giovedì 31 agosto 2017

Inail: 591 morti sul lavoro nel 2017, infortuni in aumento

Le denunce d’infortunio mortale presentate all’Inail nei primi sette mesi di quest’anno sono state 591, 29 in più rispetto ai 562 decessi dell’analogo periodo del 2016 (+5,2%). L’incremento è legato principalmente alla componente maschile, i cui casi mortali sono saliti da 506 a 531 (+4,9%), mentre quella femminile ha fatto registrare un aumento di quattro casi, da 56 a 60 decessi (+7,1%).
L’aumento di 29 denunce d’infortunio con esito mortale è la sintesi di andamenti diversi osservati nelle singole gestioni. Quella dell’Industria e servizi, infatti, è la sola che ha avuto un incremento, decisivo nel saldo negativo finale, da 450 a 497 casi (+10,4%), mentre Agricoltura e Conto Stato presentano entrambe una diminuzione rispettivamente da 80 a 76 casi (-5%) e da 32 a 18 (-43,8%)
Dall’analisi territoriale emerge un aumento di 33 casi delle denunce d’infortuni con esito mortale nel Nord-Ovest (Lombardia +15 decessi, Liguria, +10, Piemonte +8), cui si contrappongono i dati del Centro, per il quale si registra un calo di 12 decessi (Marche -6 casi, Toscana -4, Lazio -1, Umbria -1), e quelli del Nord-Est (tre denunce in meno), dove spiccano in particolare i dati del Veneto (-10 casi) e del Friuli Venezia Giulia (+9).
Nel Sud (-2 casi mortali per l’intera area geografica), l’incremento dell’Abruzzo (+15 casi) praticamente pareggia la diminuzione delle denunce registrata nelle altre regioni, mentre nelle Isole (+13 denunce), la Sicilia si evidenzia per i suoi 15 casi in più.
Nei confronti di periodo, le variazioni percentuali delle denunce di infortuni mortali presentate all’Inail nel 2017 finora hanno sempre avuto segno positivo, con l’unica eccezione del primo quadrimestre che, al contrario, aveva fatto registrare una diminuzione rispetto ai primi quattro mesi del 2016.
A fare la differenza nel saldo finale dei primi sette mesi di quest’anno continua a essere soprattutto il dato di gennaio, con 30 denunce mortali in più rispetto al primo mese del 2016 (95 contro 65 casi), oltre la metà delle quali legate alle due tragedie di Rigopiano e Campo Felice. Il confronto tra luglio 2016 e luglio 2017 fa registrare invece un incremento di tre casi.
Nei primi sette mesi di quest’anno, inoltre, le denunce d’infortunio pervenute all’Inail sono state 380.236, 4.750 in più rispetto allo stesso periodo del 2016 (+1,3%), per effetto di un aumento infortunistico dell’1,2% registrato per i lavoratori (2.832 casi in più) e dell’1,4% per le lavoratrici (oltre 1.900 in più).
All’incremento hanno contribuito soltanto la gestione Industria e servizi (+2,1%) e la gestione Conto Stato dipendenti (+3,6%), mentre Agricoltura e Conto Stato studenti delle scuole pubbliche statali hanno fatto segnare un calo pari, rispettivamente, al 5,0% e all’1,9%.
A livello territoriale, le denunce d’infortunio sono aumentate al Nord (oltre 5.800 casi in più) e, in misura più contenuta, al Centro (+245), mentre hanno fatto registrare una diminuzione al Sud (-985) e nelle Isole (-337).
Gli aumenti maggiori, in valore assoluto, si sono registrati in Lombardia (+2.821 denunce) ed Emilia Romagna (+1.560), mentre le riduzioni più sensibili sono quelle rilevate in Puglia (-672) e Sicilia (-658).
Nel solo mese di luglio, in particolare, sono state rilevate 46.390 denunce, 1.608 in più rispetto a luglio 2016 (+3,6%). Il numero dei giorni lavorativi è stato identico sia per i mesi di luglio 2016-2017 (21) sia per l’intero periodo gennaio-luglio (146).

mercoledì 30 agosto 2017

La Cina ha respinto queste nuove sanzioni statunitensi contro il Venezuela, con la richiesta di porre fine alle ingerenza straniere negli affari interni della nazione sudamericana

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha firmato un nuovo ordine esecutivo volto a colpire la capacità di finanziamento del debito per lo Stato venezuelano e l’azienda pubblica PDVSA, nel tentativo di fermare i finanziamenti che ah definito come combustibile per la «dittatura» di Maduro.

La nuova pesante ingerenza negli affari interni del Venezuela ha trovato la ferma condanna della Cina.

La Cina ha respinto queste nuove sanzioni statunitensi contro il Venezuela, con la richiesta di porre fine alle ingerenza straniere negli affari interni della nazione sudamericana. Pechino ha aggiunto che l’imposizione di sanzioni unilaterali hanno storicamente solo complicato le situazioni.

«L'esperienza della storia mostra che le interferenze esterne o le sanzioni unilaterali renderanno la situazione ancora più complicata e non contribuiranno a risolvere il problema reale», ha dichiarato Hua Chunying, portavoce del Ministero degli Esteri della Repubblica Popolare Cinese, in occasione di un incontro con la stampa.

