Bisognerebbe essere ciechi e sordi, oppure vivere in un eremo ai
confini del mondo, per non accorgersi di quanto sia sempre più precaria
la salute di un’Unione, quella Europea, ormai più di nome che di fatto.
Il paradosso odierno, in un panorama di criticità crescenti, ce lo offre
uno fra gli Stati insospettabili, anzi, lo Stato insospettabile per
antonomasia poiché custode del miglior rigore europeista: la Germania.
Succede quindi che diversi cittadini europei, tra cui ovviamente molti
Italiani, “emigrati” in Germania e rimasti senza lavoro rischiano di essere espulsi se non dovessero trovare un’occupazione entro sei mesi. Alcuni nostri concittadini hanno persino dichiarato di essere già stati convocati presso l’Ufficio per gli immigrati, ricevendo un ultimatum.
Il Paese della Merkel ha perciò
deciso che non potrà prestare parte della propria previdenza ai non
cittadini tedeschi, chiedendo – non è uno scherzo – che i migranti
possano essere spartiti tra tutti i Paesi dell’Unione. Ma come – viene
da chiedersi – non dovremmo essere cittadini europei prima che di ogni singolo Stato membro? Non dovremmo vivere nel mito del no-borders, a maggior ragione se questi borders
sono interni all’Unione, con intere generazioni formate a questo dogma
nelle migliori università europee? E ancora: non si è scelto, noi Paesi
democratici, di sanzionare l’Ungheria in quanto agente frenante di quei
meccanismi “democraticissimi” di mobilità dei flussi migratori? E di
demonizzare, tra l’altro, chi al di fuori dell’Unione pratica la difesa
dei confini esterni (si legga Russia)?
La confusione, dunque, è inevitabile e non si può non osservare – come già ha fatto il Sottosegretario di degli Affari esteri
Riccardo Antonio Merlo, commentando la notizia – di vivere in un
paradosso in cui si aprono indiscriminatamente e con forza certe porte
esterne (quelle, ad esempio, dei confini italiani) per sbattere poi in
faccia quelle interne. Un sospetto, però, attanaglia chi scrive: ovvero
che finora si sia vissuti non in un paradosso ma in un’Unione in cui,
sotto sotto, alcuni Stati siano stati chiamati sin dall’inizio al
“nobile” sacrificio della propria sovranità (economica, politica,
sociale) mentre altri hanno da sempre perseguito gli interessi dei propri cittadini.
Verrebbe da pensare, quindi, che la Germania abbia
sempre avuto un ruolo di predominanza e di dominio sugli altri Paesi
membri, potendo applicare politiche più o meno vantaggiose per i propri
interessi e magari, perché no, a discapito dei propri vicini. A pensar male si fa peccato, certo, ma a volte – direbbe qualcuno – si indovina.
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