giovedì 22 settembre 2022

Draghi e la guerra

 Il 20 settembre, il presidente del Consiglio Mario Draghi ha tenuto un intervento alla settantasettesima Assemblea generale delle Nazioni unite, a New York, negli Stati Uniti. Tra le altre cose, Draghi ha duramente criticato i referendum annunciati dal presidente russo Vladimir Putin per chiedere l’indipendenza di alcune zone occupate dell’Ucraina. 


Dall’economia all’energia, passando per i vaccini contro la Covid-19, abbiamo verificato sei dichiarazioni fatte dal presidente del Consiglio all’Onu.

Il crollo del Pil russo 

«Il Fondo monetario internazionale prevede che l’economia russa si contragga quest’anno e il prossimo di circa il 10 per cento in totale, a fronte di una crescita intorno al 5 per cento ipotizzata prima della guerra» 

Secondo le ultime stime del Fondo monetario internazionale, pubblicate a fine luglio, nel 2022 il Pil della Russia calerà (pag. 8) del 6 per cento rispetto al 2021 e nel 2023 del 3,5 per cento rispetto a quest’anno. La variazione cumulata sarebbe dunque un calo pari al 9,3 per cento del Pil, il «circa il 10 per cento» a cui ha fatto riferimento Draghi.

A gennaio, prima dello scoppio della guerra in Ucraina, il Fondo monetario internazionale prevedeva (pag. 5) che nel 2022 il Pil russo sarebbe cresciuto del 2,8 per cento rispetto all’anno prima e nel 2023 del 2,1 per cento rispetto a quest’anno. Sui due anni, si trattava di una variazione al rialzo intorno al 5 per cento, la percentuale correttamente indicata dal presidente del Consiglio.

Il gas russo importato dall’Italia

«A oggi abbiamo dimezzato la nostra dipendenza dal gas russo» 

Qui Draghi ha un po’ esagerato. Secondo i dati più aggiornati del Ministero della Transizione ecologica, tra gennaio e luglio 2022 l’Italia ha importato dalla Russia circa 10,5 miliardi di metri cubi di gas naturale, il 23,6 per cento sul totale delle importazioni. Nello stesso periodo dell’anno scorso, il nostro Paese aveva importato 17 miliardi di metri cubi di gas russo, valore pari al 39,8 per cento sul totale delle importazioni. 

Le risorse italiane contro la crisi

«Per aiutare le imprese e i cittadini a fronteggiare i rincari in Italia abbiamo speso circa il 3,5 per cento del nostro prodotto interno lordo»

Qui il presidente del Consiglio ha semplificato un po’ troppo. La percentuale indicata è corretta se si guarda alle risorse stanziate dal governo, ma non ancora del tutto spese, per far fronte ai rincari energetici e aiutare le famiglie e le imprese. La percentuale del «3,5 per cento» considera però anche i circa 14 miliardi di euro previsti dal decreto “Aiuti ter”, che però deve ancora iniziare il suo esame in Parlamento per essere convertito in legge. Al momento, non conteggiando questo provvedimento, le risorse stanziate dal governo Draghi sono state pari al 2,9 per cento 

La riapertura delle centrali a carbone

«La riduzione delle forniture di gas ha obbligato alcuni Paesi a riaprire le proprie centrali a carbone o a rimandarne la chiusura» 

È vero: vari Paesi europei, come Germania, Austria e Paesi Bassi, solo per citarne alcuni, negli scorsi mesi hanno riattivato o rallentato la chiusura delle centrali a carbone per far fronte a eventuali riduzioni nelle forniture di gas. Anche l’Italia sta seguendo questa strada.

I vaccini donati ai Paesi più poveri

«Il meccanismo Covax ha distribuito finora oltre 1,4 miliardi di dosi di vaccino contro il Covid-19 ai Paesi più poveri del mondo» 

In questo caso Draghi è stato impreciso. Covax è un’iniziativa lanciata nel 2021, di cui fanno parte anche le Nazioni unite, che ha l’obiettivo di distribuire dosi di vaccino contro la Covid-19 a Paesi a basso reddito, donate da Paesi con redditi più alti o vendute a prezzo calmierato.