«Gli attuali problemi del Venezuela dovrebbero essere risolti dal governo venezuelano e dal popolo», ha aggiunto Chunying.

All'inizio di questo mese, la Cina ha affermato di credere che le elezioni per l’Assemblea Costituente del Venezuela si siano «tenute senza problemi», spazzando via la condanna proveniente dagli Stati Uniti, dall'Unione europea e da altri paesi satellite degli Stati Uniti, Italia compresa.

Mentre gli Stati Uniti continuano con minacce e azioni contro il Venezuela, la Cina è rimasta un forte alleato della nazione bolivariana, continuando a onorare i rapporti commerciali e ad avanzare nuove offerte petrolifere.
Sulla stessa lunghezza d’onda del colosso asiatico i tre ex capi di Stato Jose Luis Rodriguez Zapatero, Leonel Fernandez e Martin Torrijos - mediatori tra governo e opposizione - che hanno condannato la pressione politica e finanziaria esercitata dagli Stati Uniti contro la Repubblica Bolivariana del Venezuela, sanzioni e minacce di intervento militare incluse.

I tre ex capi di stato hanno criticato le sanzioni finanziarie imposte dagli Stati Uniti e la proposta di un intervento militare per risolvere la crisi venezuelana. «Riteniamo che le sanzioni e l'ipotesi avanzata da un intervento militare non contribuiscano ad una soluzione intelligente e costruttiva».

martedì 29 agosto 2017

Ecco come Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti inviano armi ai terroristi in Siria e in Iraq

Una giornalista investigativa bulgara, Dilyana Gaytandzhiev ha realizzato un reportage agli inizi dello scorso luglio e citato ieri dalla tv del Qatar Al Jazeera nel quale si rivela come gli Emirati Arabi Uniti e Riyadh hanno utilizzato una compagnia aerea dell'Azerbaigian per trasferire grandi quantità di pesanti armi in Siria e Iraq per camuffare i punti di partenza e destinazione finale di questi carichi.

Nel reportage di Dilyana Gaytandzhiev, si sostiene che questi due paesi arabi, l'esercito degli Stati Uniti e molti altri paesi hanno utilizzato le linee aeree State Silk Way Airlines dell'Azerbagian per il trasporto di grandi quantità di armi che finivano nelle mani del gruppo terroristico ISIS (Daesh in arabo ) e anche di alcuni gruppi armati in Africa.

"Almeno 350 voli diplomatici della Silk Way Airlines hanno trasportato armi per conflitti di guerra in tutto il mondo nel corso degli ultimi 3 anni" ha scritto Gaytandzhiev nel suo articolo, pubblicato su 'Trud', il periodico di maggiore diffusione in Bulgaria.
 

lunedì 28 agosto 2017

Le forze irachene hanno liberato Tal Afar, bastione dell'ISIS

I soldati iracheni sono riusciti a ottenere il controllo della città dopo una settimana di combattimenti contro i terroristi.

Le forze armate irachene hanno potuto liberare completamente la città di Tal Afar, uno degli ultimi bastioni dell'ISIS dopo una settimana di combattimenti contro i terroristi dell'ISIS, ha riferito l'agenzia irachena Rudaw.

L'operazione militare dell'esercito iracheno nella città di Tal Afar, situata a 80 chilometri ad ovest di Mosul, è stata annunciata lo scorso agosto 19 dal primo ministro del paese, Haider al Abadi.

"O si arrendono, o moriranno", aveva avvertito Abadi minacciando i terroristi in un discorso televisivo.
 
Situata lungo un'autostrada che è stata una via chiave di rifornimento dei terroristi, la città di Tal Afar è stata considerata come uno dei bastioni strategici dell'ISIS in Iraq.

Già ieri, l'esercito iracheno aveva annunciato di aver assunto il controllo del 70% della città, incluso il centro.

