I fatti di Parigi hanno tragicamente riproposto, davanti all’opinione
pubblica mondiale, la questione del terrorismo fondamentalista di
matrice islamica. I propagandisti dello “scontro di civiltà“ in servizio
permanente, proni ai voleri delle centrali che li foraggiano e li
manovrano, dalle testate dei principali organi di stampa sono tornati ad
invocare, con toni virulenti, crociate e misure preventivo/repressive
su vasta scala, cogliendo la palla al balzo. Dovere di chi milita contro
il fronte mondialista, variamente articolato al centro e alla periferia
dell’“Impero”, è quello di diffondere una seria, documentata e
approfondita controinformazione, in grado di svelare le sottili trame
che legano fra loro gli strateghi dello scontro di civiltà, partita
giocata sul campo della guerra psicologica prima ancora che su quello
del conflitto militare, e le marionette della violenza terroristica,
sbattuti regolarmente in prima pagina, mostrati al mondo ed esecrati con
tanto di martellamento mediatico come militanti di un “Esercito del
Male“ nemico dei “valori dell’Occidente“, della “civiltà cristiana“ e
via mistificando. In questi tempi, sostenere con fermezza e senza
patteggiamenti morali che il Re è nudo non è semplice né agevole, ma si
tratta di un lavoro che qualcuno deve fare, con la consapevolezza che,
venendo a mancare questo tassello, il mondo si avvierà a passi da
gigante verso un conflitto su larga scala, al quale le centrali, i think
tanks del mondialismo stanno preparando e “allenando“ l’opinione
pubblica occidentale.
Il primo vestito fasullo, inesistente, con cui qualcuno tenta di vestire l’ignudo Sovrano, è, appunto, la pretesa, irriducibile autonomia del terrorismo “islamico“. Se è vero che dinamiche interne al mondo islamico (ribellione ai processi di modernizzazione concepiti come “secolarizzazione“, rifiuto del nazionalismo e del panarabismo come ideologie di “importazione, antitetiche all’unità politico-militare dell’intera Umma su base confessionale etc.) hanno provocato la nascita di quello che, con un termine riassuntivo, chiameremo fondamentalismo islamico, è anche vero che, su questi dissidi, il colonialismo prima e l’imperialismo neocolonialista dopo, insieme al sionismo, ci hanno largamente inzuppato il pane, strumentalizzando sistematicamente il fondamentalismo contro i regimi progressisti e antimperialisti del mondo arabo-islamico, nel Maghreb come nel Mashrek, allargando il campo di influenza fino all’area indo-iranica. In questo mio contributo non estenderò la riflessione al campo dottrinario, inquadrando la storia dei fermenti e dei movimenti che, a partire almeno dagli anni ’20, scossero il mondo arabo-islamico portando il “verbo“ fondamentalista ad affermarsi tra le masse, sia pure con un peso minore rispetto al nazionalismo, al panarabismo, al socialismo baathista e ad altri filoni che hanno caratterizzato la rinascita di quell’area del Pianeta dopo il periodo coloniale.
Altri, autorevolmente, hanno trattato e sviscerato questo tema, con una vasta messe di studi; mia intenzione è, in questa sede, solo e soltanto quella di mostrare i legami tra l’imperialismo occidentale e i movimenti islamico-fondamentalisti nel secondo dopoguerra, a partire dall’Egitto di Nasser. Proprio in questo grande Paese, negli anni ’50,comincia, su vasta scala, la strumentalizzazione del fondamentalismo islamico da parte dell’Occidente imperialista e del sionismo, contro il regime progressista e panarabo dei Liberi Ufficiali, strumentalizzazione che avviene in due modi: manipolazione delle organizzazioni fondamentaliste e operazioni “false flag“ orchestrate dai servizi segreti per incolpare i fondamentalisti stessi e destabilizzare il Governo egiziano. Nel 1954 va così in scena l’“Affare Lavon“: per giustificare la permanenza inglese in Egitto e nella zona di Suez in particolar modo, i servizi segreti militari israeliani (l’AMAN), con la collaborazione di una rete di ebrei sionisti, reclutati in collaborazione con l’agente inglese John Darling, di stanza a Gibilterra, lanciarono una campagna terroristica contro obiettivi sensibili, la cui responsabilità fu addossata a Fratelli musulmani, comunisti, nazionalisti vari, alfine di spingere