martedì 27 novembre 2018

Informare, non condonare

Se ci sono vincoli idrogeologici, le case di Ischia vanno demolite». Le parole del premier Conte pronunciate durante il question time alla Camera sul dissesto idrogeologico, nelle ore del varo del Decreto Genova e in un malcelato ennesimo condono edilizio, ci rimandano all’ultima tragedia, la villetta sommersa dal fiume Milicia a Casteldaccia (PA). Costruita abusivamente in area di pericolosità elevata, avrebbe già dovuto essere abbattuta dal comune, come ha precisato il Tar, dal 2011: «in questi anni, l’ordinanza di demolizione poteva – e doveva – essere eseguita» ha ribadito il Tribunale della Giustizia Amministrativa.
Se sta alla magistratura accertare le responsabilità nella vicenda, in cui hanno perso la vita 6 adulti e 3 bambini, non resta che constatare che il comune di Casteldaccia, pur sollecitato da maggio, non aveva ancora presentato il piano di allerta e protezione civile, previsto dalla legge. Ma stando al quadro fornito dalla Protezione Civile, in Sicilia solo il 48% dei comuni ha presentato quel piano, a fronte di una media italiana del 88% e del 100% delle amministrazioni di Marche, Molise, Provincia Autonoma di Trento e Val d’Aosta e il 78% dei comuni di Lombardia e Calabria, tra le regioni più soggette a rischio idrogeologico.
 Secondo la mappatura dell’Osservatorio Cittaclima.it, dal 2010 ad oggi sono 256 i comuni dove si sono registrati impatti rilevanti, con 426 fenomeni meteorologici estremi, 133 allagamenti, 59 esondazioni fluviali e 133 i casi di danni a infrastrutture. E si continua a pagare un tributo drammatico in termini vite umane e di feriti, al quale vanno aggiunte le 37 vittime di queste ultime settimane: dal 2010 al 2017 sono, infatti, oltre 157 le vittime di questi fenomeni e oltre 45mila quelle che sono state sgomberate.

Sono, infatti, i sindaci le Autorità territoriali di protezione civile e responsabili dell’attuazione e dell’adozione dei piani di emergenza comunali. Se però, come dimostra anche la campagna “Io non rischio”, l’informazione è la migliore prevenzione, non tutti i comuni si sono ancora adeguati al Piano Nazionale.
«Molto rimane ancora da fare» conferma a Valori Giorgio Zampetti, direttore di Legambiente e responsabile scientifico del rapporto Ecosistema Rischio 2017, l’indagine sulle attività nelle amministrazioni comunali per la riduzione del rischio idrogeologico.

Abusi edilizi, un vizio ancora di moda

«La costruzione scellerata non è un fenomeno solo del passato: nell’ultimo decennio il 9% dei comuni (136) ha edificato in aree a rischio e di questi 110 hanno costruito case, quartieri o strutture sensibili e industriali in aree vincolate». Preoccupanti anche i dati sulla cementificazione dei letti dei fiumi: anche se il 70% dei comuni intervistati (1.025 amministrazioni), svolge regolarmente un’attività di manutenzione ordinaria delle sponde dei corsi d’acqua e delle opere di difesa idraulica, il 9% delle amministrazioni ha dichiarato di aver “tombato” tratti di corsi d’acqua sul proprio territorio, con una conseguente urbanizzazione delle aree sovrastanti.

La fotografia di un paese in dissesto

L’Italia è arrivata in ritardo a legiferare ed intervenire sul dissesto idrogeologico. Ci sono voluti i disastri, come quello di Sarno, per accelerare l’attuazione della legge 183/89 che fino al 1998 non era stata applicata e che è stata poi assorbita nella legge 152/2006.
Norme che prevedono l’istituzione dei PAI, Piani per l’assetto idrogeologico, con la mappatura e l’individuazione delle aree soggette a frane e alluvioni e il loro recepimento nella pianificazione urbanistica, per la salvaguardia del territorio, oggetto di aggiornamento e integrazioni da parte delle Autorità di Bacino Distrettuali e su richiesta degli Enti Locali, con il coordinamento dell’Istituto Superiore per la Protezione dell’Ambiente (ISPRA). Mappe che sono disponibili sul sito di Ispra e delle singole regioni.

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