grecia è un paese amico che ha voluto entrare nell’Unione Europea dopo anni di dittatura”. Di fatto la data dell’adesione lo dimostra bene, è alla Comunità Europea, cioè a dire il Mercato Comune a cui la Grecia ha aderito dopo la dittatura dei colonnelli. Il paese ellenico non poteva aderire nel 1981 alla UE perchè quest’ultima è nata nel 1992 e l’Atto Unico Europeo dal 1986.
Francois Hollande altera la Storia e non tiene in conto la cronologia . Tuttavia di nuovo c’è una logica nella menzogna: quella di pretendere che la UE, progetto titanico, progetto senza precedenti, esisteva già prima di nascere. Se questa non è cecità ideologica, non sappiamo cosa sia.
Euro über alles
Allora si possono vedere le conseguenze di questa menzogna, Un altra citazione della dichiarazione del presidente Hollande a questo riguardo è molto istruttiva. ” L’obiettivo era che l’Europa posso stare all’altezza della sfida che gli era stata lanciata , essere capace di risolvere una crisi che da vari anni ha minato la zona dell’euro.L’obiettivo era anche quello di dare speranza alla Grecia dopo tanti anni di sofferenza, l’austerità – per quanto in Grecia non sia terminata e che dovrà fare ancora degli sforzi…..”
La menzogna qui si trasforma in patetica. Non solo questo accordo non è stato all’altezza della sfida, semplicemente perchè niente è stato risolto. Questo si vede bene nelle posizioni adottate dal FMI il 14 e 15 di Luglio. Tuttavia oltre a tutto ciò questo accordo non fornisce speranze al popolo greco. Al contrario si vive come una terribile umiliazione le clausole impongono da allora, con l’avallo delle istituzioni politiche europee, sulle leggi che saranno chiamati a votare presso il Parlamento greco. Il quarto paragrafo è anche indicativo circa le pretese del nostro presidente : ” la Francia ha un ruolo speciale svolgere: garantire questa costruzione e questo processo, che si è formato nei giorni successivi alla guerra, possa continuare , sicuramente affrontando altre prove ed altre sfide ma nello stesso tempo, sempre con la volontà di impersonare una forza, quella della zona euro, una zona monetaria che dovrebbe permettere la stabilità e la crescita, non c’è stabilità senza crescita, non c’è crescita senza la stabilità”.
Ricordiamoci della mescola di concetti che certamente non è casuale. Si presenta la zona dell’euro come se questa sia arrivata a continuazione del piano Marshall e della Comunità Economica Europea (Mercato Comune). Questo costituisce un errore flagrante ed una distorsione incredibile della verità storica. Tuttavia l’affermazione con cui conclude questa enunciazione, la combinazione di crescita e stabilità, costituisce una sfacciata menzogna. Questo perchè la zona dell’euro ha determinato la caduta della crescita per i paesi membri dell’euro ed è stata accompagnata da grandi fluttuazioni. Questo è stato descritto in numerosi testi ed in particolare nel libro che io stesso ho scritto nel 2012. Di fatto la zona dell’euro non è mai stata un fattore di stabilità e tanto meno di crescita per i paesi membri.
La ragione delirante di una nuova religione
Tuttavia questa idea dell’euro si è impadronita dello spirito del nostro presidente (Hollande) e sotto l’influenza dei suoi consiglieri. Quando ritorna su questa tematica è per fare questa citazione: “Se la Grecia fosse uscita dalla zona dell’euro che avremmo detto? Che la zona dell’euro non era capace di assicurare la sua integrità e la sua solidarietà. Che avremmo detto ai greci? Che non erano capaci di assumersi le loro responsabilità. Che avrebbero detto della Francia e della Germania che hanno la vocazione per dare questo impulso? Che non saremmo stati nella citazione. La zona dell’euro sarebbe arretrata mentre invece l’Europa deve avanzare e portare un progetto che possa dare protezione ai popoli – come l’euro protegge i paesi che fanno parte della zona monetaria. Cosa avremmo detto di questa slogatura di questa grande idea?”
Di fatto tutto è stato detto. Tanto la credenza mistica di un Euro “protettore” dei popoli come dell’Euro che equivale all’Europa. La ragione, l’intelligenza, il senso della proporzione sono stati cancellati per una idea fissa che si trasforma in un delirio ma sempre mosso dalla stessa logica.
Questa ragione delirante spiega come e perchè hanno potuto travestire in un accordo liberamente negoziato quella che invece è stata una violazione della sovranità della Grecia. Una violazione in gruppo attuata dalla Germania ma anche dall’Eurogruppo e dal suo presidente il Sr. Dijsselbloem, dalla Commissione Europea con Jean C. Juncker. Se la Francia non ha partecipato ha però chiuso la porta della stanza dove si è svolto il crimine ed ha stretto lei il bavaglio sulla gola della vittima. La frase pronunciata e scritta da Francois Hollande assume un tono sinistro: “oggi tuttavia, nonostante sia stato un giorno lungo, credo che sia stata per l’Europa una buona notte ed un buon giorno”.
Perchè adesso sappiamo che questa tortura è stata inflitta in cambio del nulla: l’accordo firmato il 13 Luglio mattina si disfa in ora in ora. La prospettiva dell’uscita della Grecia dalla zona euro è di nuovo all’ordine del giorno. Si può commettere un crimine in politica ma presumere allora che il risultato sia del tutto incerto, non è segno di una grande intelligenza. Questo è in sintesi il prodotto di una cecità profonda, di un fanatismo ideologico, di una ragione delirante che verrà chiamata per essere castigata nelle prossime elezioni.

domenica 19 luglio 2015

Tempo di vacanze o di autodistruzione di massa?

