È ben noto come la Germania abbia assunto un atteggiamento
intransigente sulla questione del debito pubblico all’interno
dell’eurozona e come essa tenda a spingere duramente perché i vari paesi
adottino, per risolverlo, delle strette politiche di austerità,
politiche che peraltro rischiano di uccidere il malato. Ne abbiamo avuto
ancora una riprova con l’attuale crisi greca; nel corso dei negoziati i
responsabili del paese teutonico sono stati i capifila e i
portabandiera del partito dell’intransigenza, sino ad arrivare
all’insulto verso un governo democraticamente eletto.
Ma da
diverse parti, negli ultimi tempi, si tende a sottolineare come in
passato il paese non sia stato quel campione di virtù che oggi cerca di
apparire; in effetti, alcuni studiosi si sono chiesti quale sia stato in
concreto, nel corso del tempo, il curriculum di tale paese sulla stessa
questione ed hanno trovato degli elementi interessanti.
Si può
cominciare ricordando come, certo, la gran parte dei paesi in tutte le
regioni del globo sia passata attraverso una o più fasi di default, o
comunque di ristrutturazione del proprio debito, nei confronti dei
prestatori esteri, ma anche come la Germania sia stata tra i più assidui
ad incappare in tale problema.
Apprendiamo così (Reinardt &
Rogoff, 2009) che tra l’Ottocento e il Novecento dello scorso millennio
lo stato tedesco, in effetti, ha fatto default o ha ottenuto degli
alleggerimenti dei suoi debiti ben otto volte nel periodo, come del
resto la Francia e contro una sola volta per l’Italia e cinque per la
Grecia. Va peraltro riconosciuto che i campioni europei in questo sport
sono stati gli spagnoli, con ben tredici volte. I tedeschi hanno
comunque conquistato un brillante secondo posto a pari merito con il
paese transalpino.
La rivalità franco-tedesca e le riparazioni dopo la grande guerra
In un certo senso, la Germania ha cercato di sottoporre la Grecia allo
stesso trattamento inflitto alla Francia dopo la guerra franco-prussiana
del 1870, quando i cittadini transalpini, dopo la veloce sconfitta,
furono obbligati a pagare un grande volume di danni di guerra, 5
miliardi di franchi, pari al 20% del pil di allora del paese; esso
dovette inoltre cedere l’Alsazia, una parte della Lorena e dei Vosgi, ai
vincitori, che comunque occuparono una vasta area della Francia sino a
che non fu effettuato l’intero pagamento del debito, ciò che avvenne,
con molta solerzia, nel 1873. Sempre i francesi furono inoltre obbligati
a concedere ai nemici la clausola della nazione più favorita.
E
viene la prima guerra mondiale. Come è noto, questa volta, alla fine, si
rovesciano le parti, la Francia si trova nel rango dei vincitori e la
Germania invece in quella degli sconfitti.
L’obiettivo
fondamentale del primo ministro francese del tempo, Georges Benjamin
Clemenceau, fu allora quello di vendicarsi della sconfitta del 1870 e di
annullare praticamente i progressi economici fatti dalla Germania dopo
quella data. Egli riuscì ad imporre rilevanti perdite territoriali al
paese nemico e cercò parallelamente, nella sostanza, di distruggere, o
quantomeno di danneggiare al massimo, il suo sistema economico.
Ecco che lo statista francese riesce ad imporre alla Germania anche il
pagamento di danni di guerra molto ingenti. La Gran Bretagna e gli Stati
Uniti si accodarono alla fine alle richieste dell’alleato.
Il
problema finanziario che si poneva era comunque abbastanza complesso. Da
una parte stavano i prestiti interalleati fatti prevalentemente per
acquistare le armi e gli equipaggiamenti relativi (la Gran Bretagna
aveva preso a prestito dagli Stati Uniti, la Francia dalla Gran Bretagna
e dagli Stati Uniti), dall’altra il problema delle riparazioni tedesche
a Francia e Inghilterra. Le somme in gioco erano enormi: i debiti
interalleati erano stimati in circa 26,5 miliardi di dollari, la gran
parte dei quali dovuti agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna, mentre la
commissione per le riparazioni del 1921 fissò in maniera definita, dopo
vari summit preliminari che andavano più o meno nello stesso senso, il
debito della Germania in 33 miliardi di dollari, la gran parte dovuti a
Francia ed Inghilterra (Aldcroft, 1993). Tali riparazioni avrebbero
dovuto essere regolate in rate trimestrali a cominciare dal gennaio del
1922.
Mentre la Francia legava le due questioni, dichiarando che
il paese avrebbe ripagato i suoi debiti quando gli sarebbero stati
versati i proventi delle riparazioni, la Gran Bretagna e gli Usa avevano
chiaro che gli indennizzi non potevano superare certi limiti.
I dubbi di Keynes e i vari tentativi di ristrutturazione del debito
Nel 1919 Maynard Keynes aveva 36 anni e aveva partecipato alla
conferenza di pace come rappresentante del governo inglese per le
questioni finanziarie. Ma egli si dimise presto, essendosi trovato in
totale disaccordo con l’impostazione che gli alleati stavano dando alla
sistemazione dell’Europa dopo la guerra.
Egli pubblicò così
subito dopo “Le conseguenze economiche della pace”, un saggio molto
polemico contro la follia della “pace cartaginese” che i vincitori della
guerra stavano, a suo dire, imponendo alla Germania. Le riparazioni
avevano un onere finanziario, affermò l’autore, che la Germania non era
in grado di sostenere (egli calcolò a questo proposito che il paese
avrebbe potuto restituire, grosso modo, solo un quarto della somma
stabilita) e previde lucidamente che le conseguenze del trattato di pace
sarebbero state molto dannose per il futuro del continente.