martedì 22 agosto 2017

Renzi il terrorismo e la scuola

L’ex premier Matteo Renzi, (ma poi è mai stato ex?), dopo la strage di Barcellona ha dichiarato: “Bisogna investire in sicurezza, in controlli sempre maggiori, in presenza sempre più efficace delle forze dell’ordine Ma accanto a questi investimenti sulla sicurezza, dobbiamo investire in cultura. Loro ci vogliono morti, noi dobbiamo e vogliamo vivere”, prosegue Renzi su Facebook.
Bene, Renzi l’ex premier, ha parlato di cultura. A questo punto se si deve parlare di cultura mi sembra che l’ultima parola la debbano avere gli insegnanti. Gli ultimi intellettuali di questo Paese. Anche se per tutti siamo un fardello da denigrare e accusare.
Io non voglio parlare di Barcellona. Sappiamo che ci vogliono imporre la limitazione della libertà e dei diritti individuali quindi, ad azione corrisponde una reazione.
E la nostra reazione andrà verso questo: la limitazione delle libertà e dei diritti individuali.
Noi insegnanti siamo il primo tramite dopo la famiglia, a spiegare ai nostri ragazzi che queste strategie ignoranti conclamate da pochissimi squilibrati, devono essere abbattute dalla cultura, dalla conoscenza e dalla massima informazione.
Ma a questo punto mi chiedo, quale tempo avremo per educare i nostri ragazzi alla consapevolezza e alla comprensione di questo mondo che sta sanguinando?
Il nostro caro ex Premier dice che dobbiamo investire in cultura, ma di quale sapere parla? Quella che ci propinato con la “Buona Scuola?
Di quale cultura stiamo parlando? Faremo un progetto e un riassunto sulle imprese dell’’Isis che come primo scopo, vuole che noi interveniamo militarmente nel medio oriente?
Vuole che spieghiamo ai nostri ragazzi che la ragione come ci spiega bene Massimo Fontana è che se noi interveniamo in Medio Oriente lo facciamo con la guerra e la guerra crea il caos, il vuoto di potere e sofferenza per la popolazione?
Ma li, dove c’è il caos, il vuoto di potere e sofferenza per la popolazione, l’Isis nasce e prospera. E questo, secondo Renzi, lo possono fare i docenti che oltre ad insegnare il loro programma, a fare tutti gli aggiornamenti, oltre a riempire carte tutto il giorno, oltre a tutto il lavoro sommerso che continuiamo a denunciare, ancora ci parla di investire nella cultura?
L’ex premier ha investito nella Scuola, cercando di distruggerla. La cultura di questa parte politica non è stata mai una fisionomia della “Buona Scuola”, la cultura raffigurata dall’ex premier, sono stati bonus e i vari premi per chi china il capo davanti al Gran Capo. Bonus per imbonirci, per comprare i nostri voti, voti che noi insegnanti non gli daremo mai.
La parola cultura è difficile da comprendere per i politici, perché l’istruzione contrasta l’asservimento.
Abbiamo visto ultimamente come abbiamo investito nella civiltà di Governo: tagli, liceo breve, un contratto ancora fermo da 8 anni. E questo è investire nella civiltà Sig. ex Premier?
Ridate dignità al docente portando gli stipendi al pari di tutti i paesi europei, perché la scuola siamo noi insegnanti. E lasci stare questa benedetta Scuola, pensi ai mille problemi che ha.
La Scuola è già in coma profondo grazie a Lei.
E questo, noi insegnanti, ce lo ricorderemo nella cabina elettorale.
Investiamo nella cultura, certo, ma dateci gli strumenti per farlo.
Tempo pieno, compresenze, allungamento dei cicli scolastici, docenti, materiali.
Gessetti colorati, e perché no, l’aumento del nostro stipendio.
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giovedì 17 agosto 2017