Le città non si svuotano più, ci sarebbero comunque i turisti stranieri a rimpiazzare gli indigeni. Perché, è ormai evidente, solo gli sfigati fanno le vacanze nella propria nazione. Gli australiani vengono in Toscana, i toscani vanno in Australia. O in Giappone per una vacanza radioattiva, o negli USA o in Africa o in Brasile con una capatina magari in Argentina. Più vai lontano da casa tua e più ti senti “arrivato”. Dove? Tra i fortunati che “possono”. Tra quelli che non racconteranno, perché nella maggior parte dei casi non avranno visto né capito nulla del paese dove sono andati e, se racconteranno, diranno stupidaggini presuntuose, supponendo di aver capito tutto in quindici giorni o anche solo una settimana da turisti, tra paccottiglia e foto col cellulare. Ma comunque potranno dire di essere stati “laggiù”.
Laggiù, dove gli altri non vanno ma cercheranno di andare l’anno prossimo.
Intanto le multinazionali mondiali, rimpinguate anche dai soldi dei tanti “turisti”, perforano i mari e frantumano le rocce alla ricerca del petrolio che farà viaggiare aerei e navi da crociera, produrrà cellulari e paccottiglia per turisti.
Per inciso: turista deriva da “tour”, la parola francese che vuol dire “giro”. Quindi, e mi sembra appropriato, “turista” è colui che gira. Magari su sé stesso, come i poveri topolini in gabbia corrono su quelle ruote che dovrebbero servire a farli sentire meno in gabbia.
Il pianeta è ormai diventato una gabbia, anche per colpa dei folli “giratori” che trasformano le vacanze in un’occasione di consumo sfrenato e competizione, contribuendo a trasformare mezzo mondo in un villaggio turistico.
Le vacanze del conumismo-competizione, che ci vengono reclamizzate ogni giorno come appetibili e di massa, ma che riguardano solo la parte ricca del pianeta, sono ormai dei “mezzi di distruzione di massa”, che allegramente contribuiscono alla devastazione planetaria e all’impoverimento e degrado delle popolazioni di contadini, pastori, piccoli pescatori del terzo mondo.
Per irrigare i prati smeraldini dei campi da golf si esauriscono le falde di paesi aridi, dove l’acqua
viene centellinata dalla popolazione come risorsa scarsa e tanto più preziosa.
A Goa, in India, l’acqua usata e sprecata negli hotel sta mancando per gli abitanti, che certamente non la sprecavano.
Nella riserva Shaba del Kenia l’acqua di una sorgente, che abbeverava le greggi dei pastori Samburu, che di quelle greggi vivevano dalla notte dei tempi, è stata deviata per riempire la piscina dell’hotel Sarova Shaba.
Perché noi occidentali amiamo andare in Afria, dove non piove per intere stagioni, ma non amiamo rinunciare alla doccia più che quotidiana e nemmeno alla piscina.
In Nepal il disboscamento procede a sempre più lunghe falcate da quando i turisti occidentali hanno deciso che anche le “aride pietraie” ad altezze vertiginose canno “conquistate”. Si disbosca per fornire di energia elettrica gli alberghi e per costruire alloggi per i turisti.
In Indonesia, in Thailandia, nei Caraibi, nel Mar Rosso alberghi e villaggi turistici buttano in mare le loro fogne distruggendo intere specie acquatiche e barriere coralline.
Poi ci sono le crociere. Già l’esistenza delle navi da crociera, con quello che la loro costruzione e la loro navigazione comporta di energia sprecata e mastodontico inquinamento di ogni tipo è un insulto alla vita e alla terra, sarebbe criminale se la legge fosse anche giustizia.
Ma non lo è. Nelle isole caraibiche, per esempio, alle navi da crociera è permesso buttare tutti i loro rifiuti in mare non appena sono a soli cinque chilometri dalle coste.
Ma, per amor di verità, bisogna dire che ovunque negli oceani le suddette navi, a dodici chilometri dalla costa buttano tutto in acqua. Tranne qualcosa che tengono da parte per quando arrivano in porto, dove devono pagare un tanto a peso per scaricare i rifiuti ma gli tocca farlo: così tutti salvano la faccia, compagnie navali e autorità.
Quello che non si salva è l’oceano, fonte di tutta la vita su questo scarcassato pianeta.
E bisogna sapere che una nave da crociera con tremila passeggeri scarica in acqua mediamente 6000 litri (seimila litri) di liquami (acque luride) al giorno, e circa 30.000 litri al giorno di acque inquinate da detersivi e detergenti.
Davvero una bella vacanza!
Uno di quei grandi aerei di linea che trasportano tre, quattrocento passeggeri, ma solo quando sono belli pieni, consuma da 7.500 a 15.500 litri di carburante all’ora. Questo secondo le compagnie aeree e non so se dobbiamo fidarci di quello che dicono.
Sta di fatto che, anche stando a quello che dicono, l’aereo è il mezzo di trasporto più follemente costoso che esista.
Non ci costa i soldi del biglietto, perché quelli non li paga il passeggero ma lo Stato: le compagnie aeree sono sovvenzionate in molti modi, perché così facendo si sovvenzionano molte altre “compagnie”, in primis quelle petrolifere.
In sintesi: i soldi del biglietto li paghiamo tutti, anche quelli che l’aereo non lo prendono. Li paghiamo con meno pulmini scolastici, meno insegnanti di sostegno, meno presidi sanitari sul territorio, meno spazzini, meno case popolari e più IVA.
Ma non paghiamo solo coi soldi, purtroppo, paghiamo con quel che ci resta da vivere come pianeta.
La vacanza, per essere vacanza, dovrebbe essere una vita diversa. Non “lontana”, non necessariamente costosa. Non consumismo e competizione. Una vita diversa, in un diverso ambiente, con abitudini diverse, un ritmo pacifico, senza doveri o impegni imposti.
Le vacanze industrial-consumistiche hanno distrutto migliaia di luoghi in Italia e nel mondo, luoghi dove andavamo da bambini e dove abbiamo passato le vacanze più belle della nostra vita, luoghi dove altri vivevano immersi nella bellezza. Quei luoghi non ci sono più. Dove le scogliere sorgevano da un mare limpido, i prati di montagna e le foreste si stendevano a perdita d’occhio oggi ci sono case alberghi autostrade porti turistici aereoporti immondizia. Abbiamo portato lo stesso sfacelo qua e là per il mondo, inseguendo la moda, la pubblicità, la voglia di non essere da meno.
I nostri figli e i nostri nipoti quei luoghi li hanno persi per sempre
Ma ci sono ancora migliaia di luoghi, persino nella povera Italia, dove potrebbero ancora fare le vacanze più belle della loro vita. Dipende anche dalle nostre scelte “vacanziere” che quei luoghi si conservino.
Il viaggio e la vacanza sono cose semplici, in cui ognuno deve trovare la propria misura. Ma la misura ci deve essere e va evitato tutto ciò che è smisurato. Tutto ciò che “consuma” e distrugge i luoghi, l’ambiente, le terre e le acque.
Si può viaggiare solo cambiando i propri orizzonti ma per cambiare i propri orizzonti può bastare la campagna per un cittadino; può bastare il paesino dove abita vostra zia o quello che vedete sempre da treno pendolare e che vi affascina ma non vi ci siete mai fermati. Può bastare decidere di non accendere la televisione per una settimana e giocare invece la sera a scopone scientifico o a battaglia navale. O a moscacieca nei giardini del condominio.
Quel che è sicuro è che non c’è vacanza in un consumo imposto dalla pubblicità. Quel che è sicuro è che l’eccesso, la fretta, la competizione stanno alla vacanza come l’avarizia sta alla sobrietà. E, come l’avarizia, ci lasceranno sempre insoddisfatti.

