Yoshihide Suga sarà con ogni probabilità il successore di Shinzo Abe, il premier giapponese dimessosi a fine agosto per motivi di salute, che ha aperto un “vuoto” significativo nella direzione complessiva della politica giapponese.
Il 71enne Suga è stato una figura rilevante durante gli otto anni della leadership di Abe, come Capo di Gabinetto.
Sul nome del successore convergono quattro su cinque delle frazioni del Partito Liberale, e tale nomina avverrà con il 18 settembre.
Suga ha già abbondantemente dichiarato che a livello economico si muoverà nel solco del suo predecessore – la cosiddetta Abenomics -, e non modificherà gli accordi esistenti tra governo e Banca del Giappone.
L’ex primo ministro Abe ha guidato il Giappone dal 2012, dopo che si erano succeduti 6 primi ministri in sei anni, dando stabilità di governo ed un profilo internazionale più marcato, ma ha notevolmente mancato gli obiettivi economici che si era preposto, tra cui il portare l’inflazione al 2%.
L’emergenza pandemica e il rinvio delle Olimpiadi previste a Tokyo quest’anno hanno ulteriormente complicato la fase politica, caratterizzata da una rinnovata volontà del Giappone di tornare ad essere un soggetto economico di spicco e allo stesso tempo un soggetto geopolitico influente a livello regionale.
L’invecchiamento della popolazione mina alla base qualsiasi progetto di rilancio, sia economico che politico, mentre lo sviluppo di altri attori rilevanti nel quadrante Asia-Pacifico ha limitato le sue ambizioni.
Ci è sembrato utile, nel quadro di estrema incertezza che caratterizza il Paese – nonostante per ora l’establishment politico-economico abbia optato per la continuità in mancanza di una altra valida ipotesi sul tappeto – tradurre questa analisi di Gideon Rachman, pubblicata dal Financial Times, che fa un bilancio della politica estera di Abe.
L’ex primo ministro non è riuscito – più per fattori esterni che per resistenze interne – ad imprimere una decisa accelerazione alla politica internazionale del Giappone stravolgendo gli assunti contenuti nella Costituzione “pacifista”, nonostante abbia fatto riemergere prepotentemente la matrice nazionalista.
L’analisi ha come asse principale del ragionamento il rapporto tra Giappone e Cina e la relazione tra il premier nipponico uscente e Xi Jinping; non ha caso si intitola: “Shinzo Abe and his Struggle with Xi Jinping”.
Una lotta che, anche per la differente gestione dell’emergenza pandemica e dei suoi riflessi economici ci sentiamo di affermare, è stata persa da Abe e vinta da Xi, o meglio persa da un sistema politico-sociale e vinta da un altro; anche per il fatto che un Paese una visione strategica avanzata. l’altro no.
“Abe ha fatto molte mosse strategiche per il suo paese, ma lascia l’incarico senza sapere se i suoi sforzi saranno alla fine coronati dal successo. Rispondere all’ascesa della Cina è una sfida generazionale per il Giappone” afferma l’autore.
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