Secondo i dati più aggiornati raccolti da Our world in data, un progetto dell’Università di Oxford, al 22 settembre erano oltre 1,4 miliardi le dosi di vaccino donate dai Paesi che partecipano all’iniziativa, ma non tutte erano state distribuite, come lasciato intendere da Draghi. Le dosi effettivamente spedite ai Paesi a basso reddito erano invece 
«Per la prima volta, tutti gli Stati membri del G20 si sono impegnati a cercare di mantenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali e hanno accettato le basi scientifiche di questo obiettivo» 

Il riferimento di Draghi è all’incontro tenutosi a Roma a ottobre 2021 tra i membri del G20, l’organizzazione internazionale che raggruppa i principali Paesi industrializzati del mondo. È vero che nella dichiarazione finale di quell’incontro tutti i Paesi del G20 riconoscevano la necessità di mantenere l’aumento delle temperature entro 1,5 gradi, ma, come avevano fatto notare in molti, questo impegno non aveva vincoli temporali.

mercoledì 31 agosto 2022

L'occidente cerca petrolio per l'inverno. L'Arabia Saudita taglia produzione

 Il ministro dell’energia saudita ha affermato che l’OPEC+ ha i mezzi per affrontare le sfide, tra cui il taglio della produzione, ha annunciato stampa statale SPA, citando i commenti che Abdulaziz bin Salman ha fatto a Bloomberg.

Ieri, il ministro dell'Energia saudita, il principe Abdulaziz bin Salman, ha rivelato che l'OPEC+ "è pronta" a tagliare i livelli di produzione di petrolio per far fronte al recente crollo dei prezzi del petrolio.

Il funzionario saudita ha ricordato che il mercato dei futures sul petrolio è caduto in "un circolo vizioso che si autoperpetua di liquidità molto ridotta e volatilità estrema", aggiungendo che anche "i timori macroeconomici" hanno causato il calo dei prezzi.

L'avvertimento di Bin Salman arriva in un momento in cui l'Occidente si sta affrettando a mettere al sicuro tutte le fonti di combustibile che riescono a trovare per fornire elettricità e riscaldamento durante il prossimo inverno.

Secondo Bloomberg, gli acquirenti europei stanno acquistando più petrolio russo rispetto agli ultimi quattro mesi. Ciò precede l'attuazione del divieto dell'UE sulle importazioni marittime di greggio russo il 5 dicembre.

Circa il 90 per cento delle esportazioni russe di greggio in Europa sono di origine marittima.

La Turchia, in particolare, quest'anno ha raddoppiato le importazioni di petrolio russo.

Lunedì i prezzi dell'energia in Europa sono saliti a nuovi record, dopo che Mosca ha annunciato che avrebbe interrotto tutte le consegne di gas naturale liquefatto (GNL) attraverso il gasdotto Nord Stream 1 alla Germania per tre giorni la prossima settimana.

I lavori di manutenzione precedentemente non annunciati sul Nord Stream 1, che ora operano solo al 20% della capacità, hanno accresciuto le preoccupazioni che la Russia si stia preparando a tagliare tutte le forniture all'UE.

A peggiorare le cose, la scorsa settimana il Venezuela ha sospeso tutte le spedizioni di petrolio verso l'UE, con Caracas che ha ribadito di non essere più interessato agli "accordi petrolio per debito" e invece vuole combustibili raffinati dai produttori italiani e spagnoli in cambio di greggio.

Bruxelles ha replicato che attualmente non ha in programma di revocare le restrizioni sull'accordo petrolio per debito con il Venezuela.

L'UE sta anche vedendo deluse le sue speranze di ottenere carburante iraniano, poiché gli Stati Uniti stanno procrastinando nel rispondere a un accordo approvato dall'UE e dall'Iran per rilanciare il Piano d'azione globale congiunto (JCPOA) e revocare le sanzioni a Teheran.

Israele è stato uno dei principali fautori dell'affondamento completo dell'accordo con l'Iran, poiché spera di colmare il vuoto di approvvigionamento dell'Europa rubando un giacimento di gas offshore situato nel territorio conteso con il Libano.