venerdì 17 luglio 2015

Il problema della Grecia non è solo una tragedia. E' una menzogna.

Un tradimento storico si è consumato in Grecia. Dopo aver messo da parte il mandato degli elettori greci, il governo Syriza ha deliberatamente ignorato il "No" della scorsa settimana e segretamente concordato una serie di misure repressive che impoveriranno la gente in cambio di un "piano di salvataggio", che significa controllo straniero e un avvertimento al mondo, scrive John Pilger.
Il primo ministro Alexis Tsipras ha spinto in Parlamento una proposta di 13 miliardi di tagli in più rispetto ai 4 miliardi di "austerità" presenti nel piano respinto in modo schiacciante dalla maggioranza della popolazione greca nel referendum del 5 luglio.
Questi includono un aumento del 50 per cento del costo dell'assistenza sanitaria per i pensionati, quasi il 40 per cento dei quali vive in povertà; profondi tagli ai salari del settore pubblico; la privatizzazione completa dei servizi pubblici come aeroporti e porti; un aumento dell' imposta sul valore aggiunto al 23 per cento.
"Il partito anti-austerità ha ottenuto una splendida vittoria", titolava il Guardian dell 25 gennaio. "Sinistra radicale" chiamava Tsipras e i suoi compagni impressionantemente istruiti. Indossavano camicie a collo aperto, e il ministro delle Finanze guidava una moto ed è stato descritto come una "rock star dell'economia". Era apparenza. Non erano radicali, né erano "anti austerità".
Per sei mesi Tsipras e il dimissionario ministro delle Finanze, Yanis Varoufakis, hanno fatto la spola tra Atene e Bruxelles, Berlino e gli altri centri di potere europei. Invece della giustizia sociale per la Grecia, hanno raggiunto un nuovo indebitamento, un impoverimento profondo che semplicemente andrà a sostituire un sistema già marcio, in conformità con i valori "neoliberali" europei.
Il debito della Grecia, riporta una verifica da parte del Parlamento greco, "è illegale, illegittimo e odioso".
Per un piccolo paese come la Grecia, l'euro è una moneta coloniale: una catena di un'ideologia capitalista così estrema che anche il Papa l'ha definita "intollerabile" e "lo sterco del diavolo". L'euro è in Grecia ciò che il dollaro USA è nei territori remoti del Pacifico, la cui povertà e servilismo è garantita dalla loro dipendenza.
Nei loro viaggi alla corte del potente di Bruxelles e Berlino, Tsipras e Varoufakis si sono presentati né come radicali né di "sinistra", né socialdemocratici anche onesti, ma come due supplicanti. Più di una volta, il popolo greco ha scoperto i loro "piani segreti d'austerità" attraverso i media: ad esempio una lettera del 30 giugno pubblicata sul Financial Times, in cui Tsipras ha promesso ai capi di Ue, Banca centrale europea e la FMI di accettare le loro richieste di base, più feroci - che ora ha accettato.
Quando l'elettorato greco ha votato "no", il 5 luglio a questa operazione molto tipo di marcio, Tsipras ha detto: "Lunedi il governo greco sarà al tavolo dei negoziati, dopo il referendum con condizioni migliori per il popolo greco". I greci non avevano votato per "condizioni migliori". Avevano votato per la giustizia e per la sovranità, come avevano fatto il 25 gennaio.
Il giorno dopo le elezioni di gennaio un governo davvero democratico e, sì, radicale, avrebbe impedito ad ogni euro di lasciare il paese, avrebbe ripudiato il debito "illegale e odioso" - come ha fatto con successo l'Argentina - e accelerato un piano per lasciare la zona euro. Ma non c'era alcun piano. C'era solo la volontà di essere "a tavola" in cerca di "condizioni migliori".
La vera natura di Syriza è stata raramente esaminata e spiegata. Per i media stranieri non è che di "sinistra" o "estrema sinistra" o "linea dura" . Alcuni dei sostenitori internazionali della Syriza hanno raggiunto, a volte, livelli di tifo che ricorda l'ascesa di Barack Obama. Pochi hanno chiesto: Chi sono questi "radicali"? In che cosa credono?
Nel 2013, Yanis Varoufakis ha scritto:? "Dovremmo accogliere con favore questa crisi del capitalismo europeo come opportunità per sostituirlo con un sistema migliore? Oppure dovremmo essere così preoccupati da intraprendere una campagna per la stabilizzazione del capitalismo? Per me, la risposta è chiara. La crisi dell'Europa non darà ita ad una migliore alternativa al capitalismo .. Sì, mi piacerebbe proporre un' agenda radicale. Ma, no, io non sono disposto a commettere l'errore del partito laburista britannico dopo la vittoria della Thatcher ... Cosa ha raggiunto di buono la Gran Bretagna nei primi anni 1980 promuovendo un programma di cambiamento socialista che la società britannica ha disprezzato cadendo a capofitto nel viaggio neoliberista della Thatcher? Proprio nessuno. Che cosa ne verrebbe di buono dal chiedere uno smantellamento della zona euro, della stessa Unione Europea ...? "
I leader di Syriza sono rivoluzionari di un certo tipo - ma la loro rivoluzione è la perversa, appropriazione familiare dei movimenti democratici e parlamentari sociali da parte di liberali che si curano di rispettare le sciocchezze neoliberiste e di ingegneria sociale il cui volto autentico è quello di Wolfgang Schauble, ministro delle Finanze tedesco, un delinquente imperiale. Come il partito laburista in Gran Bretagna e i suoi equivalenti fra gli ex partiti socialdemocratici, come il partito laburista in Australia, ancora si descrive come "liberale" o anche "di sinistra", Syriza è il prodotto di una classe media istruita, altamente privilegiata, "istruita nel postmodernismo", come ha scritto Alex Lantier.
Per loro, la classe è innominabile, per non parlare di una lotta duratura, a prescindere dalla realtà della vita della maggior parte degli esseri umani. I luminari di Syriza sono ben curati; non sono portatori della resistenza della quale la gente comune ha bisogno, come l'elettorato greco ha così coraggiosamente dimostrato, ma di "condizioni migliori" di uno status quo che punisce i poveri. Quando si è fusa con "politica dell'identità" e le sue distrazioni insidiose, la conseguenza non è la resistenza, ma la sottomissione. "
Questo non è inevitabile, non è irreversibile, conclude Pilger, se ci svegliamo dal lungo, coma postmoderno e respingiamo i miti e gli inganni di coloro che affermano di rappresentarci e combattere.