Nel 2017 in fumo già 24mila ettari di aree protette

'emergenza incendi non conosce tregua e non risparmia neanche le maggior aree di valore naturalistico, incluse quelle nella Rete Natura 2000. Non solo il Vesuvio, ma anche tante altre aree protette, nazionali e regionali, sono sotto la morsa degli incendi: dal Cilento e Vallo di Diano, al Gargano, dall'Alta Murgia alla Majella, dalla Sila al Pollino al Gran Sasso passando per la Riserva dello Zingaro in Sicilia, sono troppe le aree di pregio del centro-sud finite in balia di ecocriminali e piromani. Nel 2017 sono ben 24.677 gli ettari delle Zone di Protezione Speciale – ZPS (istituite in base alla direttiva Uccelli per tutelare l’avifauna e i loro habitat) bruciati dalle fiamme, 22.399 quelli dei Siti di Importanza Comunitaria – SIC (istituiti in base alla direttiva Habitat per preservare habitat e specie animali e vegetali minacciate presenti nel nostro Paese) andati in fumo e ben 21.204 gli ettari dei parchi e delle aree protette devastati dalle fiamme. Tenuto conto della parziale sovrapposizione delle tre tipologie, la superficie complessiva stimata colpita dai roghi ammonta a circa 35.000 ettari, un danno ingente al paesaggio, al patrimonio di biodiversità con rischi per l’incolumità delle persone e dei beni. Tra le regioni più colpite Sicilia, Campania e Calabria.
Sono questi i dati elaborati da Legambiente che ha voluto confrontare e analizzare i dati cartografici delle superfici percorse dal fuoco raccolti dalla Commissione europea con quanta parte della “natura protetta” sia bruciata fino ad oggi in Italia, e il quadro che emerge è davvero preoccupante: quasi un terzo dell’intera superficie percorsa dal fuoco, tra il 1 gennaio e il 6 agosto 2017, ha interessato le aree di maggior valore naturalistico presenti in Italia e incluse nella rete Natura 2000, la rete europea a cui afferiscono i Siti di Importanza Comunitaria – SIC designati sulla base della direttiva Habitat e le Zone di Protezione Speciale – ZPS designate sulla base della direttiva Uccelli. Invece in tutta la Penisola la superficie complessiva bruciata, dall'inizio del 2017 fino al 10 agosto, ha superato quota 101.000 ettari, più che raddoppiando quanto andato in fumo in tutto il 2016.
“Il 2017 verrà ricordato, come lo furono il 2007 e il 1997, come un anno orribile per la devastazione prodotta dal fuoco che ha divorato anche gran parte del patrimonio naturalistico italiano – dichiara Stefano Ciafani, direttore generale di Legambiente - Governo, Regioni, Comuni ed Enti parco assumano piena consapevolezza del danno enorme che deriva dall’arrivare impreparati alla stagione critica per il rischio incendi, ancor più oggi che i cambiamenti climatici stanno ulteriormente aggravando tale rischio. In particolare i diciassette anni trascorsi dalla pubblicazione delle legge 353 del 2000, che assegna competenze e ruoli per prevedere, prevenire e contrastare gli incendi boschivi, rappresentano un arco temporale tale da rendere inaccettabile questo disastro ambientale. Ognuno si assuma, dunque, le proprie responsabilità e assolva ai già troppi ritardi accumulati fino ad ora, prima che sia troppo tardi. Servono più prevenzione e controlli e una efficace politica di adattamento ai cambiamenti climatici”.
Tornando ai dati elaborati da Legambiente, gli incendi nel 2017 hanno coinvolto in Italia 87 Siti di Importanza Comunitaria (principalmente in: 31 Sicilia, 24 Campania, 8 Calabria, 7 Puglia, 5 Lazio, 4 Liguria), 35 Zone di Protezione Speciale (10 Sicilia, 6 Campania, 5 Calabria, 5 Lazio, 3 Puglia, 1 Liguria) e 45 Parchi e Aree protette (12 Sicilia, 13 Campania, 5 Lazio, 4 Calabria, 4 Puglia, 1 Liguria), tra cui 9 Parchi nazionali, 15 Parchi regionali e 16 Riserve naturali. Le regioni che hanno perso il patrimoni maggiore sono: la Sicilia (con 11.817 ettari (ha) bruciati nei SIC, 8.610 nelle ZPS e 5.851 nelle Aree protette), la Campania (8.265 ha nei SIC, 4.681 nelle ZPS e 8.312 nelle Aree protette), la Calabria (666 ha nei SIC, 3.427 nelle ZPS e 3.419 nelle Aree protette), la Puglia (1.687 ha nei SIC, 1.535 nelle ZPS e 1.283 nelle Aree protette), il Lazio (173 ha nei SIC, 2.797 nelle ZPS e 847 nelle Aree protette) e la Liguria (1.083 ha nei SIC, 325 nelle ZPS e 300 nelle Aree protette). Legambiente ricorda che le Regioni sono le istituzioni che hanno la principale responsabilità per l’efficace ed efficiente gestione della rete Natura 2000, in questa emergenza incendi che ha devastato la Penisola e le aree di pregio naturalistico hanno dimostrato una grande impreparazione nel saper prevenire e mettere in sicurezza il prezioso patrimonio naturalistico dal rischio incendio.
In questa emergenza incendi che ha colpito anche la natura protetta, oltre ai troppi e ingiustificati ritardi regionali e nazionali, ha pesato anche la burocrazia, la mancanza di un’efficace macchina organizzativa, di politiche di gestione forestale sostenibili come dimostra la situazione reale e il ritardo nell’aggiornamento dei piani AIB dei parchi e delle riserve naturali dello Stato. Allo stato attuale risultano 13 piani AIB vigenti, otto con l’iter non ancora concluso e due Parchi (Stelvio e quello del Cilento e Vallo di Diano) con il piano antincendi recentemente scaduto e da aggiornare.
In particolare Legambiente ricorda che gli strumenti normativi che le aree protette hanno a disposizione sono il frutto della legge 353/2000 e prevedono che ogni area protetta nazionale, Parco o Riserva, si  doti di un Piano antincendio boschivo. Il piano ogni tre anni viene redatto dall'area protetta e approvato dal Ministero dell'Ambiente sentito il parere dell’ex Corpo Forestale dello Stato. Il Piano AIB di ogni aree protetta farà parte del Piano AIB della regione di competenza che ha invece validità annuale. Per l'associazione ambientalista è fondamentale allineare queste scadenze predisponendo per tutti piani annuali. Altra questione da risolvere sono i tempi di approvazione dei Piani che sono troppo lunghi e con passaggi complicati. “Un piano che deve rispondere a fenomeni così variabili, perché legati al clima che cambia - spiega Ciafani - si deve approntare in un mese al massimo e a ridosso dell'inizio della stagione estiva in modo da utilizzare analisi e previsioni più credibili. Non può essere perciò più il meccanismo di predisposizione, approvazione e inserimento nel piano regionale come prevede attualmente la legge 353/2000. È una norma che risponde alle esigenze di una  burocrazia cervellotica ma non alle esigenze di tutela dei boschi dagli incendi”.
Altra questione riguarda il catasto delle aree percorse dal fuoco, che deve prevedere un aggiornamento automatico delle cartografie e dei vincoli a scala comunale. Per Legambiente non può dipendere dalla volontà di un comune la vigenza di un vincolo su un'area incendiata, ma deve essere imposto da una autorità che impone in automatico il vincolo e la sua cogenza. Infine visti i ritardi che si sono verificati, l'associazione ambientalista propone di ristrutturare quella rete di presidio locale garantito negli ultimi 20 anni dalle associazioni di volontariato.