Da parte loro, questa settimana la Strategic Petroleum Reserve (SPR) degli Stati Uniti è scesa al livello più basso degli ultimi 35 anni. Di fronte a questa crisi, sia gli Stati Uniti che la Francia hanno intensificato gli sforzi per saccheggiare risorse dalla Siria e dallo Yemen.

lunedì 29 agosto 2022

In arrivo la “pugnalata” dei rincari energetici

 Nella  felice Olanda la borsa del gas ha battuto 296 euro per megawattora. E l’energia segna 605 euro (con i future sfiora i 700). Tanto per capire: il PUN, prezzo unico nazionale, cioè il prezzo di riferimento del mercato elettrico in Italia (intimamente connesso a quello del gas, soprattutto in una stagione di siccità, con i bacini idroelettrici costretti a regimi minimi), sempre mentre scriviamo, si traduce in 0,276 €/kWh (tariffa regolata da ARERA nel mercato tutelato). Un anno fa, ancora nella borsa di riferimento del gas, in Olanda, le quotazioni si fermavano a 26 euro Mwh: tradotto, significa un rincaro del 1000 (mille) per cento. Tutti record terrificanti, destinati probabilmente a peggiorare nei prossimi mesi, quando crescerà la domanda e diminuiranno le risorse (vista la chiusura del gasdotto Nord Stream). Tanto che moltissime imprese più o meno energivore (si va dalla grande siderurgia alla piccola lavanderia) temono un’imminente chiusura forzata dell’attività. Anche il turismo, pur sull’onda di un’ottima stagione estiva, non fa eccezione.

mercoledì 24 agosto 2022

Mario Draghi, il tributo del meeting di Rimini: la platea gli dedica 33 applausi

 Ovazione incredibile per Mario Draghi al meeting di Rimini. La platea ha accolto il presidente del Consiglio con un entusiasmo quasi inaspettato,tributandogli durante l'intervento ben 33 applausi. Il premier in pectore ha toccato tutti i temi che hanno scandito il periodo della sua presidenza dalla pianificazione e gestione del Pnrr fino alla guerra in Ucraina. Draghi alla fine non ha mancato di parlare del nuovo esecutivo, che nascerà dopo le prossime elezioni politiche 2022

«Gli italiani sceglieranno la composizione del nuovo Parlamento, che darà la fiducia a un nuovo governo, sulla base di un nuovo programma. A questo proposito: invito tutti ad andare a votare» afferma Draghi, che poi conclude «Sono convinto che il prossimo governo, qualunque sia il suo colore politico, riuscirà a superare quelle difficoltà che oggi appaiono insormontabili, come le abbiamo superate noi l'anno scorso. L'Italia ce la farà, anche questa voltà»

martedì 23 agosto 2022

Normative Covid

Da settembre si torna l'accordo individuale che sostituisce le norme previste durante l'emergenza Covid. Ma i datori di lavoro non dovranno comunicare l'adesione dipendente per dipendente ma avranno la possibilità di inviare in modo semplificato i nominativi. I lavoratori che non aderiranno all'accordo dovranno lavorare in presenza non essendo previste al momento meccanismi automatici per i lavoratori fragili o per chi ha figli under14. 

lunedì 14 marzo 2022

L’Unione Europea ripensa se stessa come potenza imperialista

 Vertice di Versailles l’Unione Europea ha inteso ripensare se stessa come “potenza” capace di affrontare la competizione globale, incluso sul piano militare.

La cornice “ideologica” rimane sempre quella della superiorità politica e morale da mettere in campo verso il resto del mondo. “È un momento in cui vediamo che la guerra di Putin è anche una questione di resilienza delle democrazie” ha detto Ursula von der Leyen. Ma le priorità sono molto più materiali: l’indipendenza energetica e la Difesa.

Per Macron: “L’UE cambierà più con la guerra che con la pandemia”.  Il presidente francese ha sostenuto l’ipotesi di un “Recovery Fund di guerra”, che da qui a maggio disegni una nuova Unione Europea. Macron ha proposto che le nuove spese militari siano finanziate, come il piano di recupero dopo il Covid-19, con il debito comune. La proposta francese di nuovi eurobond per ora ha visto reazioni prudenti da parte della Germania e dell’Olanda. 