giovedì 16 luglio 2015

Gli Usa vogliono una base militare in Nord Africa per i propri droni

Gli Stati Uniti stanno discutendo con Paesi del Nordafrica la possibilità di stanziare droni in una base locale e utilizzarli per controllare i movimenti dei jihadisti dello Stato islamico. Lo riferisce il Wall Street Journal, secondo cui "questo sarebbe il più importante sviluppo della campagna contro il gruppo estremista nella regione".
L'obiettivo, hanno spiegato fonti dell'amministrazione Usa, è di eliminare quello che i vertici dell'intelligence chiamano i "punti oscuri" per i servizi di spionaggio occidentali. Una svolta necessaria per contenere l'espansione dell'Isis oltre i confini dell'Iraq e della Siria. E per far fuori altri nemici, se necessario, come ad esempio il governo di Damasco o gli Hezbollah libanesi.
"Al momento stiamo cercando di affrontare una vera sfida a livello di intelligence", ha detto un alto funzionario Usa al Wsj. Una base vicina alle roccaforti dello Stato islamico contribuirebbe a "riempire i buchi nella nostra comprensione di quanto sta accadendo da quelle parti".
Le fonti del quotidiano non hanno voluto indicare dei Paesi in particolare dove gli Usa vorrebbero collocare la base per i droni, ma Tunisia ed Egitto sembrano i candidati naturali, data la collaborazione di lunga data a livello di intelligence e i buoni rapporti militari e la vicinanza con la Libia, dove le attività degli uomini del Califfato nero sono in costante aumento. La Casa bianca ha tra l'altro appena nominato la Tunisia principale alleato non-Nato, uno status che apre ad una ulteriore collaborazione nel settore. Il Marocco verrebbe invece considerato troppo lontano dalla Libia

mercoledì 15 luglio 2015

La mafia tedesca uccide la Grecia, ma l’Ue subirà rivolte

Per una volta consentitemelo: la previsione formulata la sera del referendum (“ora vedrete cos’è davvero l’Europa“) ha trovato drammatica conferma. L’establishment europeo – e soprattutto quello tedesco – ha voluto umiliare il popolo greco per aver osato, legittimamente, opporsi alle regole dell’austerità in Europa che si traducono in un dominio ingiusto della stessa Germania. Sono logiche imperiali, del colonizzatore sul colonizzato, che perlomeno spazzano via la retorica della fratellanza europea, della solidarietà fra i popoli, dell’Unione costruita nell’interesse delle giovani generazioni. I risultati del referendum rivelano che sono stati proprio i giovani greci ad esprimere a stragrande maggioranza (85% di no!) il rifiuto delle ricette europee. Tsipras ha sbagliato la gestione del successo, violando una delle regole fondamentali: non inizi una guerra se non sei sicuro di vincerla. E se non hai esaminato tutti gli scenari alternativi. Tsipras non aveva un piano B. Non ha capito che l’Europa non si fa riformare e che l’unica alternativa sarebbe stata l’uscita volontaria dall’euro.
Alla fine non ha avuto la tempra per resistere ed è stato costretto a firmare una resa che è devastante sotto ogni punto di vista ed è di gran lunga peggiore degli accordi rifiutati solo poco più di una settimana fa. Ma sono funzionali al disegno della Germania Marcello Foae delle élite europee: servono da monito a tutti gli altri popoli, che, poveri ingenui democratici, devono sapere che esiste una sola salvezza, quella dell’euro e delle regole imposte dall’alto. E chi osa chiedere di cambiarle, le regole (in fondo era questo che voleva Tsipras) deve sapere che subirà le pene dell’inferno. Sono regole mafiose o, se preferite, da moderno Reich. Con un corollario di speranza. L’intimidazione non basta per mascherare la realtà. E la realtà è racchiusa in un grafico pubblicato qualche giorno fa dal “New York Times”. Oggi la disoccupazione in Grecia è più alta rispetto a quella degli Stati Uniti durante la Grande Crisi del ’29.
Solo che gli Usa uscirono da quella crisi spaventosa con uno straordinario programma di rilancio dell’economia, mentre le misure imposte dalla Ue ai greci avranno quale prevedibilissimo effetto quello di far sprofondare ancor di più l’economia reale, dunque di far salire ulteriormente la disoccupazione e con essa la disperazione sociale. La Grecia con i miliardi che riceverà tirerà avanti ancora qualche mese o qualche anno. Poi la realtà prenderà il sopravvento e la gente non ascolterà più le illusioni di uno Tsipras, che peraltro è già politicamente morto. La rivolta sarà estrema, forse anche violenta, e con un epilogo già scritto: l’uscita dall’euro, la spaccatura dell’Europa, la ribellione (e i greci non saranno soli) contro quella che un pensatore straordinario come Zinoviev, con straordinaria preveggenza aveva definito 15 anni fa la dittatura invisibile.