giovedì 10 agosto 2017

NON CHIAMATELA CRISI: E' UNA GUERRA

a crisi – economica, politica, sociale e istituzionale – che stanno vivendo le democrazie occidentali, in particolar modo quelle europee, non inizia nel 2008, e neppure nei primi anni duemila, con l’introduzione dell’euro, come recita la vulgata. È una crisi che ha origini molto più lontane, che risalgono almeno alla metà degli anni Settanta. È a quel punto che il cosiddetto modello keynesiano, che aveva dominato le economie occidentali fin dal dopoguerra, entra in crisi. Come sappiamo, si trattava di un modello basato su una forte presenza dello Stato nell’economia (per mezzo di politiche industriali, sostegno agli investimenti e alla domanda eccetera), un welfare molto sviluppato, politiche del lavoro tese verso la piena occupazione e la crescita dei salari (più o meno in linea con la crescita della produttività) e l’istituzionalizzazione dei sindacati e della concertazione come strumento di mediazione tra gli interessi dei lavoratori e quelli delle imprese.

martedì 8 agosto 2017

Il Qatar acquisterà dall’Italia sette navi da guerra

A Doha, in una conferenza stampa congiunta col ministro degli Esteri italiano Angelino Alfano, il suo omologo del Qatar, lo sceicco Mohamed Abderrahman Al Thani ha dichiarato che il piccolo ma potentissimo paese del Golfo Persico acquisterà dall’Italia sette navi da guerra per un valore di cinque miliardi di euro: “Abbiamo siglato un contratto a profitto delle forze navali del Qatar in vista dell’acquisizione di sette navi da guerra dall’Italia per un totale di cinque miliardi di euro”, sono state infatti le sue parole, confermate anche da Alfano che però ha preferito glissare sulla tipologia delle navi e sul totale della commessa.
Secondo alcune fonti di stampa si tratterebbe di quattro corvette, una nave da sbarco anfibia e due pattugliatori. Durante la sua visita a Doha, avrebbe chiesto anche una de-escalation della cosiddetta “crisi del Golfo” che vede il Qatar contrapposto all’Arabia Saudita, con quest’ultima sostenuta anche dagli Stati Uniti: una posizione che spacca il Consiglio di Cooperazione del Golfo e che si ripercuote anche negli equilibri degli altri paesi mediorientali, in primo luogo la Siria.
Non va neppure trascurata la preoccupazione che l’Italia ripone sulla delicata questione libica, col governo di Tobruk sostenuto dall’Egitto e pertanto gradito “a distanza” anche dall’Arabia Saudita, e quello ufficialmente riconosciuto dall’ONU e sostenuto anche dall’Italia, con sede a Tripoli, dove sono da sempre attivi i Fratelli Musulmani vicini al Qatar.
Intanto una trentina di membri della famiglia dello sceicco Abdullah Bin Kalifa Al Thani, consigliere speciale e zio dell’emiro del Qatar è arrivata in Italia. La famiglia è atterrata a Genova a bordo di un quadrimotore Airbus A340 per poi dirigersi verso il Porto Antico, dove s’è imbarcata su un megayacht che salperà oggi e che farà il giro del Mediterraneo fino ai primi di settembre. Anche questa è una piccola ma importante riprova dei grandi interessi economici che il Qatar ha in Italia, evidentemente molto ben visti anche dalle nostre autorità.

lunedì 7 agosto 2017

Pensioni, tagli per le quattordicesime pagate all’estero

Nel 2016 sono costate allo Stato italiano 80 milioni di euro. Parliamo di quelle prestazioni assistenziali pagate ai pensionati residenti all’estero, fra cui la quattordicesima. Il presidente dell’Inps Tito Boeri ha denunciato la situazione lo scorso mercoledì durante un’audizione al Senato. Il Comitato per gli italiani all’estero del Senato ha annunciato l’inizio dello studio di misure “per ridurre la parte assistenziale del trattamento pensionistico riconosciuto ai nostri connazionali residenti in altri Paesi”. L’obiettivo è evitare che il sostegno dell’Inps sostituisca quello erogato dallo Stato di residenza, come avviene oggi.
I tagli, che dovrebbero essere introdotti con la prossima legge di bilancio, varranno solo per i Paesi in cui c’è un sistema di protezione in modo che per il singolo pensionato non cambierà nulla. Discorso diverso per quegli Stati che non offrono un sistema di protezione adeguato. In questo caso l’Italia continuerebbe a pagare quattordicesime, integrazioni al minimo e altre maggiorazioni. Come precisato da Claudio Micheloni, presidente del Comitato per gli italiani all’estero, “l’intervento non toccherebbe le pensioni maturate con i contributi”.
Quello dei pensionati che vanno all’estero è un fenomeno in espansione e secondo Boeri continuerà ad aumentare in futuro. Le destinazioni più gettonate sono il Portogallo e le Canarie. Ha commentato Boeri:
“Forse sarebbe utile che il nostro Paese “importasse”, si rendesse appetibile ai pensionati che vengono da altri Paesi per aumentare la domanda interna e anche le entrate fiscali”
Secondo i dati forniti dall’Inps, l’ultima legge di Bilancio ha esteso la platea di destinatari della quattordicesima, per cui è stato erogato all’estero un totale di 35,6 milioni di euro.

