A
tarda sera dell’8 maggio 1945 il capo dell’Oberkommando der Wehrmacht,
ovvero delle forze armate tedesche, firmava la resa della Germania di
fronte al generale sovietico Žukov, come poche ore prima un altro
vertice delle truppe naziste, Alfred Jodl, aveva fatto a Reims sul
fronte occidentale della guerra.
A
Mosca era già il 9 maggio, e perciò tale data segna la conclusione
effettiva della terribile tragedia della Seconda Guerra Mondiale in
Europa, nonostante vi furono ancora strascichi e scontri fino a
settembre.
L’eredità
lasciata da una tale esperienza di morte e distruzione non poteva che
essere quella di un forte anelito di pace e collaborazione, e come per
ricollegarsi a questo desiderio il 9 maggio è celebrata nell’Unione
Europa la Festa dell’Europa.
Ma,
come scriveva William Blake, chi desidera ma non agisce, crea le
condizioni per la diffusione di una malattia. Anche le modalità della
costruzione di una prospettiva di pace sono, in un certo senso, un campo
di battaglia, e dove coloro che vogliono davvero raggiungere una pace
reale e duratura arretrano prendono piede coloro per cui la pace è solo
una parola da agitare a seconda della convenienza.
Nell’Europa
stremata dalla guerra questo avvenne quasi subito. Il 9 maggio del 1950
Robert Schuman, ministro degli Esteri francese, tenne un discorso che
prefigurava l’inizio del processo di integrazione europea, di cui il
primo passo avvenne poco tempo dopo con la formazione della Comunità
Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA).
Ma
questo processo era davvero dettato dalla volontà di cooperazione e
pace? La spinta all’Europa unita purtroppo nacque dalla peggiore
consigliera della politica: la paura.
Paura
dei comunisti, dei sovietici che più di tutti avevano retto il peso
militare della guerra con ingenti perdite materiali e umane, e contro
cui bisognava costruire una “cintura di sicurezza”; paura del
riaccendersi delle rivalità fra paesi, in primis Francia e Germania.
Una
rivalità che non venne risolta sul campo della crescita della coscienza
civica, democratica e sociale dei paesi stessi, ma sul piano della
progressiva integrazione delle economie, a partire dai settori
strategicamente più importanti.
Un
tentativo velleitario di evitare la competizione fra Stati attraverso
la definizione di un’area di libero mercato capitalistico, il cui
pilastro è la competizione stessa.
E
in questo senso parlò Giuseppe Di Vittorio, di cui riporto alcune
parole pronunciate al Parlamento nel 1952 in occasione della ratifica
del trattato sull’istituzione della CECA:
«Si
dice che il piano Schuman deve costituire la base economica della nuova
federazione europea. Possiamo discutere questa idea; ma, allo stato
attuale, si tratta di una astrazione, priva di ogni contenuto concreto.
Tutti sanno che, lungi dall’unire l’Europa, tutta la politica che si
ricollega a questo trattato, di cui discutiamo la ratifica, è una
politica di divisione dell’Europa e, peggio, anche una politica di divisione all’interno degli stessi popoli europei. Per cui si tratta della divisione più nefasta e più nociva che si possa concepire per i popoli e per l’Europa.
L’altro pretesto – altrettanto astratto, privo di contenuto reale e di verità – è che con questo trattato si concorrerebbe a salvaguardare la pace, mentre tutti vedono che si organizza la guerra
e che alla base di tutto il lavorio condotto per giungere alla
costituzione di questa coalizione di Stati attorno al grande trust
dell’acciaio e del carbone è l’intendimento di accelerare gli armamenti
ed i preparativi di guerra.
Unità
europea e pace sarebbero due nobilissimi ideali; ma, allo stato
attuale, si tratta di due menzogne convenzionali addotte a
giustificazione di un piano che, invece, persegue fini diametralmente
opposti. […]
Oggi
si usa la terminologia che esprimeva il grande e generoso ideale di
Mazzini sulla federazione dei popoli europei per giustificare un’impresa
che non ha niente a che fare con la concezione mazziniana del
federalismo.
Nel
concetto di Mazzini si trattava di costituire una federazione di
popoli, ma di tutti i popoli europei, senza discriminazione; scopo
primordiale della federazione mazziniana doveva essere la pace, e
strumento conseguente della politica di pace di tutta l’Europa doveva
essere il disarmo generale.
In questo caso, invece, accade tutto il contrario: si
cerca di costituire una coalizione che deve proteggere interessi
privati allo scopo di accelerare la preparazione alla guerra e di
cristallizzare, approfondire ed aggravare la divisione dell’Europa e la
divisione dei popoli all’interno di ciascun paese. Noi denunciamo questo inganno»1.
L’Unione
Europea si è per caso fatta promotrice del disarmo generale? Negli
ultimi anni abbiamo assistito allo sviluppo di programmi militari
europei (Permanent Structured Cooperation, European Intervention
Initiative, etc.).
Abbiamo
sentito il Commissario Europeo all’Economia Paolo Gentiloni affermare
che l’UE deve assumere un certo protagonismo sulle questioni
internazionali, come in Libia, dove ora si accende in maniera sempre più
violenta una guerra civile che è cominciata proprio con le “bombe
democratiche” sganciate da paesi UE.
Abbiamo
letto le dichiarazioni di Ursula Von der Leyen in cui si affermava
chiaramente e candidamente che il suo mandato avrebbe fatto assumere
alla Commissione Europea un ruolo geopolitico.
