Tutto come previsto. Anzi peggio.
L’Italia, come già era facile sospettare, è finita in recessione. Ma la
novità, almeno all’apparenza, non scuote le certezze della variegata
maggioranza impegnata a raccontare, con la complicità interessata della
tv di Stato, un mondo immaginario dove investimenti (che non si vedono) e
misure pro-crescita (destinate a deludere) dovrebbero garantire
un’accelerazione nel secondo semestre dell’anno che sta già scritta nel
libro dei sogni. O nell’agenda di Giuseppe Conte, che si rivela ogni
giorno più bravo: nemmeno il mago Otelma sarebbe in grado di restare
serio raccontano, come ha fatto il Premier, che “il 2019 sarà un anno
bellissimo”.
Eppure non è difficile anticipare il seguito del copione. Fino alle elezioni europee si cercherà di procedere a vista tra
promesse clientelari all’avvio difficoltoso del reddito di cittadinanza
e di quota 100, necessarie per sostenere le fortune dei boss della
maggioranza. Poi, com’è già successo in occasione della trattativa con
Bruxelles, si faranno i conti con la realtà. A modo nostro, tra
invettive contro gli alleati, slanci retorici che più o meno si rifanno
alla peggior tradizione italica (la Francia al posto della “perfida
Albione”, ad esempio) e cedimenti di sostanza, necessari per far tornare
i conti. Alla fine sarà probabilmente necessaria una manovra. Anzi,
almeno una “manovrina” necessaria per tranquillizzare i mercati, grati
con il Bel Paese perché la sceneggiata anti-euro dei mesi scorsi ha
garantito ottimi profitti, ma non troppo robusta perché l’organismo
debilitato del Paese non è in grado di far fronte a una cura troppo
robusta. A meno che la terapia non consista in provvedimenti in grado di
rilanciare gli investimenti, pubblici e privati, e di garantire il
necessario consenso di popolo non con la riedizione dei metodi del
comandante Lauro (una scarpa prima delle elezioni, l’altra dopo), ma con
un rilancio del welfare per tutti, che passa da ospedali e scuole che
funzionano.
Non andrà così, naturalmente. E il Bel
Paese continuerà a navigare in acque limacciose, tra proclami imponenti e
una realtà impotente. Sul fronte dei mercati si navigherà a vista fino
alla riunione della Bce del 7 marzo, quando
potrebbe essere annunciata una nuova operazione Tltro che consentirà
alle banche di far fronte agli impegni con la Bce presi per superare la
crisi post Lehman Brothers. Intanto, complice il taglio delle stime del
Governo tedesco sulla congiuntura d’oltre Reno, è facile prevedere che
il Pil italiano sia destinato a rallentare verso crescita zero.
Un destino in grigio, insomma, perché l’Europa, investita da venti di crisi non meno complessi, dai gilets jaunes
francesi alla frenata dell’auto tedesca, non ha certo alcun interesse a
una resa dei conti con l’Italia. La prospettiva più probabile, insomma,
è quella di una lunga transizione in attesa di capire che ruolo potremo avere
nel mondo post-global, dominato dai nuovi assetti che emergeranno dal
confronto Cina-Usa. Un processo delicato, governato da banche centrali
di nuovo “colombe” a partire dalla Fed. Fino alla Bce, dove regna una
strana armonia tra falchi e colombe.
È toccato a Jens Weidmann, presidente
della Bundesbank, lanciare l’allarme sulla crescita tedesca. Sarà un
travaglio lungo e complesso, ha ammonito, prima che si riattivi il ciclo
dell’inflazione. Nel frattempo Berlino, che dispone di ben altri mezzi
rispetto allo Stato italiano, procederà a risanare Deutsche Bank e il
resto del sistema bancario per preparare la Germania a un nuovo ciclo di
crescita che probabilmente punterà sull’energia verde, trampolino di
lancio per un’economia diversa cui, al solito, una parte dell’industria
italiana potrà partecipare in una posizione gregaria, garantendo alla
macchina pubblica i mezzi per fornire, con sempre maggior difficoltà, i
mezzi alla parte del Paese che resta sempre più indietro. Ha ragione
Conte: almeno per qualcuno sarà un anno bellissimo
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