Ci
sono i piccoli boss locali. E poi i colossi del sociale che macinano
decine di milioni. Tutti con gli amici giusti, in contesti dove la
politica pesa, senza distinzioni di schieramento.
Se
Mafia Capitale era il cancro che infettava Roma corrompendo politica e
amministrazione, è vero che il suo sistema si ripete, in piccolo, in
tutta Italia. Il cuore del business dei migranti si chiama Cas, sigla
delle strutture gestite da privati attraverso bandi delle prefetture.
Nati nel disastro della disorganizzazione dell’emergenza, con la
politica che non ha potuto o in alcuni casi voluto occuparsi del
fenomeno, i Cas sono spuntati come funghi. A fine anno erano 9.132 (il
99,8% delle strutture di prima accoglienza) e gestivano 148.502
richiedenti asilo (il 93,5% del totale).
I
Cas sono spesso semplici case risistemate, senza grandi pretese. Hanno
un vantaggio: i piccoli numeri sono più gestibili e hanno un minor
impatto sul territorio. E uno svantaggio: non sono gli Sprar,
organizzati dagli enti locali e sottoposti a un sistema di controlli
molto più rigido. Aggiungeteci che nel 2017 lo Stato ha elargito
qualcosa come 1,68 miliardi di euro ai Cas, come poteva finire? Accanto a
cooperative, onlus e organizzazioni serie, che da sempre si occupano
del sociale, sono arrivati i predoni. Che spesso sono legati a chi è al
potere in quei territori.
A
differenza di quel che vuole la vulgata, chi intasca i famigerati 35
euro per richiedente asilo sfruttando situazione e migranti, prime
vittime del sistema, può dunque avere un diverso colore politico. Anche
«nero».
Cooperative con la mano tesa
Prendete
il caso Fondi, nel cuore del Sud Pontino, l’area in provincia di Latina
che si spinge fino al confine con Caserta. Quarantamila abitanti, sede
del più importante mercato ortofrutticolo all’ingrosso del centro
Italia, è da almeno 15 anni la roccaforte laziale della destra,
soprattutto di Forza Italia. Gli affari a Fondi non riguardano solo
frutta e verdura. Due Onlus, Azalea e La Ginestra, dal 2015 gestivano i
centri di accoglienza per richiedenti asilo con un giro d’affari di
quasi sei milioni di euro.
Nel
2016 scoppia una rivolta, gli ospiti scendono in strada, si ribellano,
qualcuno chiama la Polizia. I magistrati di Latina decidono però di
capire meglio cosa accade nei centri gestiti da piccoli imprenditori
locali, famiglie fondane conosciute. La squadra mobile scopre le
condizioni disumane di quelle case di accoglienza: sovraffollamento,
1,66 euro spesi per fornire due pasti, vestiti recuperati qui e lì nei
cassonetti dei rifiuti.
La Onlus più attiva è la Senis Hospes. L’anno scorso ha incassato 20 milioni
In
altre parole una cresta sui finanziamenti destinati a rendere la vita
perlomeno dignitosa a chi aveva scelto l’Italia per sfuggire a guerre e
persecuzioni. Pochi giorni fa il pm Giuseppe Miliano ha chiuso
l’inchiesta, chiedendo il rinvio a giudizio.
In
città i movimenti dell’ultra destra intanto cercavano di fatturare
politicamente. Forza Nuova annunciava manifestazioni contro le vittime,
dimenticando di raccontare fino in fondo chi fossero i carnefici. Uno di
questi, Luca Macaro, ha una storia interessante. Candidato nella lista
Progetto Fondi, che appoggiava insieme alla Lega Lazio il candidato
della destra Franco Cardinale, un padre – anche lui coinvolto nella
gestione del centro di accoglienza, ma non indagato – che su Facebook
metteva la classica manina tesa a mo’ di saluto romano e cliccava like
sul profilo proprio dei camerati di Forza Nuova. Una passione per i
migranti, quello della famiglia Macaro, recentissimo. Scorrendo il
profilo Facebook di Luca Macaro fino a qualche anno fa erano ben altri
gli interessi: movida fondana e aperitivi.
Il colosso che finanzia Fi
Se
le due Onlus laziali in fondo erano piccole imprese, un vero e proprio
gigante dell’accoglienza è invece il gruppo Senis Hospes / MediHospes,
il gestore del centro di Borgo Mezzanone in provincia di Foggia.