martedì 14 luglio 2015

Se lavorare a scuola deve avere un senso

La scuola si nutre di speranza e di futuro; la scuola si nutre di libertà, di intelligenza, di passione e di collaborazione. Su questi parametri vanno misurate tutte le innovazioni a scuola; vanno misurate sul parametro delle opportunità che vengono date alle nuove generazioni per essere cittadini e lavoratori.
Per essere più chiari e precisi: le innovazioni riescono a cambiare le procedure abituali di riproduzione delle élites, dei quadri operativi del mondo economico, della ricerca, dei servizi secondo criteri di pari opportunnità? Esiste una correlazione tra innovazioni e possibilità di inserimento nel mondo del lavoro? La scuola sarà in grado di dire qualcosa di diverso e di meglio rispetto alla situazione attuale o continuerà ad essere l’anello debole del rapporto col mondo del lavoro, degli assetti economico-sociali?
Nella scuola è impresa ardua fare sintesi dei vari aspetti del sapere e della cultura umana e trasformarli in un progetto di vita per le nuove generazioni, che vi trascorrono il tempo della loro crescita, il tempo del loro passaggio dall’infanzia all’età adulta. Sarà impresa ancora più complicata dopo la manomissione alla quale è stata sottoposta, che l’ha resa più povera di slanci e di umanità.
I giovani dovrebbero apprendere a scuola quel che è sufficiente per assumere il ruolo di adulto: la capacità di svolgere un lavoro, la capacità di assumere delle responsabilità pubbliche e sociali, la capacità di esprimersi e farsi valere, la capacità di convivere, la capacità di scegliere e di accettarne le conseguenze, la capacità di finalizzare e progettare la propria vita. Troppe cose importanti e tutte necessarie per un’istituzione molto rinchiusa in se stessa, incattività dagli sfregi che ha subito, senza prestigio, senza identità educativa.
L’intruglio che con inaudita e insipiente frettolosità si è voluto approvare, spacciandolo per “buona scuola” non punta sulle competenze, nè sulla formazione della personalità, nè sui valori. Un pastone indigesto che affida agli arbitri di un capo e alla guerra di tutti contro tutti il compito di essere efficiente ed efficace in un campo dove contano solo responsabilità, cultura, intelligenza, libertà, autonomia, fiducia, dialogo, collaborazione.
In un momento particolarmente delicato della società ci si trova davanti all’intenzione dichiarata di cancellare ciò che ha consentito al sistema di istruzione di fare la propria parte. Intendo dire di quell’insieme di regole, di rapporti, di atteggiamenti, di procedure, che costituiscono la cultura di ogni singolo istituto e che costituisce lo sfondo morale della vita scolastica.
Ogni scuola ha la sua propria atmosfera che la rendono unica e che esercita un forte influenza su quelli che vi lavorano; sono destinate al fallimento le innovazioni che ignorano l’istituto come luogo di vita e di cultura. La legge delega approvata impedirà la valorizzazione e lo sviluppo delle energie professionali e intellettuali degli insegnanti, per gli evidenti tratti di autoritarismo che la distinguono.
Pensare l’istituto come luogo di cambiamento significa prendere in carico la sua complessità sociologica, psicologica, antropologica; non significa procedere per le vie spicce dei premi agli “adempienti” e delle punizioni per i “ricalcitranti”.
Con le nuove disposizioni sarà impossibile sviluppare un qualsiasi sentimento di appartenenza al proprio istituto, condizione cruciale per dare impulso positivo all’attività didattica e darle il senso unitario che si pretende in ogni piano dell’offerta formativa. Senza la libera continuità della permanenza nel proprio istituto, l’attività scolastica sarà un’inutile e ingiustificata fatica di Sisifo. Non si farà tesoro delle esperienze compiute, nè insegnamento dagli errori commessi.
L’istituto non è una semplice unità amministrativa, ma luogo di formazione e di educazione che deve avere un progetto e questo potrà essere portato avanti se il corpo docente agisce come collettivo di persone morali, libere, responsabili, capaci di impegnarsi nel difficile compito di preparare le nuove generazioni al lavoro e alla cittadinanza.
Se lavorare a scuola deve avere un senso bisogna rifiutare le scelte fatte con la legge delega; bisogna aprire subito la lotta per ritornare alla scuola del dialogo e della libertà.

lunedì 13 luglio 2015

"Grecia fuori dall'euro per cinque anni"

