Immaginate
un grande ponte, unico al mondo per dimensioni e materiali utilizzati, a
tre campate da duecentocinquanta metri, largo otto corsie, un’opera “
trasparente”, con un impatto visivo modesto e sofisticate tecniche per
l’abbattimento del rumore. E ora mettete quel gigante al fianco del
vecchio Ponte Morandi, cuore ferito di una viabilità autostradale
genovese ormai al collasso». Ecco, lo avete immaginato? Sembra cronaca
odierna, e invece è un articolo di Repubblica
del 15 ottobre 2003. Quindici anni fa esatti. Consultare l’archivio del
nostro giornale riserva delle sorprese: il viadotto crollato lo scorso
14 agosto era malato, va bene, ma più che altro era stato detto,
ridetto, scritto e riscritto numerose volte. A
inizio 2003 l’Anas propose la costruzione di un viadotto bis da
affiancare al Morandi, per alleggerirlo insomma, perché era « ormai
palesemente inadatto a reggere il peso di una viabilità aumentata a
dismisura negli ultimi vent’anni e non più in grado di reggere il flusso
dei veicoli e dei mezzi pesanti che ogni giorno passano dal nodo
autostradale genovese». Ma alla fine il piano saltò: «Ci sono
sessantamila persone pronte a scendere in strada, a bloccare la città se
l’ ipotesi del ponte-bis andasse avanti», avvertì l’allora presidente
del consiglio di circoscrizione della Valpolcevera, Gianni Crivello. “
La lunga vita difficile del viadotto malato che non poteva morire”,
titolava una profetica analisi a firma di Costantino Malatto del 16
settembre 2003. « I nemici non gli sono mai mancati nei
suoi 36 anni di vita — si apriva così il pezzo — Ma ora che qualcuno
vorrebbe mandarlo in pensione anticipata per problemi di salute, sono
moltissime le voci che si levano in suo favore, per mantenerlo in
attività. La verità è che lui è non solo malato, ma anche vecchio (...)
Senza il Morandi la città sarebbe letteralmente paralizzata. Ko.
Soffocata. Allora addirittura c’è chi spera di fare sì qualcosa di
alternativo, ma poi di tenere ancora in vita il Morandi per usarlo come
tangenziale » . Già a distanza di pochi anni dall’inaugurazione stessa,
«lo stesso Morandi si accorse che qualcosa non funzionava come doveva.
Colpa del “ salino” e dell’inquinamento industriale. Colpa anche della
particolare concezione strutturale ideata dall’ingegnere. Fatto sta —
scriveva Malatto — che il viadotto si “ consumava” molto più velocemente
di quanto accadesse ad opere di quel genere realizzate con gli stessi
materiali. A poco più di quindici anni dall’inaugurazione sono
cominciati i lavori di consolidamento. Dieci anni fa gli interventi più
rilevanti, dopo che i sondaggi avevano portato sorprese
negative: nella parte del viadotto vicina alla A7 il degrado dei
materiali era ad uno stadio ben più avanzato, numerosi “trefoli” — vale a
dire i cavi multipli in acciaio — che costituiscono i tiranti del
viadotto erano ossidati o addirittura tranciati».
Nel 2007 l’allora ministro delle
Infrastrutture Antonio Di Pietro disse « bisogna rifare subito il ponte
Morandi sennò crolla » . Il viadotto aveva davanti altri dieci anni di
vita, non di più, diceva l’ex magistrato. «Il Morandi è ormai agli
sgoccioli, rischiamo la paralisi assoluta » , avvertì presidente della
Camera di Commercio Paolo Odone solo due anni fa. Ma la doppia profezia
la fece Simone Mazzucca, dirigente del Pd, nel 2013: « La struttura-
partito ( dei democratici, ndr) è come il
ponte Morandi, che sta crollando sotto gli occhi di tutti. Poi, come si
dice a Genova, “ stucco e pittura fan bella figura”. Dipende se vogliamo
andare avanti a stucco e pittura o vogliamo ricostruire veramente ».
Domanda ancora aperta.
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