Trovare un titolo così su un quotidiano economico dedicato specificamente alla finanza,
diciamolo, è sorprendente. Scorrendolo, poi, abbiamo riscontrato
notizie e spiegazioni delle trasformazioni avvenute nei “mercati” che
mettono a fuoco esattamente i problemi sistemici.
Ancora
più sorprendente, per un lettore italiano cresciuto ad editoriali stile
Giavazzi-Alesina-Giannini-Cottarelli, è il fatto che questa attenzione
ai fattori strutturali sia opera di un investitore istituzionale,
a capo di un importante fondo di investimento svizzero. Non di un
professorino cresciuto come un pollo in batteria alla Bocconi e passato
direttamente dai banchi di studente alla tribuna di “teorico” grazie
all’abilità nel maneggiare modellini econometrici (matematica applicata,
insomma, non economia).
Il
mestiere dell’autore si vede dall’attenzione a passaggi di tecnica
finanziaria davvero poco noti ai non addetti ai lavori, e questo può
distrarre l’attenzione del lettore non “addestrato”. Ma i passaggi
sintetici, e i giudizi espressi sulle “svolte” dell’economia
capitalistica degli ultimi 30 anni, sono quasi da saggio marxista.
Chiari, semplice, soprattutto veri.
Marxismo inconsapevole, certo. Ma se così è vuol dire che è la realtà economica ad affermarsi, con tale evidenza che anche chi è stato formato su altri princìpi teorici (neoliberisti, in questo caso) è costretto ad arrivare alle stesse conclusioni.
C’è un perché questo riesca “naturale” ad un investitore istituzionale,
uno che mette le mani quotidianamente nei “mercati” comprando e
vendendo, speculando e guadagnando (oppure non più), e invece risulti
impossibile ai “commentatori” ed editorialisti prima citati. Un
investitore gioca con soldi veri, deve avere risultati tangibili. Gli
altri sono pagati – anche dagli stessi investitori – per raccontare un
mondo diverso da quello reale, in cui gli investitori possano
liberamente sguazzare.
Vogliamo comunque evidenziare chiaramente i passaggi più rilevanti, al di là del titolo-shock.
a) “i
mercati finanziari stanno entrando silenziosamente nella fase
preliminare della nazionalizzazione, dove l’intervento pubblico e il
sostegno della FED saranno elementi portanti di un capitalismo che è
praticamente finito”.
Un
sistema fondato sull’iniziativa priva, negli ultimi venti anni, è
rimasto in piedi solo grazie alla “socializzazione delle perdite”,
ovvero grazie a risorse pubbliche regalate ai privati.
Questo
gioco è solo modestamente replicabile, anche se le banche centrali vere
e proprie (Federal Reserve Usa, Bank of England, quella cinese e poche
altre, ma di certo non la Bce) possono “inventare denaro” a volontà,
perché il rischio inflazione – dopo dieci anni di deflazione o
stagnazione – è molto meno serio del palese blocco totale del sistema.
Ma in ogni caso un sistema produttivo e finanziario che si sostiene solo grazie all’intervento pubblico non è più capitalismo.
E’ sicuramente un “ambiente” fortemente diseguale, anzi sempre più
diseguale; dove pochissimi guadagnano cifre colossali grazie a posizioni
monopolistiche o oligopolistiche, e quasi tutti vengono invece spinti
verso la povertà assoluta.
Ma non è capitalismo.
C’è
più Marx in questa formulazione di quanto non ce ne sia mai stato nei
ponderosi saggi di teoria. Non bastano infatti le disuguaglianze, le
ingiustizie, lo sfruttamento e la ferocia a fare di un modo di
produzione capitalismo.
Queste infamie sono esistite anche in altri modi di produzione, magari precedenti di secoli l’affermarsi del capitale. Per fare capitalismo serve che il meccanismo privatistico stia in piedi da solo, tramite i soli meccanismi di mercato, deve cioè remunerare con profitto il capitale investito.
Se invece è “il pubblico” a compensare gli squilibri sempre più instabili, allora il sistema sta evolvendo “spontaneamente” verso una situazione in cui l’intervento pubblico diventa determinante. Ossia verso la nazionalizzazione (o meglio pubblicizzazione della proprietà dei mezzi di produzione, della finanza, ecc) e a maggior ragione la pianificazione centralizzata
dell’impiego delle risorse in vista di obiettivi decisi su base molto
più razionale della semplice “voglia di profitto individuale”.
2) Lo stallo del sistema è riassunto nei suoi elementi fondamentali: Il
sistema ha bisogno di grandi capitali per essere sostenuto, ma non può
remunerare questi capitali perché altrimenti fallirebbe. I Governi hanno
bisogno di fare più debito per sostenere l’economia ma il capitale
richiesto per finanziare il debito non può essere remunerato poiché
renderebbe il debito non sostenibile. Le aziende hanno bisogno di
emettere debito per finanziarsi ma non possono permettersi di pagare
tassi tanto diversi rispetto a quelli dei governi perché anche per loro
il debito sarebbe non sostenibile.
Scacco
matto. Nessun soggetto sistemico può più muoversi senza perdere. Ma se
nessuno si può muovere il sistema è finito. Dialettica materialistica,
non finanza speculativa matematizzata.