La questione è politica, l'economia non c'entra più molto. La Germania vuole la Grecia fuori dall'euro, almeno temporaneamente. La posizione è attribuita al potente ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble. Il quale avrebbe avuto un durissimo faccia a faccia con Angela Merkel perché intende porre il veto a qualsiasi accordo, su qualsiasi "piano".
Lo riporta la Frankfurter Allgemeine Zeitung (Faz), che afferma di aver preso visione di un documento del ministero delle Finanze tedesco, inviato peraltro ai coleghi dell'Eurogruppo. I giudizi di Schaeuble sulla nuova "proposta greca" (in realtà scritta dai francesi) è definitivo: "insufficienti".
L'alternativa è drastica: in cambio del nuovo ciclo di "aiuti" Berlino vorrebbe la creazione di un fondo fiduciario da 50 miliardi di euro in cui trasferire asset pubblici greci da privatizzare in caso non venisero ripagate delle rate del debito. Perché a giudizio degli esperti al servizio di Schaeuble, "Mancano ambiti centrali di riforma per modernizzare il Paese e produrre crescita e sviluppo sostenibile nel lungo periodo". Derro meno gentilmente: quel paese non ha i fondamentali per essere reso "competitivo" al punto di poter stare nell'Unione Europea.
Berlino è inoltre decisa a porre il veto sull'allungamento delle scadenze del debito greco fino a 60 anni (un'idea del Fondo Monetario Internazionale, mica di qualche elemosiniere!). Un'estensione così lunga - di fatto un raddoppio - consentirebbe secondo i tecnici di Washington di rendere "sostenibile" il debito di Atene senza necessità di ridurlo con una rinuncia da parte dei creditori.
Nel corso di questi cinque anni di purgatorio la Grecia potrebbe, a suo avviso, ristrutturare il debito (non pagando almeno alcuni dei propri creditori), aggiustare i conti, fare le "riforme" e poi, una volta conclusa la macelleria sociale, provare a rientrare.
Non sarebbe però una "liberazione" della Grecia dalle catene della Troika. Il monitoraggio sarebbe invece ancora più ferreo, in pratica una presa del governo nelle mani della Troika. Ma senza più impegnare le finanze dei "partner" in salvataggi all'ultimo secondo.
Di fatto, Schaeuble la intende come una "punizione collettiva" per un intero popolo, perché oltre ad abbassare definitivamente la testa dovrebbe sperimentare un massacro tale da scoraggiare in futuro qualsiasi idea di "recupero della dignità", se non addirittura di ribellione.
Inoltre la "cura" costituirebbe un esempio "pedagogico" per tutti gli altri paesi, in cui va montando l'insofferenza di massa verso l'Unione Europea, le sue regole e anche la moneta unica.
L'idea di Schaeuble non è nuovissima, è una sua vecchia fissazione - suggerita dal professor Hans-Werner Sinn, presidente dell'Ifo (un istituto che rilascia mensilmente un famoso indice sulla "fiducia delle imprese"), consigliere dello stesso Schaeuble - che affronta però alla radice il problema dei paesi Piigs, che non ce la fanno a fare contemporaneamente tagli di spesa, "riforme strutturali" e aggiustamenti di bilancio. Se l'idea passa - se ne sta discutendo, sembra, all'interno dell'Eurogruppo, anche se piovono smentite - bisognerà cambiare i trattati, perché l'ipotesi di uscita dalla moneta unica, anche solo temporanea, non era stata assolutamente presa in considerazione. Voci dal negoziato, infatti, spiegano che l'ipotesi «non può essere presa sul serio», perché «è legalmente infattibile, senza senso economico e non in linea con la realtà politica».
Per realizzarla dunque, servirebbe paradossalmente una "riforma" dell'Unione Europea, ma di segno opposto ed esclusivo. Per restringerne il perimetro e blindare le mitiche "regole"
Quelli che pensavano che sarebbe stato sufficiente piegarsi ai diktat e rinunciare ai programmi riformisti con cui si era stati eletti sono serviti. I "mediatori" anche.

domenica 12 luglio 2015

L’emersione della Grande Eurasia si profila sullo sfondo del declino occidentale

Il mondo dominato da una superpotenza tramonta proprio davanti ai nostri occhi. Vecchie istituzioni internazionali sono in declino come l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), l’Unione Europea (UE) impantanata nella crisi o la degradante Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE). Finora intense discussioni sulla riforma dell’Organizzazione delle Nazioni Unite non sono state altro che chiacchierare. Gli Stati Uniti hanno già visto il loro periodo di massimo splendore. Se hanno ancora un forte potenziale militare, economico e politico gli altri Stati gli sono con il fiato sul collo. La Cina ha superato gli Stati Uniti in termini di PIL secondo il potere d’acquisto (PPP). La cooperazione tra i BRICS aumenta e la Shanghai Cooperation Organization si espande con India e Pakistan sulla via dell’adesione. La Grecia, patria della democrazia, è l’anello più debole dell’Unione europea, sottolinea la degenerazione delle democrazie occidentali con i loro matrimoni omosessuali e le basi instabili su cui gli Stati nazionali sono costruiti. Gli Stati Uniti assomigliano sempre più a una nave da battaglia della Seconda Guerra Mondiale con un grande buco sotto la linea di galleggiamento dello scafo. Il danno non è visibile, la nave continua a navigare con armi formidabili puntate sul nemico. Ma col passare del tempo la nave perde velocità e comincia ad affondare. Il melting pot tanto celebrato nei giorni di Bill Clinton non è più efficace, gli Stati Uniti non sono divenuti una nazione unita e si avvicina il momento in cui gli anglosassoni non potranno assumersi il “fardello dell’uomo bianco” con i latinos che diventano dominanti. Quando accadrà gli Stati Uniti saranno un Paese diverso con cultura diversa e, forse, diversi obiettivi da perseguire. Oggi gli Stati Uniti si ritirano lasciandosi alle spalle focolai di tensione e guerre infinite. Il conflitto armato in Ucraina, la guerra senza fine in Medio Oriente, Afghanistan e Iraq in rovina, questi sono i risultati della ritirata. Per rallentarne la degradazione gli Stati Uniti si sforzano di creare il Partenariato Transatlantico per il Commercio e gli Investimenti (TTIP) riunendo l’oro degli Stati nell’internazionale finanziaria. Questo è il momento in cui “nuova destra” e “nuova sinistra” in Europa avanzano cambiando significativamente i piani di Washington e dell’internazionale finanziaria. Possono cercare di creare un nuovo sistema per riunire le nazioni, o tornare al concetto di spazio di sicurezza comune da Lisbona a Vladivostok. Gli Stati Uniti prendono in considerazione il TTIP mirando a dividere l’Europa dalla Russia e respingere la Federazione russa in Asia. Gli Stati Uniti evitano di usare il termine guerra fredda nell’attuale stallo psicologico e informativo ma, in realtà, guidano una guerra su tutti i fronti. Questa affermazione è confermata dall’aumento della potenza della Forza di reazione della NATO, dal ritorno di unità dell’esercito statunitense in Europa, dalle forze che stazionano nei Paesi confinanti con la Federazione russa, dallo schieramento della difesa antimissile in Europa, e mettendo in discussione il trattato sulle forze nucleari intermedie (INF). Il ministro degli Esteri inglese Philip Hammond ha detto ai primi di giugno che il Regno Unito potrebbe ospitare di nuovo i missili nucleari statunitensi, tra tensioni con la Russia. Infine non si vede la fine del conflitto in Ucraina. Non importa quanti siano i tentativi di riportare la pace (Quattro di Normandia, missione dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) c’è sempre il pericolo di scatenare una grande guerra con gli Stati Uniti che intervengono, ancora una volta, da “salvatori” degli europei. Allo stesso tempo, le forze della NATO verrebbero schierate ai confini della Russia dal Baltico al Mar Nero. Questo scenario è incombente. Se gli Stati Uniti dicono “sì” all’Ucraina nella NATO la situazione inevitabilmente si aggraverà.
La libertà di azione in Europa è limitata dalla dottrina atlantica, ma la possibilità di una guerra con la Russia è assai spaventosa, perciò gli Stati Uniti non osano premere il grilletto. Il recente viaggio del segretario di Stato John Kerry a Sochi testimonia il fatto che Washington non è pronta all’escalation incontrollata del conflitto. E’ chiaro a tutti che le sanzioni antirusse contrastano con gli interessi europei. L’Europa sarebbe felice di revocarle ma deve salvare la faccia. Il modo migliore per farlo è ridurre le tensioni nel Donbas. Ma è indispensabile il cambio di governo a Kiev. Tutto sottolinea l’importanza della cooperazione nel quadro delle associazioni interstatali non occidentali: BRICS e Shanghai Cooperation Organization. Russia e Cina hanno un ruolo particolare. L’ulteriore integrazione può portare alla nascita della Grande Eurasia con grandi enclavi in America Latina e Sud Africa, creando un’alternativa al dominio euro-atlantico. A maggio Russia e Cina decisero d’integrare l’Unione economica eurasiatica con il programma economico “Via della Seta”. Questo e il successo dei vertici di Shanghai Cooperation Organization e BRICS che si svolgono contemporaneamente a Ufa, sono gli eventi che contribuiscono notevolmente a ciò.