Travolto dallo scandalo nato dopo l’inchiesta giornalistica
dell’Espresso, non si è perso d’animo. E, soprattutto, non è mai uscito
dal giro. Secondo i dati del Viminale nel 2017 ha gestito 15 centri, da
Pordenone a Messina, per un totale di 2.067 ospiti e un incasso
superiore a 20 milioni di euro.
Anche
qui amicizie e legami puntano a destra. Nelle dichiarazioni depositate
alla Tesoreria della Camera dei deputati relative alle elezioni del 2013
il gruppo Senis Hospes risulta nell’elenco dei donatori del Popolo
delle libertà di Silvio Berlusconi, con un versamento di 15 mila euro.
Il presidente del gruppo, Camillo Aceto, ha poi staccato personalmente
un assegno da 5 mila euro a Maurizio Lupi, che poco dopo diverrà
ministro delle Infrastrutture.
Ma
i rapporti tra Aceto e Lupi erano prima di tutto ideologici, grazie al
legame dei due con il movimento cattolico Comunione e Liberazione.
In Sicilia c’è l’Udc
Raccontano
le cronache che a Trapani, con il picco del flusso di migranti, i
vecchi Ras si siano messi a rastrellare case, cascine, piccole
strutture. Posti letto da utilizzare per l’accoglienza. Nulla a che
vedere con lo spirito umanitario che pur contraddistingue una parte
dell’isola. Nel 2016 le indagini portarono ad arrestare anche un
sacerdote, don Sergio Librizzi, con pesanti accuse di molestie sessuali e
di affari illeciti con i richiedenti asilo (condanna a 9 anni appena
tornati in Appello dopo un passaggio in Cassazione).
Le
indagini, però, non si sono fermate. Da un’intercettazione spunta una
nuova pista, che conduce lo scorso luglio a un arresto eccellente. L’ex
deputato regionale dell’Udc, Onofrio Fratello, finisce in manette con
l’accusa di aver gestito una capillare rete di strutture attraverso
prestanome. L’ex deputato regionale era stato condannato per mafia il 13
dicembre 2006 ed era sottoposto a una vigilanza sui movimenti
patrimoniali. Da Cosa nostra al business sulla pelle di chi fugge
dall’inferno di Tripoli il passo è stato breve.
Profondo Nord e politica
Prima
la Dc, poi il Pdl. Simone Borile, la politica, la masticava da sempre.
Così come la monnezza, il suo primo business nel Veneto dei padroncini.
Poi sono arrivati i migranti e ha intuito il nuovo filone. Le cose,
però, non sono andate bene. Lo scorso marzo la Finanza di Padova ha
sottoposto a sequestro preventivo 3 milioni di euro per la sua attività
con i rifiuti. Quindi è arrivata l’inchiesta sulla gestione dei migranti
dei centri di Cona e Bagnoli, dove è indagato. E anche in questo caso
le indagini erano partite dalle proteste degli ospiti.
Ispezioni e contestazioni
Centinaia
di bandi, controlli difficoltosi, che spesso arrivano dopo le inchieste
giornalistiche o le proteste degli ospiti. Nel 2017 solo il 40% di
queste strutture ha ricevuto un’ispezione e, in 36 casi, si è arrivati
alla revoca dell’affidamento per gravi inadempienze. Le contestazioni
sono state 3.000 e le penali applicate ammontano a 900.000 euro. Numeri
in fondo piccoli se si pensa all’intero sistema. Recita la Relazione sul
sistema di accoglienza, appena resa pubblica e a firma del ministro
dell’Interno Salvini: «Nell’indire le gare finalizzate al superamento
degli affidamenti diretti, i prefetti hanno affrontato oggettive
difficoltà riconducibili all’inidoneità di molti immobili proposti, non
rispondenti agli standard previsti od offerti da soggetti non
qualificati o addirittura collegati ad ambienti malavitosi».
Anche
per questo dallo scorso 1° dicembre il ministero ha assegnato un
prefetto al coordinamento delle ispezioni e si è concordato con
l’Anticorruzione uno schema unico dei capitolati d’appalto per rendere
omogenei requisiti e standard. Sarà però difficile e ci vorrà tempo per
liberarsi dei predoni. Un’idea sarebbe partire dal Lazio, la regione più
critica. Se a livello nazionale la media delle contestazioni per centro
visitato è stato di 0,79, qui siamo a 2,38: tre volte tanto. Forse non è
un caso se a Roma tutti ricordano la frase di Salvatore Buzzi, il Ras
delle coop alleato con il nerissimo ex Nar Massimo Carminati: «Tu c’hai
idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende
meno».
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