Ma è proprio è la Germania che oggi punta al riarmo. Olaf Scholz  ha annunciato che il governo tedesco investirà 100 miliardi di euro in armi e porterà la spesa militare al 2 per cento del PIL. Anche la  Danimarca si è dichiarata disponibile a raggiungere il medesimo obiettivo.

Affari Internazionali segnala come già oggi la Germania spenda circa 45 miliardi di euro, pari al 1,5% del Pil nazionale, che sono, quindi, destinati a salire a quasi 60. “La prima conseguenza è che la Germania diventerebbe la prima potenza militare europea e, con gli attuali livelli di spesa internazionali, la terza al mondo”. 

La seconda conseguenza è che molto probabilmente “anche gli altri Paesi membri della Nato ancora lontani dalla soglia del 2%, concordata nel 2014 entro il 2024, dovrebbero avvicinarsi a questo obiettivo sia perché trainati in positivo dall’esempio tedesco sia per non rischiare di lasciare alla Germania un ruolo eccessivo nella difesa europea”. Questo significa che, in prospettiva, l’insieme dei Paesi UE potrebbe arrivare a investire nella difesa circa 264 miliardi di euro all’anno contro gli attuali 198 miliardi di euro.

Ma, al di là del documento che uscirà fuori dall’incontro dei 27 leader europei a Versailles, è significativo il segnale di un’inversione di tendenza. La spesa militare torna ad essere una priorità, e lo sarà ancor più se l’Unione Europea ambisce ad assumere iniziative diverse da quelle che può prendere l’Alleanza Atlantica. Il senso di questo passaggio storica era ben intellegibile sia nello Strategic Compass definito dalla Ue, sia nel rilanciare la “ipercompetizione” come sottolineato (pag.11) con enfasi dal discorso di Ursula von der Leyen sullo stato dell’Unione.

Allo stesso tempo, la Dichiarazione di Versailles, dovrà contemplare delle soluzioni a medio termine per rivedere la politica energetica comune. Questo processo comporterà il taglio delle forniture di molti paesi dell’EU dal gas e dal petrolio russo e il probabile rinvio di ogni seria ambizione al una transizione ecologica, oggi rimossa dalla guerra, ma incombente sul pianeta come e più di prima.

Scrive il Sole 24 Ore che l’obiettivo di un azzeramento della dipendenza dalle energie fossili russe “è stato accettato da tutti i governi -ma su una scadenza precisa c’erano dissensi tra i Paesi, anche se la Commissione insisteva sul 2027”. L’idea (controversa) di un tetto ai prezzi sul mercato all’ingrosso, proposto in particolare da Grecia, Spagna e Belgio, verrà discussa in sede tecnica e sarà ripresa nel prossimo summit di fine marzo a Bruxelles.

L’Unione Europea in due anni si è trovata a fare i conti con due “crisi costituenti” – la pandemia ed ora la guerra in Ucraina – delle quali ha approfittato per accelerare le tappe della costruzione di un “soggetto globale” per pesare di più sia dentro la Nato riequilibrando il rapporto con gli Usa, sia nelle relazioni internazionali più complessivamente.  “Il processo di integrazione europea procede da sempre e sui diversi fronti con velocità irregolare, lunghe stasi e improvvise accelerazioni. È la logica insita in ogni Unione di soggetti diversi che, al loro interno, cambiano in modi e tempi diversi”. A questa conclusione arriva anche Affari Internazionali espressione dello IAI, uno dei principali think thank strategici in Italia.

L’ultimo numero della rivista Contropiano prende di petto, e con dovizia di argomentazioni, proprio l’onda lunga di questa accelerazione dell’Unione Europea come sorta di nuovo “superstato imperialista”, prima dentro la crisi pandemica ed ora dentro la guerra in Europa.

Lo spirito del tempo e le ambizioni rivelate al vertice di Versailles ne sono una conferma a tutto tondo che sarà difficile continuare ad ignorare.


martedì 15 febbraio 2022

Morte dello studente in alternanza, proteste in tutta Italia

 Sono scesi subito in piazza nelle maggiori città italiane, gli studenti e le studentesse delle scuole medie superiori del paese.