il governo inglese a mantenere le sue truppe a presidio dell’area del Canale di Suez, garantendo per questa via anche lo Stato di Israele. Gli attentati, indirizzati contro le Poste di Alessandria e contro Uffici americani, per fortuna non causarono vittime e la polizia egiziana, assieme ai servizi segreti, riuscì a smantellare la rete del terrore, arrestandone i componenti. Il processo, celebrato in tempi congrui, portò alla condanna a morte per Moshe Marzouk e Shmuel Azar, all’assoluzione per altri due, a pene detentive per altri ancora. Tra gli assolti, anche quell’Eli Cohen, destinato a giocare, negli anni seguenti, un ruolo di primo piano nella destabilizzazione atlantico-sionista del Medio Oriente. Lo smascheramento e la repressione della rete del terrore provocò un terremoto in Israele, dove il potere cercò di addossare tutte le responsabilità all’Unità 131 dei servizi segreti militari (l’AMAN), fin quando Ben Gurion, Primo Ministro, non chiamò in causa il Ministro della Difesa Pinhas Lavon, che dovette vestire gli scomodi panni del capro espiatorio, al punto da dare il suo nome all’operazione in questione. Per decenni Israele negò ogni compromissione “in alto loco“ con i piani terroristici che interessarono l’Egitto, ma nel 2005, finalmente, la maschera cadde: gli agenti sionisti ancora in vita, promotori dell’ “Operazione Lavon“ (più propriamente “Operazione Susannah“), furono onorati in pompa magna dal Presidente israeliano Moshe Katzav, nel corso di una cerimonia pubblica. Era, questa, la prima ammissione ufficiale del ruolo del Governo israeliano di allora (tutto, senza eccezioni) nei fatti del 1954 . Parallelamente all’”Operazione Lavon“ o “Susannah”, non dimentichiamo l’appoggio diretto dell’intelligence inglese, americana e sionista ai Fratelli Musulmani in funziona anti-nasseriana, ammesso da uno dei principali agenti della CIA, Miles Copeland, padre del celebre musicista Stewart, batterista dei “Police“.
Una vicenda illuminante è anche quella del rovesciamento del governo progressista iraniano di Mossadegh, reo di aver nazionalizzato le risorse petrolifere e di aver stabilito il primato dell’interesse nazionale su ogni legame vecchio e nuovo con l’occidente colonialista e imperialista. Contro il vecchio notabile democratico e innovatore, per niente comunista checché ne dicesse la propaganda americana, furono mobilitati i più oscurantisti e retrivi militanti islamici, reclutati nel clero islamico e fuori di esso. Manifestazioni, violenze, sabotaggi, terrorismo furono anche qui le tappe di una strategia che , orchestrata sapientemente a Washington, Londra e Tel Aviv (il Mossad diventerà uno dei principali soggetto addestratori della Savak, la feroce polizia del Trono del Pavone), portò al crollo di Mossadegh e alla sua sostituzione con lo Scià
Il primo vestito fasullo, inesistente, con cui qualcuno tenta di vestire l’ignudo Sovrano, è, appunto, la pretesa, irriducibile autonomia del terrorismo “islamico“. Se è vero che dinamiche interne al mondo islamico (ribellione ai processi di modernizzazione concepiti come “secolarizzazione“, rifiuto del nazionalismo e del panarabismo come ideologie di “importazione, antitetiche all’unità politico-militare dell’intera Umma su base confessionale etc.) hanno provocato la nascita di quello che, con un termine riassuntivo, chiameremo fondamentalismo islamico, è anche vero che, su questi dissidi, il colonialismo prima e l’imperialismo neocolonialista dopo, insieme al sionismo, ci hanno largamente inzuppato il pane, strumentalizzando sistematicamente il fondamentalismo contro i regimi progressisti e antimperialisti del mondo arabo-islamico, nel Maghreb come nel Mashrek, allargando il campo di influenza fino all’area indo-iranica. In questo mio contributo non estenderò la riflessione al campo dottrinario, inquadrando la storia dei fermenti e dei movimenti che, a partire almeno dagli anni ’20, scossero il mondo arabo-islamico portando il “verbo“ fondamentalista ad affermarsi tra le masse, sia pure con un peso minore rispetto al nazionalismo, al panarabismo, al socialismo baathista e ad altri filoni che hanno caratterizzato la rinascita di quell’area del Pianeta dopo il periodo coloniale.