venerdì 10 luglio 2015

Dopo decenni di crimini e violazioni hanno anche il coraggio di criticare chi gli si oppone

Da decenni gli Stati Uniti hanno sistematicamente ignorato o strumentalizzato con spudorato cinismo le norme internazionali e lo statuto dell’Onu, salvo accusare con veemenza gli altri Stati di violarle. La logica del doppio peso è stata puntualmente messa in atto per giustificare con disinvoltura ogni minaccia, intrusione, violenza e guerra posta in atto nel mondo intero da Washington e dagli Stati che orbitano nella sfera d’interessi Usa.
Per giustificarla lo Zio Sam ha sempre mosso a copertura l’enorme potere mediatico che controlla, rappresentando di volta in volta una narrazione dei fatti che definire distorta è poco, ma funzionale alla manipolazione delle cosiddette “opinioni pubbliche” occidentali.
In questa operazione, ha avuto accanto gli alleati/sudditi europei e i loro media, sempre pronti ad avallare le avventure di Washington e ad accettare acriticamente le sue tesi, a prescindere non solo che siano fondate, ma anche che rappresentino i loro interessi.
Gli esempi si contano a decine ma, restando nell’attualità, quando gli Usa tuonano contro l’annessione russa della Crimea e il referendum che l’ha sancita, dimenticano (volutamente) la vicenda del Kossovo. Allora, era il 1999, la Nato scatenò una guerra contro la Serbia compiendo una plateale aggressione contro uno Stato membro dell’Onu, in violazione delle norme fondamentali delle Nazioni Unite e dell’Atto Finale di Helsinki del 1974.
Per chi non lo ricordasse, furono 78 giorni di bombardamenti con 25mila tonnellate di bombe sganciate, circa mille missili cruise lanciati, 2mila civili uccisi e 7mila feriti; case, fabbriche, infrastrutture furono distrutte insieme a scuole e persino a chiese e monasteri, compresi luoghi riconosciuti dall’Unesco patrimonio dell’umanità. Alla fine, per sancire lo smembramento di una Nazione e la nascita di una caricatura di Stato, non ci fu nessun referendum ma solo un’occupazione militare che dura ancora.
E che dire dell’invasione dell’Iraq, quando all’Amministrazione Usa bastò esibire una busta di polvere bianca dinanzi a una succube Assemblea dell’Onu, perché fosse bandita una crociata contro la “minaccia” di armi di distruzione di massa inesistenti? L’Iraq da allora – e sono passati dodici anni – è un pantano di sangue che ha mietuto e miete centinaia di migliaia di vittime, dimostrando la criminale assurdità della scusa dell’”esportazione della democrazia”.
In Libia, il cosiddetto Occidente ha superato se stesso: piegando ai propri interessi la risoluzione dell’Onu 1973 del 2011, ha dato il via ad una carneficina ancora in pieno svolgimento: un caos che ha inghiottito le coste Sud del Mediterraneo e, attraverso quel breve tratto di mare, sta già investendo l’Europa. Il frutto avvelenato del cinismo dei decisori occidentali che bramavano le risorse energetiche libiche (Francia e Inghilterra in testa), unito ad una spaventosa incompetenza.
In Siria non è andata diversamente: invece di puntare su una soluzione negoziale, ingerendosi sfacciatamente negli affari interni del Paese, Usa ed europei si sono accodati agli “alleati” sauditi rimpinzando di armi e denaro i cosiddetti “oppositori moderati” di al-Assad che semplicemente non esistono, finendo per sostenere le bande di assassini prezzolati (al-Nusra o Isis non fa molta differenza se non per il grado di inquadramento organico nei disegni di chi li sovvenziona) che a parole dichiarano di combattere.
In Palestina è sistematico il ricorso alla violenza più brutale da parte di Israele, con l’avallo della comunità internazionale (e la sistematica copertura Usa) pronta sempre a giustificare, a “comprendere” le sue “ragioni di sicurezza”, anche quando massacra civili a migliaia come l’anno scorso a Gaza, ed a condannare senza appello, bollandoli come atti terroristici, le azioni della Resistenza che si oppone.
A parte Serbia, Libia, Iraq, Siria e Palestina, i campioni della democrazia occidentale e i loro alleati hanno spianato sotto i bombardamenti o tenuto sotto gli scarponi di Eserciti, Forze Speciali e gruppi di paramilitari, Afghanistan, Somalia, Sudan, Pakistan, Mali, Repubblica Centrafricana e ora lo Yemen.
Già, lo Yemen: un Paese che ha avuto l’assurda spudoratezza di volersi liberare dal giogo saudita, dalla cricca corrotta dei suoi fantocci e dalle bande di terroristi attraverso cui Riyadh esercitava il suo controllo. Per punirlo, col pieno assenso di Washington e la sua assistenza, dal 26 marzo una “coalizione” messa in piedi dai petrodollari della famiglia reale saudita conduce bombardamenti terroristici che hanno causato morti a migliaia fra i civili, distruzioni immani ed una crisi umanitaria senza precedenti.
Anche in questo ennesimo caso, le bombe continuano a cadere in spregio delle norme internazionali e senza che il Consiglio di Sicurezza, né tanto meno l’Assemblea dell’Onu l’abbiano mai autorizzato.
Per Washington (come per i suoi satelliti) il ricorso alla guerra è normale, se ne serve ogni volta che lo ritiene senza porsi alcun problema né giuridico, né tanto meno etico; come detto, pensa il mainstream mediatico a giustificarlo agli occhi di opinioni pubbliche nella gran parte acritiche e passive.
Ebbene: con questa pluridecennale quanto sistematica violazione del diritto internazionale, quale peso possono avere le accuse mosse alla Russia per la Crimea e il Donbass? Con quale logica e con quale legittimità, una comunità internazionale asservita agli interessi di Washington può ergersi a giudice e condannare il Cremlino, infliggendo sanzioni economiche, scatenando guerre finanziarie e minacciando misure militari?
Piaccia o no ai tanti opinion leader dei media occidentali, che criticano dall’alto di una presunta superiorità morale, Putin interpreta gli umori dei russi che, nella stragrande maggioranza, sono più radicali di lui. Piaccia o no, nel Donbass sono in tanti a volere l’indipendenza da Kiev o, per lo meno, una forte autonomia da un’autorità che ha perso la sua credibilità facendosi strumento di potenze straniere e dei gruppi di potere a loro collegati.
Se ancora le bombe occidentali non sono cadute anche laggiù in un’ennesima “crociata democratica”, lo si deve allo strumento militare di Mosca, l’unico argomento capace di frenare le avventure di Washington e dei suoi.
Gli Usa e suoi alleati fanno una guerra dopo l’altra, massacrano popolazioni, disintegrano Stati spalancando il caos su intere regioni, in nome di risibili pretesti che non riescono a coprire i veri disegni di potere tesi a realizzare solo e soltanto i propri più cinici interessi. Non sono certo loro a poter impartire lezioni a chicchessia.
Brucia soltanto che Paesi che hanno Storia, Cultura e Tradizioni le abbiano tutte rinnegate per farsi servi; per obbedire contro i propri interessi; per scordare i valori di cui un tempo si dicevano maestri.