La seconda tragica morte di un loro coetaneo mentre era impegnato in uno stage aziendale, avvenuta a Fermo nel marchigiano, ha scatenato la rabbia di un soggetto sociale in lotta da mesi e che ora ha conosciuto in poche settimane due prove di quello che va dicendo da anni: l’alternanza scuola-lavoro è un crimine e come tale va abolita, la formazione non può essere messa al servizio degli interessi privati dell’impresa.

In tutta Italia, blitz di OSA sotto gli Uffici Scolastici Regionali per richiedere l’abolizione immediata dei PCTO (l’attuale nome dell’Alternanza Scuola Lavoro, ndr) e le dimissioni di Bianchi”, si legge in una nota diramata sui social dall’Opposizione Studentesca d’Alternativa.

I blitz sono segnalati a Roma, Milano, Torino, Bologna, Bari e Pisa.

A Roma, OSA è con gli studenti del movimento ‘la Lupa’ partendo dal MIUR e arrivando a Montecitorio in corteo per le vie di Roma, per portare tutta la nostra rabbia sotto i palazzi del Governo Draghi”.

Proprio sotto il segno della Lupa, il neonato Movimento studentesco nazionale dalla due giorni di assemblea romana del 5 e 6 febbraio, in queste settimane si erano susseguite altre occupazioni (soprattutto a Torino).

È notizia di poco fa invece la prima occupazione in una scuola di Catania, sintomo di un malessere sociale che si propaga lungo tutto lo stivale e che gli studenti organizzati decidono di manifestare tramite l’atto – sia chiaro, tutto politico, come sempre è stato – dell’occupazione.

A questo ennesimo fatto tragico che colpisce la nostra generazione, dopo la morte di Lorenzo neanche un mese fa, la nostra risposta è la lotta”, continua l’Osa, che rilancia l’appuntamento di mobilitazione che si annuncia caldissimo di questo venerdì.

Gli studenti sono pronti a riversarsi nelle strade delle città di tutta Italia il 18 febbraio, per la giornata di Mobilitazione Studentesca Nazionale, per portare la rabbia della nostra generazione dopo questa ennesima morte, richiedere l’abolizione immediata dell’Alternanza Scuola Lavoro e chiedere le dimissioni del Ministro Bianchi in quanto responsabile della situazione gravissima che stiamo vivendo”.

Non dimenticheremo e non perdoneremo: è una promessa di lotta”. La scuola tanto voluta dall’Unione Europea (privatizzata, esamificio, precaria, al servizio del profitto sulla pelle degli studenti), e ben recepita da tutti i governi degli ultimi decenni, sta creando una generazione pronta a lottare per il proprio futuro, offuscato ancor di più dai venti di guerra che spirano in questa parte del mondo.

La borghesia produce innanzitutto i propri becchini”, scriveva Marx verso la conclusione del Manifesto nel 1848.

La scuola ha bisogno di una rivoluzione”, urlano oggi gli studenti.

giovedì 20 gennaio 2022

Sui Chips, e non solo, si palesa “l’Europa del potere”

 Intervenendo al World Economic Forum di Davos, la presidente della Commissione Europea Von der Leyen ha annunciato che la UE ha un piano per rendersi indipendente sul fronte delle forniture di microprocessori e scongiurare per il futuro non solo le crisi come quella che sta investendo il mercato dell’auto, ma anche il pericolo di finire sotto ricatto dei principali produttori mondiali: Usa e Cina su tutti. Insomma un messaggio inviato agli “amici” e ai “nemici”.

“Oggi posso annunciare qui che agli inizi febbraio proporremo il nostro European Chips Act. Ci aiuterà a compiere progressi in cinque aree: la prima, rafforzeremo la nostra capacità di innovazione e ricerca in Europa; secondo, ci concentreremo sul garantire la leadership europea in design e produzione; terzo, adatteremo ulteriormente le nostre regole sugli aiuti di Stato che permetterà, per la prima volta, il sostegno pubblico ai primi impianti di produzione; quarto, rafforzeremo la nostra tool box per affrontare la carenze e assicurare l’approvvigionamento e infine sosterremo le piccole imprese innovative”.