giovedì 3 agosto 2017

Ambiente, risorse finite: dal 2 agosto l’umanità vive a credito

Ormai in poco più di un semestre l’uomo ha già consumato le risorse naturali dell’ambiente in cui viviamo e che in teoria dovrebbero durare un anno intero. Secondo i calcoli di Global Footprint Network abbiamo difatti già finito tutte le risorse naturali a disposizione qui il nostro pianeta può produrre in un anno e da oggi mercoledì 2 agosto fino al 31 dicembre l’umanità vivrà a credito.
È il giorno del superamento delle risorse ambientali (“Earth overshoot day” in inglese) è viene calcolato ogni anno dall’istituto di ricerche con sede a Oakland, in California, sulla base di 15 mila dati delle Nazioni Uniti. Le informazioni e i numeri consentono di mettere a confronto “l’orma ecologica” che l’uomo lascia sulla Terra, ossia allo sfruttamento delle risorse naturali del pianeta, con la biocapacità della natura, ossia la capacità di ricostituire le sue risorse e assorbire i gas dell’effetto serra.
Secondo questi calcoli, il consumo dell’uomo supera del 70% le risorse disponibili nell’ambiente. In poche parole, l’equivalente di 1,7 pianeti è necessario per accontentare i bisogni degli essere umani. Perché e come contraiamo questo debito nei confronti della Terra e dell’ambiente che popoliamo? Tagliando alberi a un ritmo superiore a quello della loro crescita, per esempio. Pescando più di pesci nei mari di quelli che nascono ogni anno. Producendo emissioni di carbone nell’aria che le foreste e gli oceani possono assorbire.

mercoledì 2 agosto 2017

La crisi delle banche venete e il fallimento del governo e dell'Unione Bancaria Europea