3) Ci si è arrivati per normale “evoluzione” darwiniana (e marxiana), ossia senza un progettto prestabilità.
I
Policy Makers non controllano nulla e non vigilano sui rischi
finanziari di sistema, anzi, li incentivano sempre di più. La
commistione che si è creata tra Banche Centrali, Asset Managers, Banche e
grandi gruppi di Private Equity ha portato alla costruzione di un
sistema che crede che il rischio non esista più per chiunque.
Ma è scritto anche nei manuali liberisti del primo anno che “il profitto è il premio del rischio affrontato dall’investitore privato”. Dunque dunque
è corretto che, proprio perché si deve far credere che il rischio non
esiste, il capitale di rischio non venga più remunerato. Se tutti coloro
che partecipano a questo meccanismo devono essere sempre salvati,
indipendentemente dai rischi che decidono di prendere, è normale che poi
il capitale di rischio non può pretendere una remunerazione.
4) Da cui consegue che: Il
sistema capitalistico, degenerato a causa di questo modo di operare, è
praticamente morto e la finanza, così come funziona oggi, lo ha ucciso.
Anche
in questo caso non c’è stato alcun “progetto del capitale”, ma semplice
reazione a una crisi che ha prodotto “soluzioni tampone”. Interventi
dettati dalla contingenza, per cercare di ripristinare le condizioni
pre-crisi, pur con qualche correttivi nei confronti dei fenomeni più
evidentemente negativi (dieci anni fa spopolava sui media la critica
dell’eccessivo moral hazard della finanza speculativa stile Lehamnn Brothers).
Gli
Stati Uniti, dal 2001 in poi, hanno messo l’economia reale a sostegno
della finanza, ribaltando la funzione che la finanza era a sostegno
dell’economia reale. Oggi il settore finanziario “fa leva” 4/5 volte
sull’economia reale per ottenere rendimenti che l’economia reale non
riesce più a produrre, così come le banche nel 2008 facevano leva 40
volte sul capitale per ottenere rendimenti che l’attività caratteristica
non poteva dare.
La
“soluzione tampone” d’allora, sotto la pressione dell’”emergenza”, è
diventata un elemento strutturale. Ciò che ha limitato allora la crisi
ne ha prodotta ua molto più grande, anche se l’esplosione è avvenuta per
un “fattore esterno”, un virus che ha fatto le funzioni di un
asteroide. Ma un sistema che non regge gli impatti esterni è in realtà
una bolla destinata prima o poi ad esplodere.
La diversità della reazione, e dell’efficacia, all’epidemia tra un sistema capitalistico sono governance
pubblica (come la Cina) e i sistemi a totale predominanza del privato è
evidente. Nel primo caso ci sono stati danni seri, ma limitati nella
dimensione e nel tempo; nel secondo pare non esserci alcun limite al
peggio (fin quando non ci sarà un vaccino, almeno), perché le risposte
di tipo collettivo e razionale (quelle suggerite dalla scienza) vengono
immediatamente messe in discussione dagli interessi delle imprese
private, ognuna per sé.
5) Una serie di “game over” che porta un investitore istituzionale
a una conclusione davvero paradossale (in apparenza), perché
costituisce la negazione esplicita della sua funzione: una volta
verificato che “l’eccesso di risparmio nel sistema, non trovando
una adeguata remunerazione in loco, tende ad emigrare verso sistemi in
cui i rendimenti sono superiori”, non resta che profferire la bestemmia peggiore per le orecchie di un finanziere:
Per
evitare questa migrazione bisognerebbe impedire la libera circolazione
dei capitali, piccolo dettaglio che le Teorie Monetariste hanno
dimenticato. Il risultato di queste “sciagurate” operazioni fatte
applicando in modo becero le Teorie Monetariste sono davanti a tutti.
Infatti Europa e Giappone erano già in recessione a fine 2019 con le
Banche Centrali impegnate a stampare moneta e con i tassi negativi (!).
6) La conclusione più logica è dunque quasi “comunista”, anche se vista con terrore.
La presenza dello Stato
nell’economia è destinata a crescere, la redditività del capitale è
destinata a scendere e l’impatto sugli equilibri sociali e politici
attuali potrebbero essere l’ultimo tassello che manca per completare uno
scenario di cambiamento dai contorni decisamente incerti. Anche se nei
prossimi mesi si troveranno delle cure per contrastare il Coronavirus,
tali cure non guariranno un sistema capitalistico e un sistema
finanziario malato.
Nel
nostro linguaggio si chiama “caduta tendenziale del saggio del
profitto”, ma potete anche chiamarla “redditività calante del capitale”…
Il risultato non cambia. A quanto pare sono state esaurite le
“controtendenze” (la principale è sempre stata la finanza…).
Se
non ci sarà la lungimiranza di modificare le regole del gioco con un
cambiamento guidato dall’alto, c’è il rischio evidente che il
cambiamento venga imposto dal basso, con evidenti conseguenze poco
piacevoli per tutti (noi imprenditori e investitori istituzionali, ndr).
Nessun commento:
Posta un commento