La diagnosi e le ambizioni evocate dalla Von der Leyen partono da un dato: non esiste transizione digitale senza chip e il fabbisogno europeo di chip raddoppierà nel prossimo decennio. Ma la quota di mercato globale dei semiconduttori in Europa è solo del 10% e oggi la maggior parte delle forniture proviene da una manciata di produttori al di fuori dell’Europa, questa quota deve raddoppiare entro il 2030. “Questa è una dipendenza e un’incertezza che semplicemente non possiamo permetterci”, ha aggiunto la presidente della Commissione Europea.

Una settimana fa, ad una conferenza a Bruxelles, era stato il Commissario europeo all’industria, Thierry Bretòn, ad annunciare il Chips Act ed a mettere nero su bianco le ambizioni industriali strategiche della Ue. E lo ha fatto parlando un linguaggio inusuale e molto diretto. “I semiconduttori sono un eccellente esempio di come l’Europa stia prendendo in mano il proprio destino. I semiconduttori sono stati una delle mie massime priorità sin dal primo giorno del mio mandato. Sono il fulcro della maggior parte delle tecnologie del futuro: 5G, 6G, edge computing, Internet of Things, intelligenza artificiale” ha detto Bretòn.

“Entro la fine del decennio, il mercato dei semiconduttori raddoppierà. Dobbiamo essere pronti, e soprattutto dobbiamo preparare il terreno per la nostra leadership sui semiconduttori di prossima generazione, cioè al di sotto dei 5 o addirittura 2 nanometri” ha sottolineato il Commissario europeo – “Il Chips Act, annunciato a settembre dal presidente von der Leyen, ci aiuterà in questo. Accelerare il passaggio dalla ricerca alla fabbrica, investire nei mega-fab europei, promuovere partnership internazionali: tutti gli ingredienti ci sono. Il Chips Act creerà anche le giuste condizioni di investimento per garantire la sicurezza dell’approvvigionamento lungo la catena del valore e resistere meglio a potenziali crisi in questo mercato chiave per le nostre future industrie”.

Ma sono state le conclusioni “politiche” del Commissario europeo ad indicare una tabella di marcia e un atteggiamento molto più aggressivo da parte della Ue nella competizione globale. “Sono convinto che l’Europa abbia tutte le carte in regola per ridisegnare gli equilibri di potere. Non esiste una cosa come la fatalità. Quando l’Europa ha la volontà di unirsi e marciare in ranghi serrati, ci riesce” ha affermato Bretòn – “Abbiamo un’occasione unica per scrivere insieme una nuova pagina, oltre a quelle già scritte: dopo l’Europa della democrazia e l’Europa del mercato, apriamo ora la strada a un’Europa del potere”.

Insomma toni decisamente più inquietanti di quelli ascoltati fino all’altroieri nei felpati corridoi di Bruxelles. Ci si lascia quindi alle spalle la facciata democratica, poi il feticcio del libero mercato e si afferma che è il tempo del potere e della potenza. Che dire? E’ la competizione globale bellezza e qui ormai giocano tutti duro.

sabato 1 gennaio 2022

l governo nel pallone: abolisce di fatto la quarantena

 Allora, diciamola in modo semplice: i governi occidentali, compreso quello italiano, di fronte al moltiplicarsi incontrollabile dei contagi scelgono di diminuire i periodi di quarantena in caso di contatto con portatori accertati del Covid, in qualsiasi variante si presenti.

Lo fanno – e lo dicono apertamente – per impedire che il contagio generalizzato della popolazione porti al sostanziale blocco dell’economia. Visto che, come sta accadendo in molti settori, la necessità di mettersi in isolamento impedisce a un numero crescente di persone di andare a lavorare.

Per di più, un incapace cronico messo a guidare la pubblica amministrazione pretende che i dipendenti pubblici in smart working – quindi a minore rischio di esposizione e di contagio attivo – tornino immediatamente al lavoro “in presenza”. Evidentemente il virus gli piace…

Il ministro dell’istruzione, appoggiato dal super presidente del consiglio, esclude che alla scadenza delle vacanze natalizie gli studenti possano evitare di ammassarsi nuovamente dentro edifici scolastici che dopo due anni non hanno ricevuto alcuna manutenzione adattativa al Covid.