I
tedeschi cominciarono a versare le prime rate, ma nel corso del 1922 la
situazione economica del paese si deteriorò rapidamente, con
l’accelerazione dei processi di inflazione e di svalutazione della
moneta; i tedeschi chiesero dunque una moratoria dei pagamenti, ma essa
fu loro negata. Ma la Germania non era più in grado di pagare (Aldcroft,
1993) e, comunque, non fece nessuno sforzo per tentare.
Nel
gennaio del 1923, i francesi e i belgi, di fronte al fatto che i
tedeschi non pagavano le somme richieste, decisero di occupare la Ruhr.
Ma tale mossa concorse a completare il collasso economico e finanziario
della Germania.
Si stabilì, a questo punto, di convocare una
conferenza internazionale, che si tenne a Londra nel 1924 e che diede
origine al piano Dawes, dal nome del presidente della conferenza, un
banchiere americano. Secondo questo piano, la moneta tedesca avrebbe
dovuto essere stabilizzata dopo l’enorme livello raggiunto
dall’inflazione e le truppe francesi avrebbero dovuto essere ritirate
dalla Ruhr. Un flusso di aiuti americani alla Germania avrebbe permesso a
quest’ultima di rimborsare i suoi creditori. L’importo totale dei
debiti della Germania veniva lasciato quale fissato nel 1921, ma
venivano allungati i tempi di pagamento.
Così nel periodo
1924-1930 la Germania prese a prestito soprattutto dagli Stati Uniti
circa 28 miliardi di marchi e ne restituì ai paesi alleati come danni di
guerra circa 10,3 (Aldcroft, 1993).
Ma, quando nei tardi anni
venti, i prestiti statunitensi smisero di arrivare e molte banche
straniere richiesero la restituzione di prestiti precedenti, la
situazione si fece di nuovo difficile.
Un ulteriore accordo venne
così negoziato nel 1929; era il piano Young, dal nome di un altro
plenipotenziario statunitense. Il piano proponeva ormai una riduzione
del totale del debito tedesco e degli importi da pagare annualmente.
La situazione economica internazionale intanto non fece funzionare
l’accordo che per due anni. Nel 1931 la moratoria Hoover sospese per un
anno i pagamenti, ma di fatto si trattò di una moratoria definitiva.
Alla fine gli Stati Uniti avevano ricevuto in restituzione dagli
alleati circa 2,6 miliardi di dollari, contro crediti per prestiti ed
interessi di 22 miliardi. La Francia a sua volta aveva ricevuto in
pagamento dalla Germania circa un terzo dell’importo stimato dei danni
di guerra (Aldcroft, 1993).
Le riparazioni dopo la seconda guerra mondiale
E viene poi la seconda guerra mondiale. Anche in questo caso, dopo la
fine delle ostilità, si trattava di sistemare la questione delle
riparazioni.
La conferenza di Postdam nell’agosto del 1945 fissò
subito il principio delle restituzione dei danni di guerra e un accordo
di base in proposito venne ipotizzato per le zone occidentali del paese
nel 1950. Intanto era stato avviato il piano Marshall, con il quale gli
Stati Uniti concessero al paese rilevanti somme di denaro per far
ripartire la loro economia.
Furono gli Stati Uniti a guidare
tutta l’operazione dei risarcimenti nel 1953, consci che fosse
necessario aiutare la ripresa della Germania e dell’Europa dopo una
guerra devastante, evitando di commettere gli stessi errori del primo
dopoguerra. Pesava fortemente, peraltro, anche la volontà degli Stati
Uniti di fare della Germania Occidentale un baluardo contro il blocco
sovietico.
Così nell’agosto del 1953, dopo trattative durante
diversi mesi, ventuno paesi firmarono a Londra un trattato, noto come
London Debt Agreement , che consentì alla Germania di suddividere la
questione in due parti. La prima corrispondeva ai debiti accumulati fino
al 1933, stimati in 16 miliardi di marchi; fu consentito di rateizzare
il loro pagamento in 30 anni, a tassi di interesse molto bassi, ciò che
equivaleva alla pratica cancellazione dello stesso. L’altra parte,
corrispondente ad altri 16 miliardi di marchi e che faceva riferimento
ai debiti dell’epoca nazista e della guerra, avrebbe dovuto essere
ripagata, secondo modalità da concordare, dopo l’eventuale
riunificazione del paese. Ma nel 1990, a processo di unificazione
concluso, il governo tedesco si oppose alla rinegoziazione dell’accordo,
a ragione in particolare dei costi che sarebbero stati necessari per
risollevare economicamente la parte est del paese.
In ambedue le occasioni tra i creditori c’era anche la Grecia, che dovette accettare molto a malincuore tali decisioni.
La stessa Grecia ha sollevato a più riprese, ma invano, la questione
dei danni di guerra subiti da parte della Germania. Tra l’altro, in
effetti, nel corso delle vicende belliche il paese, occupato dai
tedeschi, era stato costretto a prestare al Reich 476 milioni di
reichsmark senza interessi. Tale somma corrispondeva ormai nel 2012,
secondo alcuni calcoli, a circa 14 miliardi di dollari e a circa 95
miliardi se si calcolavano anche degli interessi al tasso molto
ragionevole del 3% annuo. A fine 2014 la cifra totale dovrebbe aver
superato i 100 miliardi di dollari.
La Germania si rifiuta a tutt’oggi di prendere in considerazione l’intera partita.
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