Mi domando se i nostri
contemporanei abbiano preso coscienza del fatto che non viviamo più in
democrazia. Mi domando se abbiano compreso che i nuovi comunicatori non
credono più alla democrazia, non più di quanto ci credano i loro padroni
che che li incaricano e li dirigono dalle loro isole fortunate cosparse
d'oro e palme da cocco al vento. Per quanto mi riguarda, penso che per
capirlo, occorra definitivamente assumere il punto di vista dei ricchi,
con il loro approccio alla politica vista come scienza e pratica di
dominio. Mi sembra indispensabile cogliere la loro intima convinzione,
questa convinzione che non esprimono abbastanza ma tradiscono coi loro
atti che, messi insieme pezzo a pezzo, ne definiscono nettamente i
contorni affilati.
Ma ci sono le elezioni, li
si sente rispondere, prova che la libertà esiste, che il popolo può
ancora scegliere, allontanare i tiranni quinquennali e gli impostori
interinali dal Parlamento e dai ministeri. Grazie al suffragio
universale, li si può scacciare, si possono informare gli elettori,
mostrare loro quali minacce incombono, ed essi sceglieranno,
inevitabilmente, il candidato buono, il nemico dei ricchi che i ricchi,
che rispettano i risultati, lasceranno governare ed abrogare le
“riforme” neoliberiste che ci hanno servito da più di un decennio.
Allora, di colpo, sotto i loro occhi rossi di rabbia impotente, crollerà
il loro progetto, come un castello di carte: sarà la fine di
Maastricht, di Lisbona, dell’Europa, della NATO, del CICE, dell'evasione
fiscale, della corruzione, delle connivenze, delle porte girevoli, del
nepotismo e della massoneria. Si vareranno imposte obbligatorie e
progressive, si decreterà l'eguaglianza per davvero, si elimineranno gli
intrallazzi, si crocifiggeranno i profitti indebiti, se ne approfitterà
anche per riprendersi i 62 000 euro in eccedenza al ministro del Lavoro
di un governo che è insieme sciocco e presuntuoso che fa le fusa
strusciandosi sugli stivali insanguinati del capitale.
Io non credo che le cose
andranno così. Non credo nemmeno che in Francia il popolo dei
pensionati, dei piccoli proprietari, dei titolari di piccole rendite e
degli arrivisti che si considerano dei vincenti (gli elettori di Macron)
voterà un giorno per colui che, in qualche modo, avrà il merito di
assomigliare ad una alternativa possibile. E se pure accadesse, anche se
tutti questi ignoranti diplomati e soddisfatti si mettessero, come per
incanto, a guardare e pensare e a voler cambiare le cose, non li
lascerebbero fare. Avete visto che cosa è successo in Honduras, prima
con Manuel Zelaya, poi, da ultimo, quando i risultati elettorali non
erano convenienti per l'élite? Avete visto come, in Brasile, Dilma
Rousseff è stata destituita da un'assemblea golpista dominata dai
profittatori e dagli schiavisti? Avete capito quali difficoltà sono
state quelle di Hugo Chavez e di Nicolas Maduro, che hanno incontrato
nel seno stesso dello Stato venezuelano – e della società PDVSA che
gestisce la produzione di petrolio nazionale -, le resistenze che gli
spiriti semplici e poco informati si sarebbero attesi venissero
piuttosto dall'estero? Allende l’aveva peraltro detto al mondo intero,
che realizzare una rivoluzione nel quadro di una struttura politica
borghese era quasi impossibile. In ogni caso, non glielo hanno fatto
fare in Cile e lui è caduto nel suo palazzo, suicidato secondo i
giornali, che non hanno detto da chi…
Ecco perché mi sembra
urgente cominciare a pensare come loro, come i ricchi che cospirano, che
complottano, che ordiscono piani dai loro castelli, i loro uffici e i
loro yacht presto supersonici. Ecco perché è importante capire che, per
loro, la democrazia è già morta, che essa non è altro, oggi, che uno
scheletro sbiancato e una statua di gesso che circondano il cadavere dei
sogni infantili di una popolazione che dovrà accettare, i ricchi non
hanno dubbi in proposito, di essere asservita, di essere schiacciata e,
quando sarà necessario, di essere sterminata. Perché i ricchi che, in
Francia, hanno già all'attivo tanti successi – ricordiamo uno dei più
belli, l'adozione a Versailles, il 4 febbraio 2008, del Trattato di
Lisbona, solo tre anni dopo il ‘no’ francese al Trattato detto
Costituzionale -, questi ricchi che appartengono all'Internazionale in
smoking che manovra i suoi fili dalla sua costellazione di banche, di
fondi di investimento e di club privatissimi, questi ricchi che non
dubitano assolutamente delle loro future vittorie contro le casse degli
Stati e le tasche dei salariati, questi ricchi cospiratori che tessono
complotti mentre ci ingiungono di non credere alle teorie dei complotti,
questi ricchi che hanno deciso di sottomettere il mondo e di ricavarne
rendite per l'eternità – non hanno forse predicato la fine della storia
per bocca di uno dei loro rappresentanti? – questi ricchi non credono
alla democrazia, non vi hanno mai creduto e mai vi crederanno. Ve ne
parleranno talvolta, loro e i loro lacchè ronfanti faranno finta di
difenderla, ma sarà solo per tranquillizzarvi, perché invece preparano
nuove offensive, perché non abbandoneranno mai le loro politiche della
porta aperta, i loro progetti di invasione globale che, avvolta negli
stracci del diritto e di una buona coscienza diventata comica a forza di
essere mimata con la poca serietà che conosciamo, è diventata la
mondializzazione, una mondializzazione che si fa scienza, che si fa
imparziale e che ha eletto domicilio nei manuali scolastici.
Le rovine della democrazia
assomigliano a quelle di Dresda, di Hiroshima o di Mosul e quelli che
si aggirano tra esse senza vedere che la città è morta avrebbero
senz'altro da guadagnare a capire bene, a cogliere bene, a intuire bene
il progetto distruttore menato a tambur battente dall'Internazionale del
profitto.
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