Qualche insegnamento dalla crisi bancaria della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca:
1) Il governo italiano, la Banca d'Italia e la Regione Veneto (a guida leghista) si sono dimostrati clamorosamente incapaci prima di vigilare e di prevedere tempestivamente la crisi, e poi di gestirla. Hanno perso tempo molto prezioso. Il risultato è che la crisi delle due banche è peggiorata rapidamente, che le due banche sono state costrette a chiudere, che lo stato ha sborsato e sborserà molti miliardi in più di quanto previsto, usando ovviamente i soldi dei contribuenti. Alla fine le banche venete sono fallite e le loro attività - quelle buone - sono state cedute (regalate?) per un euro a un'altra banca privata, Banca Intesa. Mentre lo stato si è sobbarcato tutte le attività negative e deteriorate. E' difficile che potesse andare peggio di così.
2) Occorreva nazionalizzare prontamente le banche venete e gestirle come banche pubbliche di sviluppo per rilanciare l'economia nazionale e i territori. Il governo invece ha gettato le perdite sulle spalle dei contribuenti per lasciare tutti i vantaggi e i profitti a Banca Intesa. Il solo aspetto positivo del disastro provocato dal ministro Pier Carlo Padoan e dal suo governo subalterno alle direttive ondivaghe e contraddittorie dell'Unione Europea e della Vigilanza della BCE è che Banca Intesa – la vera beneficiaria dell'operazione - è l'unica grande banca ancora saldamente italiana, mentre le altre maggiori banche cosiddette nazionali (come Unicredit, UBI, ecc) sono invece ormai in larga parte proprietà di operatori finanziari esteri. Ma questo premio di consolazione è davvero magro.
3) Tutto il peso della crisi è stato gettato sulle spalle dei contribuenti italiani: lo stato si impegna per circa 17 miliardi, una cifra enorme, pari a una finanziaria. Con questa cifra potrebbe rilanciare gli investimenti pubblici e creare milioni di posti di lavoro. Grazie al rilancio dell'economia si poteva anche sanare il sistema bancario italiano oberato da circa 350 miliardi di crediti deteriorati. Così invece non è assolutamente detto che i focolai di crisi del sistema bancario siano spenti.
4) L'Unione Bancaria europea, già nata male, è ormai moribonda. Il Bail-in non funziona e l'Unione Europea e la Vigilanza della Banca Centrale Europea hanno provocato ritardi e disastri con comportamenti confusi e contrastanti. La Germania e gli stati del nord non accetteranno mai di mettere i loro soldi in un fondo unico europeo per salvare le banche e i risparmiatori degli altri paesi. L'Unione Bancaria si dimostra un pericolo, un bluff e un'illusione. Eppure doveva essere la colonna portante dell'integrazione europea.
5) Infine una considerazione strategica: bisogna limitare il potere delle banche private di creare denaro dal nulla. Le banche private possono produrre moneta dal nulla (sotto forma di prestiti) e utilizzarla magari per favorire gli amici e per rischiose avventure finanziare, senza avere l'obbligo di investire nell'economia reale. Creando facilmente denaro dal nulla, le banche possono speculare, gettare soldi, e poi farsi salvare con il denaro dei contribuenti. Occorre una nuova e stringente regolamentazione bancaria per proteggere i risparmiatori e fare ripartire l'economia.
Approfondiamo questi punti:
1) Nonostante il credo liberista e quello anti-statalista ad oltranza, quando una banca fallisce o sta per fallire in tutto il mondo e in tutti i tempi è SEMPRE lo stato che è dovuto e deve intervenire. Chi protesta sempre – e senza se e senza ma – contro l'intervento pubblico o mente sapendo di mentire, o ignora la storia e non capisce la realtà. Sono proprio i governi più liberisti che intervengono per salvare le “loro” banche. In Germania lo stato è intervenuto con 250 miliardi di euro, negli USA con 850 miliardi di dollari (programma TARP), in UK lo stato ha salvato giganti come Loyd, HBSC, Royal Bank of Scotland, Northern Rock con decine di miliardi di sterline, ecc, ecc.
2) Ma c'è modo e modo di nazionalizzare. Una vera nazionalizzazione comporta che lo stato acquisti la quota principale del capitale della banca in crisi, diventi l'azionista di riferimento, mandi via i dirigenti incapaci e/o corrotti, e gestisca la banca a beneficio delle attività nazionali, e non del profitto privato.
3) Una falsa nazionalizzazione al contrario si basa su tutt'altri presupposti: lo stato mette i soldi dei contribuenti per salvare i privati a beneficio esclusivo dei privati stessi (cioè anche di quelli che magari hanno provocato il fallimento della banca). Questa è la famosa socializzazione delle perdite e la privatizzazione dei profitti. Questo è quanto il governo italiano ha fatto facendo comprare le due banche venete a Intesa per un euro e accollandosi tutti gli oneri e il peso dei Non Performing Loans (crediti deteriorati).
4) A questo proposito, nel caso della cessione delle due banche venete a Intesa, vale il commento di Walter Galbiati su Repubblica. “Di solito per rafforzare i ratio patrimoniali le banche (vedi Unicredit) lanciano gli aumenti di capitale. In questo caso Banca Intesa, in cambio dello sforzo di assorbire la Popolare di Vicenza e Veneto Banca, ha preteso che il capitale glielo rafforzasse lo Stato coi soldi dei contribuenti. Ma allora perché non sono state emesse azioni di Banca Intesa a favore dello Stato? Con 5 miliardi, il Tesoro sarebbe diventato azionista col 10% di Banca Intesa, come sarebbe diventato azionista delle venete con la ricapitalizzazione precauzionale. E sarebbe rimasto azionista solo per il tempo necessario per ripagarsi l'investimento. Negli Usa, durante la crisi scatenata da Lehman Brothers, lo Stato è entrato nelle banche per rafforzarne il capitale e ne è uscito poco dopo con laute plusvalenze. Al di qua dell'Oceano, invece, non si è voluto aprire il capitale allo Stato, ma si è chiesto solo di socializzare le perdite”.[1]
5) La crisi delle due banche venete, e di MPS, è dovuta principalmente alla cattiva gestione – su cui sta indagando la magistratura – dei manager-azionisti. Occorre però sottolineare una grande verità: in generale la crisi delle banche italiane non nasce dalla folle speculazione sui derivati, come è successo in molti altri paesi europei, come in Germania e UK. La crisi italiana dell'economia nasce invece in generale dall'austerità che ci è stata imposta dall'Unione Europea, dai mercati finanziari, in ultima analisi dalle grandi banche d'affari internazionali che controllano circa un terzo del nostro debito pubblico. Senza la folle e suicida politica di austerità della UE non ci sarebbero 360 miliardi di crediti deteriorati legati alla risi delle piccole e medie imprese e delle famiglie, e non ci sarebbe la conseguente crisi del settore bancario – a parte i singoli casi criminosi in corso di accertamento da parte della magistratura -. Quindi la politica economica della UE e dell'eurozona è la maggiore responsabile del disastro dell'economia nazionale (-10% del PIL rispetto al 2007) e in particolare di quello bancario.
6) Le politiche e le istituzioni europee hanno peggiorato enormemente la crisi in corso delle banche italiane. La gestione della crisi delle due banche venete da parte della Vigilanza della BCE e da parte della Commissione UE è stata rovinosa e fallimentare: prima le due banche sono state dichiarate di importanza sistemica, poi no; prima sono state dichiarate solventi ma in crisi di liquidità, poi invece insolventi e in pratica fallite; prima è stato proibito l'aiuto di stato e invocato l'apporto dei privati, poi no, ecc, ecc. In pratica la gestione della crisi da parte della BCE e della UE è stata arbitraria e fuori dalle regole. E ha aggravato enormemente il dissesto delle due banche, spingendole a fallire.
7) Le norme del Bail-in e quelle analoghe (burden sharing) decise in sede europea nell'ambito del Meccanismo Unico di Risoluzione delle crisi, si sono dimostrate semplicemente inapplicabili. I governi italiani e la Banca d'Italia non avrebbero mai dovuto accettare le regole europee del bail-in. Il salvataggio interno di una banca (in inglese bail-in) prevede che una crisi bancaria sia affrontata e risolta tramite il diretto coinvolgimento “interno” dei suoi azionisti, obbligazionisti, correntisti: sono loro che devono pagare per la crisi di una banca. Il problema è che però la crisi è invece provocata nella totalità dei casi da dirigenti e manager corrotti e/o incapaci. A causa del bail-in lo stato può intervenire per salvare una banca fallita solo dopo che i privati (compresi i piccoli obbligazionisti innocenti e i correntisti con più di 100mila euro in deposito) hanno perso i loro denari. Questo con il pretesto di non penalizzare i contribuenti che, in ultima analisi, finanziano gli interventi pubblici di salvataggio. Ma il problema è che il bail-in si pone in completa antitesi con la tutela del risparmio dei cittadini. E che lo stato è l'unica istituzione che ha sufficienti risorse per salvare una banca. Alla fine i contribuenti pagano comunque il conto, insieme ai risparmiatori beffati.
8) L'Unione Bancaria è fallita di fronte alla crisi delle due banche venete. Non solo è fallito il Sistema di Vigilanza che fa capo alla BCE (primo pilastro dell'Unione Bancaria), non solo le norme sul bail-in si sono dimostrate inapplicabili, e quindi il Meccanismo Unico di Risoluzione non ha funzionato (secondo pilastro), ma il fondo comune europeo di assicurazione dei depositi molto difficilmente verrà accettato dai tedeschi e dalle nazioni del nord Europa, perché questi sarebbero costretti a finanziare i fallimenti delle banche italiane e dei paesi mediterranei. Così anche il terzo pilastro dell'Unione Bancaria molto difficilmente verrà innalzato. Ma senza il fondo unico, l'Unione Bancaria resta non solo incompleta ma diventa un insieme di regole e di norme controproducenti, sbagliate e inapplicabili. Le norme europee peggiorano la gestione delle crisi bancarie invece di affrontarle e risolverle.
9) Insomma: la partecipazione italiana all'eurozona si dimostra ancora una volta pesantemente negativa. L'euro e le regole dell'eurozona non ci aiutano ma ci opprimono e ostacolano la nostra economia. Le banche italiane in crisi e il risparmio nazionale diventano facile preda degli investitori istituzionali stranieri e dei fondi speculativi (come Vanguard, Norges Bank e Blackrock) e delle banche estere concorrenti.
10) Una considerazione più generale di carattere strategico: occorre una nuova direzione di marcia per limitare il potere delle banche di creare denaro dal nulla e di speculare mettendo a rischio il risparmio dei depositanti. Le banche creano moneta concedendo prestiti. Grazie al meccanismo della riserva frazionaria, le banche non intermediano il risparmio ma creano moneta prestando denaro: per ogni nuovo prestito di una certa somma registrano in bilancio questa somma al passivo e la stessa cifra all'attivo. Poi il denaro così creato ex novo va magari agli amici e nelle speculazioni immobiliari e finanziarie. Occorre regolamentare e limitare fortemente l'attività bancaria (narrow banking) separando innanzitutto l'attività di intermediazione del risparmio da quella speculativa [2]. Le banche devono servire innanzitutto l'economia reale e lo sviluppo, e non perseguire obiettivi di massimo profitto grazie alla speculazione finanziaria, mettendo a rischio i soldi degli altri, il denaro dei risparmiatori. Lo stato deve intervenire e, se necessario, emettere anche una sua moneta, come la moneta fiscale

