Chi pensava che rifiutando il ricorso al Mes (Meccanismo europeo di stabilità) per puntare tutto sul Recovery Fund
ci si potesse sottrare alle infinite trappole delle “condizionalità”
fissate dall’Unione Europea, dovrà rinfoderare quella speranza.
Pensiamo
in primo luogo a Giuseppe Conte e al M5S, che su questo avevano tirato
più del solito la corda dei rapporti interni alla maggioranza di governo
e con Bruxelles. Gli altri sono equamente distribuiti tra chi comunque
accetterebbe tutto (Pd, Leu, berlusconiani) e che finge di volere altre
strade (sempre garantite dalla Ue, comunque).
A
disegnare il prossimo futuro dell’Unione ci ha pensata il capo della
Commissione, la tedesca Ursula von der Leyen, davanti a un Parlamento di
Strasburgo per la prima volta “irritato” dal non essere ai stato
neanche messo a conoscenza di quel che bolle in pentola (tanto per
capire quanto conta il presunto “potere legislativo” nella Ue).
Può
darsi benissimo che “il progetto” illustrato a grandi linee venga
stracciato da un aggravamento della crisi sistemica – è l’ipotesi al
momento più probabile, viste le “riaperture” frettolose con il virus
ancora in circolazione – ma è bene aver chiaro come la Ue intende
sfruttare questa crisi per imporre un “cambiamento strategico” alla
costruzione comunitaria.
Von der Leyen ha spiegato che il Recovery Instrument
(anche il cambio del nome ha un senso…) dovrà servire a disegnare un
mercato comune più “autocentrato”, meno globalizzato, per non trovarsi
di nuovo spiazzato di fronte ad emergenze cui non può fare fronte avendo
dismesso una massa spaventosa di poduzioni strategiche (che non erano
state considerate tali).
L’esempio
immediato è tutta la strumentazione sanitaria (dagli apparecchi alle
mascherine, ai farmaci, ecc), ma l’ambizione è ben più vasta.
“Già
prima della crisi sapevamo che avevamo bisogno di grossi investimenti
privati nelle tecnologie e nei settori chiave. Questa crisi ha reso
questa esigenza maggiore di prima ed è per questo che rafforzeremo
InvestEU, creeremo anche per la prima volta un nuovo strumento
strategico di investimento che aiuterà a investire nelle catene del
valore chiave che sono fondamentali per la nostra autonomia strategica.
Abbiamo visto durante la crisi quanto dipendevamo da approvvigionamenti
stranieri nel settore farmaceutico per esempio, quindi l’Europa deve
essere in grado di produrre farmaci critici per conto suo. Per tutto ciò
abbiamo bisogno di aziende sane su cui investire. Ecco perché
proponiamo in questo secondo pilastro un nuovo strumento di solvibilità
che aiuterà a venire incontro a esigenze di ricapitalizzazione di
aziende sane che sono state messe a rischio dal lockdown“.
Autonomia strategica, dunque, minore dipendenza dalle forniture extra-Ue (idrocarburi a parte), ma anche forte selezione infra-capitalistica tra aziende sane e non. La conseguenza logica è immediata: nessun salvataggio generalizzato delle imprese (che
invece continua per esempio a chiedere il neo capo di Confindustria,
Bonomi), ma ridisegno delle catene del valore lungo gli assi che portano
ad “economie resilienti, pronte per affrontare il cambiamento climatico e digitale”.
Sotto
le belle parole c’è ovviamente una sostanza: i fondi che verranno
mobilitati saranno indirizzati soprattutto verso quelle imprese (e verso
gli investimenti pubblici orientati nella stessa direzione) che possono
inserirsi o ristrutturarsi in tal senso. Principalmente, dunque, grandi aziende multinazionali, ancorché basate o comunque originarie di Paesi europei, competitive tecnologicamente.
Un
fronte su cui i Paesi mediterranei, in generale, non hanno granché da
mettere in mostra… Piccole e medie aziende, di grande qualità, anche
tante. Ma non di dimensioni tali da poter fare la parte del leone quando
si tratterà di “competere” per strappare finanziamenti europei.
Peggio
ancora per gli Stati, alcuni dei quali (i Pigs, soprattutto), fanno
conto più su finanziamenti a fondo perduto che su nuovi prestiti e nuovo
debito. Su questo le linee illustrate da von der Leyen non lasciano
troppe illusioni.
“Il primo pilastro [del fondo per la ripresa, ndr] si concentrerà sul sostegno degli Stati alla ripresa, il grosso del denaro verrà speso nell’ambito di questo primo pilastro in uno strumento nuovo creato per finanziare negli Stati membri investimenti pubblici chiave e riforme che devono essere allineate alle politiche europee“.