giovedì 9 luglio 2015

Quattro famiglie su dieci, in Italia, sono indebitate

Il reddito di un italiano su due ha subito una flessione negli ultimi 12 mesi. A fine 2014 risulta complessivamente pari al 41% la quota di nuclei familiari indebitati per l’acquisto di un’abitazione (25%) o per l’acquisto di beni durevoli o altre spese (21%). Solo il 30% delle famiglie afferma di essere in grado di risparmiare “qualcosa” o “a sufficienza”, mentre il 45% dichiara che il reddito disponibile è appena sufficiente a coprire le spese, il 15% ha intaccato i risparmi e il restante 11% deve indebitarsi. È quanto emerge dal rapporto Consob sulle scelte di investimento delle famiglie italiane.
Sono soprattutto gli individui con livello di istruzione più basso, i residenti al centro-sud, nonché (tra gli occupati) i lavoratori autonomi ad avere più frequentemente difficoltà a risparmiare.
Lo studio evidenzia anche che in Italia, le conoscenze in materie finanziarie e le capacità logico-matematiche rimangono ancora basse: inflazione, diversificazione degli investimenti, relazione rischio-rendimento sono concetti poco noti e di difficile applicazione. Secondo il rapporto, “quasi la metà del campione dichiara di non conoscere o definisce in modo errato il concetto di inflazione; il 55% non è in grado di indicare correttamente cosa significhi diversificare gli investimenti e circa il 57% non sa spiegare la relazione rischio-rendimento”. Non solo. Il 67% e il 72% degli individui non riesce a calcolare, rispettivamente, un montante in regime di interesse semplice e il rendimento atteso di un investimento

mercoledì 8 luglio 2015

Le sanzioni contro la Russia colpiscono il benessere dell'Occidente

Le sanzioni adottate contro la Russia stanno causando gravi danni alle istituzioni sociali ed economiche in Occidente, scrive The National Interest. La rivista fa notare che l'introduzione di queste misure non è giustificata da nessun punto di vista, né economico nè politico.
Scott Semet, autore dell'articolo della rivista americana The National Interest si chiede:
solo per danneggiare il nemico, il fine giustifica sempre i mezzi nell'arena geopolitica ed è ragionevole se il danno viene inflitto su di sé? Secondo lui, le attuali relazioni tra l'Occidente e la Russia si stanno muovendo verso questo caso.
In particolare molte delle azioni intraprese nei confronti della Russia hanno avuto un impatto negativo sulle fondamenta della società occidentale, come lo stato di diritto e le innovazioni nell'economia. Cioè, scrive The National Interest, nel tentativo di punire i russi, le due principali forze che hanno aiutato l'Occidente a vincere la Guerra Fredda, il capitalismo e il suo prerequisito, la democrazia, sono stati gettati in mare quando si è stato ritenuto opportuno.
La rivista americana dice che il processo di "demonizzazione" della Russia agli occhi dell'opinione pubblica occidentale è stato accelerato dopo l'inizio dell'operazione militare in Ucraina. L'obiettivo delle sanzioni era l'isolamento e la distruzione dell'economia russa, scrive Scott Semet. L'azione più pesante riguarda la limitazione dell'accesso delle società russe ai mercati dei capitali occidentali. Ma quanto sono giustificate queste azioni?
Secondo Semet, l'imposizione delle sanzioni contro la Russia non era giustificata né politicamente nè economicamente. Non è irrilevante che le sanzioni economiche contro la Russia abbiano impattato negativamente la floridità delle carte di credito americane Visa e MasterCard. Nell'articolo del The National Interest viene definito come uno dei principali beneficiari delle sanzioni il sistema nazionale cinese dei pagamenti Unionpay, le cui carte sono già state emesse da diverse grandi banche russe.
In questo contesto, riassume Semet, per perseguire obbiettivi politici l'Occidente va contro la Russia con misure che minano le proprie istituzioni economiche e sociali. Secondo i timori della rivista americana, questa tendenza potrebbe aumentare se i politici non avranno un approccio più equilibrato nella scelta dei mezzi per la realizzazione delle loro ambizioni geopolitiche.