Altri, autorevolmente, hanno trattato e sviscerato questo tema, con una vasta messe di studi; mia intenzione è, in questa sede, solo e soltanto quella di mostrare i legami tra l’imperialismo occidentale e i movimenti islamico-fondamentalisti nel secondo dopoguerra, a partire dall’Egitto di Nasser. Proprio in questo grande Paese, negli anni ’50,comincia, su vasta scala, la strumentalizzazione del fondamentalismo islamico da parte dell’Occidente imperialista e del sionismo, contro il regime progressista e panarabo dei Liberi Ufficiali, strumentalizzazione che avviene in due modi: manipolazione delle organizzazioni fondamentaliste e operazioni “false flag“ orchestrate dai servizi segreti per incolpare i fondamentalisti stessi e destabilizzare il Governo egiziano. Nel 1954 va così in scena l’“Affare Lavon“: per giustificare la permanenza inglese in Egitto e nella zona di Suez in particolar modo, i servizi segreti militari israeliani (l’AMAN), con la collaborazione di una rete di ebrei sionisti, reclutati in collaborazione con l’agente inglese John Darling, di stanza a Gibilterra, lanciarono una campagna terroristica contro obiettivi sensibili, la cui responsabilità fu addossata a Fratelli musulmani, comunisti, nazionalisti vari, alfine di spingere il governo inglese a mantenere le sue truppe a presidio dell’area del Canale di Suez, garantendo per questa via anche lo Stato di Israele. Gli attentati, indirizzati contro le Poste di Alessandria e contro Uffici americani, per fortuna non causarono vittime e la polizia egiziana, assieme ai servizi segreti, riuscì a smantellare la rete del terrore, arrestandone i componenti. Il processo, celebrato in tempi congrui, portò alla condanna a morte per Moshe Marzouk e Shmuel Azar, all’assoluzione per altri due, a pene detentive per altri ancora. Tra gli assolti, anche quell’Eli Cohen, destinato a giocare, negli anni seguenti, un ruolo di primo piano nella destabilizzazione atlantico-sionista del Medio Oriente. Lo smascheramento e la repressione della rete del terrore provocò un terremoto in Israele, dove il potere cercò di addossare tutte le responsabilità all’Unità 131 dei servizi segreti militari (l’AMAN), fin quando Ben Gurion, Primo Ministro, non chiamò in causa il Ministro della Difesa Pinhas Lavon, che dovette vestire gli scomodi panni del capro espiatorio, al punto da dare il suo nome all’operazione in questione. Per decenni Israele negò ogni compromissione “in alto loco“ con i piani terroristici che interessarono l’Egitto, ma nel 2005, finalmente, la maschera cadde: gli agenti sionisti ancora in vita, promotori dell’ “Operazione Lavon“ (più propriamente “Operazione Susannah“), furono onorati in pompa magna dal Presidente israeliano Moshe Katzav, nel corso di una cerimonia pubblica. Era, questa, la prima ammissione ufficiale del ruolo del Governo israeliano di allora (tutto, senza eccezioni) nei fatti del 1954 . Parallelamente all’”Operazione Lavon“ o “Susannah”, non dimentichiamo l’appoggio diretto dell’intelligence inglese, americana e sionista ai Fratelli Musulmani in funziona anti-nasseriana, ammesso da uno dei principali agenti della CIA, Miles Copeland, padre del celebre musicista Stewart, batterista dei “Police“.
Una vicenda illuminante è anche quella del rovesciamento del governo progressista iraniano di Mossadegh, reo di aver nazionalizzato le risorse petrolifere e di aver stabilito il primato dell’interesse nazionale su ogni legame vecchio e nuovo con l’occidente colonialista e imperialista. Contro il vecchio notabile democratico e innovatore, per niente comunista checché ne dicesse la propaganda americana, furono mobilitati i più oscurantisti e retrivi militanti islamici, reclutati nel clero islamico e fuori di esso. Manifestazioni, violenze, sabotaggi, terrorismo furono anche qui le tappe di una strategia che , orchestrata sapientemente a Washington, Londra e Tel Aviv (il Mossad diventerà uno dei principali soggetto addestratori della Savak, la feroce polizia del Trono del Pavone), portò al crollo di Mossadegh e alla sua sostituzione con lo Scià
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