martedì 1 agosto 2017

Nel 2050 età pensionabile a 70 anni, lavorare di più per avere di meno

In pensione a 67 anni dal 2019 e quasi a 70 nel 2050, 69 anni e 9 mesi per essere precisi. L’obiettivo è aumentare sempre di più l’età pensionabile per garantire la sostenibilità finanziaria a medio termine del sistema previdenziale.
È questo lo scenario messo in evidenza ieri dal presidente dell’Istat Giorgio Alleva durante un’audizione in Commissione Affari Costituzionali alla Camera, nell’ambito dell’esame delle proposte di legge recanti modifiche all’articolo 38 della Costituzione per assicurare l’equità nei trattamenti previdenziali e assistenziali.
Il presidente dell’Istat ha sottolineato che l’accesso al trattamento pensionistico si sposterà sempre più avanti: “Dai 66 anni e 7 mesi, in vigore per tutte le categorie di lavoratori dal 2018, si passerebbe a 67 anni a partire dal 2019, quindi a 67 anni e 3 mesi dal 2021. Per i successivi aggiornamenti, a partire da quello nel 2023, si prevede un incremento di due mesi ogni volta. Con la conseguenza che l’età pensionabile salirebbe a 68 anni e 1 mese dal 2031, a 68 anni e 11 mesi dal 2041 e a 69 anni e 9 mesi dal 2051”.
Sempre che la vita media degli italiani continui a crescere come ha fatto, senza soluzione di continuità, dal Dopoguerra a qualche tempo fa. Peccato che nel 2015 l’aspettativa di vita è addirittura diminuita: scesa a 80,1 anni da 80,3 del 2014 per gli uomini e a 84,7 anni (da 85) per le donne. Ma la tesi del governo è che, sicuramente, le aspettative di vita del 2016 torneranno a crescere. Insomma Il governo, a prescindere dai dati, ci allunga la vita e l’eta pensionabile. Non siamo ancora alla pazza idea del Giappone, lavorare fino a 85 anni, ma poco ci manca. Al lavoro fino alla morte, ed il problema pensioni è risolto.
Se l’Italia non ha toccato il fondo è perché ci sono stati nonni e genitori che, grazie alle pensioni, hanno dato a figli e nipoti i soldi per pagare l’affitto o il mutuo. Un domani ciò non sarà più possibile. Ce n’è a sufficienza per essere angosciati.