Questo nonostante che i dati riferiscano che ormai il contagio passa soprattutto attraverso le fasce giovanili semi-risparmiate dalla prima variante originale (“Wuhan”).

Qualsiasi virologo o epidemiologo, da due anni a questa parte, ci spiega che per impedire i contagi – e lo sviluppo delle “varianti” – bisogna fare l’esatto opposto. Ma il Pil è sacro e molti scienziati fanno poi come il prof. Mindy in Don’t look up: si adeguano, ammorbidiscono, “conciliano”, trovano compromessi…

Quel che è venuto fuori da un Consiglio dei ministri particolarmente complicato, dopo uno scontro altrettanto duro con e dentro il Cts, è un elenco di misure più cervellotiche non si può. Vediamole: 

Nuove misure in merito all’estensione del Green Pass Rafforzato (che si può ottenere con il completamento del ciclo vaccinale e la guarigione) e le quarantene per i vaccinati.

Dal 10 gennaio 2022 fino alla cessazione dello stato di emergenza, si amplia l’uso del Green Pass Rafforzato alle seguenti attività:

  • alberghi e strutture ricettive;
  • feste conseguenti alle cerimonie civili o religiose;
  • sagre e fiere
  • centri congressi
  • servizi di ristorazione all’aperto
  • impianti di risalita con finalità turistico-commerciale anche se ubicati in comprensori sciistici
  • piscine, centri natatori, sport di squadra e centri benessere anche all’aperto
  • centri culturali, centri sociali e ricreativi per le attività all’aperto.

Inoltre il Green Pass Rafforzato è necessario per l’accesso e l’utilizzo dei mezzi di trasporto compreso il trasporto pubblico locale o regionale.”

Ognuno di voi può agevolmente trovare altre decine di occasioni altrettanto favorevoli per la circolazione del virus – a cominciare dai luoghi di lavoro – che non sono menzionate.

Ma non è neanche questo l’aspetto più eclatante. La gestione delle quarantene, infatti, sfida contemporaneamente le leggi della logica, quelle della comunicazione e – ovviamente – quelle della salute pubblica.

Il decreto prevede che la quarantena precauzionale non si applica a coloro che hanno avuto contatti stretti con soggetti confermati positivi al COVID-19 nei 120 giorni dal completamento del ciclo vaccinale primario o dalla guarigione nonché dopo la somministrazione della dose di richiamo.

Fino al decimo giorno successivo all’ultima esposizione al caso, ai suddetti soggetti è fatto obbligo di indossare i dispositivi di protezione delle vie respiratorie di tipo FFP2 e di effettuare – solo qualora sintomatici – un test antigenico rapido o molecolare al quinto giorno successivo all’ultima esposizione al caso.

Infine, si prevede che la cessazione della quarantena o dell’auto-sorveglianza sopradescritta consegua all’esito negativo di un test antigenico rapido o molecolare, effettuato anche presso centri privati; in tale ultimo caso la trasmissione all’Asl del referto a esito negativo, con modalità anche elettroniche, determina la cessazione di quarantena o del periodo di auto-sorveglianza.

Vedete un po’ voi se è possibile lasciare una materia del genere al caso (alla freddezza e responsabilità dei singoli, magari pressati da datori di lavoro che non vogliono perdere neanche una frazione di prodotto, necessità o menefreghismo vari, ecc). 

Tanto più che vengono considerati “buoni” per uscire dalla quarantena test antigenici rapidi – diventati nel frattempo quasi introvabili, come anche quelli molecolari – che sono valutati “inaffidabili” per la verifica certa, o no, del contagio. E quindi per entrarci

Di fatto, e come sempre, si cerca di andare avanti addebitando gli insuccessi inevitabili di una strategia demenziale ad una minoranza altrettanto demenziale che rifiuta il vaccino in nome delle teorie più strane, oltre che per paura. 