Difficile essere più chiari, nel linguaggio diplomatico continentale… Quei fondi, pure consistenti, dovranno
essere spesi sotto il pieno controllo delle istituzioni europee.
Nessuna libera interpretazione da parte degli Stati che ne usufruiranno
(ed è ovvio che gli Stati che vi faranno ricorso sono principalmente
quelli che hanno meno autonomia finanziaria), tanto è vero che “Questo
verrà fatto tramite il semestre europeo, sarà disponibile per tutti gli
Stati membri e si concentrerà sulle parti dell’Unione che sono state
più colpite”.
Il
“semestre europeo”, per chi non lo sapesse, è la procedura di
formazione delle “leggi di stabilità” dei singoli Stati sotto continuo
controllo della Commissione, secondo quanto definito dai trattati Six
Pack e Two Pack. Dunque il controllo della spesa avverrà passo passo,
senza alcuna “libertà” concessa alle amministrazioni nazionali.
Persino l’indispensabile sostegno ai redditi di disoccupati e licenziati sarà sotto controllo: “Nell’ambito
di questo primo pilastro troviamo anche una proposta della Commissione
che prevede un pagamento supplementare ai fondi di coesione e si baserà
sulla gravità dell’impatto socioeconomico della crisi“.
Si ballerà sulla musica suonata lassù, per qualsiasi esigenza…
Il
minimo che si possa dire, senza voler esagerare, è che questa
impostazione non tiene affatto conto della gravità della crisi. E’ la
pedissequa continuità delle politiche precedenti, con l’unica differenza
di un allargamento controllato dei cordoni della borsa, perché perfino
Germania ed Olanda stanno pagando prezzi notevoli, pur avendo margini di
surplus molto ampi.
L’illusione
di poter tornare al più presto “come prima” è evidente. Così come è
evidente che questa cecità di fronte all’abisso reale non è dovuta a
“stupidità”, ma corrisponde ad interessi consolidati che spingono ora per trarre il massimo vantaggio dalla nuova situazione.
Banalizzando
un po’, se molte aziende e banche “interessanti” dei Paesi mediterranei
vanno in maggiori difficoltà, saranno scalabili o acquistabili a prezzo
più basso. Anzi, stracciato…
E
se gli Stati di quei paesi resteranno strozzati da un debito che chiude
loro la possibilità di accedere normalmente ai mercati finanziari,
anche gli asset pubblici di quegli Stati saranno acquistabili per un
tozzo di pane (chiedete alla Grecia, che si è vista costretta a vendere i
suoi aeroporti più frequentati alla tedesca Fraport…).
Non sembra dunque un caso che, proprio in queste ore, tre Stati profondamente “europeisti” come Spagna,
Portogallo e Grecia dicano “No al Mes”. I tre governi del blocco
meridionale Ue – molto diversi tra loro, due di centrosinistra e uno di
destra – sono dell’idea che non ci siano le condizioni per ricorrere
alla nuova linea di credito messa a punto dal Fondo Salva-Stati per
affrontare l’emergenza sanitaria del Covid.
Chi ci è già passato non intende ripetere l’esperienza, nemmeno in forma “addolcita”.
Ma
da quanto ha detto von der Leyen anche altri “strumenti” di
finanziamento comunitari avranno una logica generale simile. Forse meno
esplicitamente strozzina, ma altrettanto “dirigenziale” sui singoli
Paesi.
Da
ultimo, va sottolineato che questo “fondo per la ripresa” sarà
semplicemente il bilancio dell’Unione Europea, ben al di sotto della
dotazione necessaria per realizzare gli obbiettivi illustrati da von der
Leyen. Il differenziale, infatti, verrà coperto con “garanzie” dei
singoli Stati. Insomma: non si spende un euro più di quel che già c’è.
Come se questa crisi fosse un “normale turbamento transitorio”.
L’unico
margine di manovra ampio resta dunque in mano alla Bce. Che però può
soltanto “stampare denaro” e iniettarlo nei mercati finanziari
(alleggerendo, nel passaggio, lo spread sui titoli di Stato dei Paesi
più esposti alla speculazione). Ma dopo oltre 10 anni dovrebbe esser
chiaro che la sola politica monetaria non basta a rimettere in moto
l’economia reale. Nemmeno dopo una crisi molto meno grave di questa.
Non
a caso il presidente della Federal Reserbe Usa, Jerome Powell, si
rifiuta esplicitamente di seguire la via dei “tassi negativi”
(inaugurata da Mario Draghi e proseguita da Christine Lagarde), che pure
Trump gli va chiedendo. Al contrario, suggerisce lui al Presidente di
aumentare molto di più la spesa pubblica per investimenti e in difesa
dei redditi.
Continente che vai, risposta che trovi. Certo, quella della Ue, è la più ottusa in campo
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