La contraddizione tra la retorica progressiva e la funzione reazionaria
che la costruzione di una federazione europea poteva svolgere si è
risolta a favore della seconda, e l’evento che ha segnato il passo fu
proprio un’azione militare.
Crollato
il blocco sovietico, venuta meno l’esigenza dell’argine al comunismo di
cui “l’ombrello della NATO” era lo strumento fondamentale, l’Europa
poteva svolgere un ruolo autonomo nel panorama mondiale, puntando a
riconquistare un certo peso anche a livello geopolitico.
Quasi
contemporaneamente alla firma del Trattato di Maastricht, a fine 1991
il cancelliere Helmut Kohl dichiarò che la Germania riconosceva
l’indipendenza di Slovenia e Croazia, trascinandosi dietro tutti i paesi
che all’epoca formavano la CEE e mettendo una seria ipoteca su
qualsiasi risoluzione pacifica della questione jugoslava; le conseguenze
le conosciamo tutti.
Come ha detto il premio Nobel per la letteratura Peter Handke, con i bombardamenti su Belgrado «è morta l’Europa ed è nata l’Unione Europea».
L’idea
di una federazione europea è stata costruita non sulle esigenze e sul
protagonismo dei popoli che la compongono, ma su di un progetto di vero e
proprio dominio imperiale sostenuto ideologicamente da un profondo
eurocentrismo; Romano Prodi, strenuo difensore dell’Unione Europea,
nella puntata di Che tempo che fa? del 29 marzo scorso affermava, in maniera evidentemente criticabile, che «l’Europa è l’unica àncora della democrazia mondiale».
Cos’è
questa se non la riproposizione di una convinta superiorità della
civiltà europea che ci portiamo dietro sin dai tempi coloniali?
Ma
ai “destini manifesti” non bisogna dare credito, perché sono questi che
hanno prodotto l’imperialismo statunitense, così come la convinzione
della purezza della razza ariana.
Quest’ultimo
paragone può sembrare esagerato, quasi offensivo, ma non lo è. Non lo è
perché una certa contiguità, anche se ovviamente non una completa
sovrapposizione, può essere riscontrata tra il progetto di integrazione
europea e alcune riflessioni di importanti esponenti del nazi-fascismo.
Il 5 agosto del 1943 Jean Monnet, ispiratore della Dichiarazione Schuman, affermò al Comitato Francese di Liberazione Nazionale che «non
ci sarà pace in Europa se gli Stati verranno ricostituiti sulla base
della sovranità nazionale… Gli Stati europei sono troppo piccoli per
garantire ai loro popoli la necessaria prosperità e lo sviluppo sociale.
Le nazioni europee dovranno riunirsi in una federazione»2.
Vidkun
Quisling, fondatore del partito fascista norvegese e tra i più famosi
collaborazionisti del regime di Hitler (tanto che il suo cognome è
diventato sinonimo di “governo fantoccio” in tutto il mondo), fu un
convinto sostenitore della necessità di un’Europa federale, come
accennato anche nella biografia scritta dallo storico e giornalista Hans
Fredrik Dahl, al punto da produrre anche più di un documento in cui
scendeva nel dettaglio di come il continente avrebbe dovuto essere
riorganizzato alla fine della guerra mondiale.
Lo
scopo era quello di recuperare il ruolo egemonico perso dall’Europa, e
questo non poteva avvenire, a suo avviso, se non attraverso la
formazione di una più vasta area politica ed economica.
Vidkun Quisling fu catturato dagli Alleati il 9 maggio. Si ritorna quindi al punto da cui avevo cominciato.
La
data del 9 maggio condensa in sé una quantità di significati
straordinari, e proprio per questo è divenuta un campo di battaglia,
l’ultimo della Seconda Guerra Mondiale. Alla caduta del Muro di Berlino
alcuni giornali hanno riportato la notizia che Alessandro Natta, ex
segretario del Partito Comunista Italiano, commentò dicendo: «qui crolla un mondo, cambia la storia… Ha vinto Hitler… Si realizza il suo disegno, dopo mezzo secolo».
Più velenosamente, nel suo stile, Giulio Andreotti confessava che «amo la Germania; la amo così tanto che ne preferisco due».
La
data della conclusione del conflitto, di cui l’Unione Sovietica
sopportò il peso maggiore, è stata appropriata da una realtà
istituzionale nata al momento del crollo del blocco orientale con una
guerra in seno all’Europa, una guerra che favorì l’accentuarsi di odi
nazionalistici.
L’Unione
Europea ha espresso tutta la spinta democratica di cui è capace in una
risoluzione che equipara il comunismo al nazismo, mentre finanzia e
sostiene il governo ucraino in cui siedono ministri dichiaratamente
nazisti.
I
vertici europei vogliono cancellare la memoria della dura lotta che
l’URSS condusse contro i progetti hitleriani, trasformando la fine della
carneficina causata dall’imperialismo nell’occasione di una vaga
esaltazione della pace, da identificarsi tout court con istituzioni
costruite nel sangue e altrettanto imperialiste.
Non
so se Natta avesse previsto tutto questo, probabilmente no, ma
sicuramente ci aveva visto lungo. Se vogliamo difendere la pace,
dobbiamo combattere l’Unione Europea; e il 9 maggio, se vogliamo
festeggiare qualcosa, festeggiamo la Giornata della Vittoria.
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