I “no vax” sono da questo punto di vista utilissimi, e nessuno si cura di far notare che con l’obbligatorietà vaccinale verrebbe a crollare anche questo diversivo del governo.

Si è tentati di descrivere questo esecutivo come un branco di sciamannati qualsiasi, ma sappiamo bene che questa sciatteria e confusione sono il risultato di scelte sciagurate fatte nel corso degli ultimi due anni. E che ora vengono non solo confermate, ma addirittura aggravate.

Frutto maturo, insomma, di una strategia suicida: “convivere con il virus”.

Abbiamo spesso contrapposto a questa emerita cazzata la strategia molto diversa adottata dalla Cina, ma anche da altri paesi, non necessariamente socialisti (o diversamente socialisti): isolare i focolai al primo manifestarsi, testare tutta la popolazione in quella determinata area, individuazione e tracciamento dei contagiati, isolamento reale – non “fiduciario” – fino a guarigione. Poi, una volta prodotti i vaccini, anche vaccinazione di massa.

All’inizio si poteva fare anche qui, e con i primi focolai era anche stato fatto (Codogno, Vò Euganeo, ecc). Ma immediatamente si alzarono i vampiri di Confindustria, preoccupati di perdere qualche briciola di profitto per qualche mese; impedirono perciò  la dichiarazione di “zona rossa” per Bergamo e la Val Seriana, condannando a morte un numero ancora imprecisato di persone in quella zona e permettendo così al virus di dilagare in tutta Italia.

Non che gli altri paesi occidentali abbiano fatto qualcosa di diverso. Ognuno ha proseguito con il suo personale “io speriamo che me la cavo”, rassegnandosi ad adottare misure di contenimento solo quando gli ospedali arrivavano al limite dell’esplosione.

Oggi le strategie iniziali non sono più possibili. Il virus è ovunque, e muta continuamente. Anche il fatto che la “variante omicron” sia dipinta come “più contagiosa, ma meno letale” – pur in assenza, per il momento, di studi che lo confermino con qualche precisione – viene utilizzato per “allentare” ancora di più le misure di sicurezza.

A conti fatti, per quanto spannometrici (in assenza, ripetiamo, di studi definitivi), se il numero dei contagi si moltiplica per cinque – come detto da autorevoli virologi, per quanto “morbidi” con i rispettivi governi – anche quei “pochi morti in percentuale” che questa variante provoca sono da moltiplicare per cinque. 

Insomma, alla fine, in numeri assoluti – che sono quelli che contano – ospedalizzati e morti saranno più o meno gli stessi: una marea.

Persino l‘Organizzazione mondiale della sanità, che certo non brilla per rigore scientifico, ha dichiarato che la riduzione del periodo di quarantena decisa in alcuni Paesi, tra cui l’Italia, è “un compromesso” tra il controllo dei contagi e la necessità di far andare avanti le economie. 

Se il virus fosse un nemico “ragionevole”, sarebbe anche una scelta logica. Purtroppo non ragiona; si replica all’infinito, finché può. Bisogna combatterlo, non “conviverci”. Altrimenti non ne usciremo mai.

Questo è quel che accade dove “la politica” – con o senza “i migliori” – è un cameriere al servizio delle imprese private, in cui dunque sono le loro esigenze immediate a determinare scelte altrettanto di breve respiro, che producono catene di problemi che si aggrovigliano nel tempo e diventano irrisolvibili con criteri “normali”.

Inutile far notare che dove è invece la politica – e la ricerca scientifica – a dettare l’agenda e le strategia, non stranamente l’economia va molto meglio, nonostante la pandemia, i lockdown e le eccezionali misure di prevenzione adottate anche in casi numericamente minimi.

Un esempio di questi giorni. A Xi’an, a dicembre, sono stati registrati 330 casi di contagio. Per questo i 13 milioni di abitanti della città sono stati messi in lockdown, chiusi in casa, con un esercito di volontari che porta loro da mangiare e un esercito di medici-infermieri che fa il tampone a tutti

Con questo metodo, adottato ormai da due anni, si isolano rapidamente i pochi casi, si curano a seconda della gravità in ospedale o a casa, e in meno di un mese quella città torna in genere alla piena – e vera – normalità.