Il governo a guida Renzi-Padoan, etero
diretto da Angela Merkel e Mario Draghi, che una volta tanto si sono
mostrati concordi nello spiegare e ad imporre agli italiani le cose da
fare, continua a manifestare tutto il
proprio ottimismo. Molti ci criticano, hanno ammesso l'ex scout e l'ex
direttore economico dell'Ocse, ma fanno male perché i provvedimenti che
abbiamo adottato sono giusti e perfetti, come si dice in Loggia,
ambiente piuttosto frequentato dalle parti di Firenze. Non è colpa
nostra se i loro effetti si vedranno soltanto tra qualche anno. Bisogna
avere pazienza e fiducia. Il presente è cupo, in realtà è tragico, ma
l'avvenire è roseo. Sarà. Nel frattempo, a smentire l'ottimismo dell'ex
sindaco, e del suo capo economista, ci sono i dati dell'economia, i
cosiddetti “fondamentali”, che, presi nel loro complesso, non fanno
presagire nulla di buono. Il primo dato da considerare è ovviamente
quello del debito pubblico che si è attestato sul 135% rispetto al
Prodotto interno lordo. Cifra più, cifra meno, ma tendenzialmente siamo
sopra tale percentuale. Il disavanzo va un po' meglio. Siamo, sembra,
sotto il 3%, che rappresenta il tetto stabilito dalla Commissione
europea per ottenere la patente di Paese “virtuoso”, quello cioè che
riesce a tenere sotto controllo la dinamica della spesa pubblica.
Tramite la spending review, detto in italiano la revisione della spesa,
Renzi e Padoan ci sono in parte riusciti. Diciamo in parte, perché
chiudere i cordoni della borsa è una misura buona e giusta se i tagli
conseguenti vanno a colpire la spesa facile, improduttiva e clientelare
delle burocrazie ministeriali e di quelle degli enti locali. Un po' meno
se si finisce inevitabilmente per toccare anche i servizi sociali, la
spesa sanitaria e i trasporti. I bei tempi (per voi) sono finiti. Non
potrete più spendere e spandere, ha detto rivolto alle Regioni, l'ex
concorrente della Ruota della Fortuna. Un riferimento che è andato
dritto al cuore di molti pensionati che hanno saputo dai giornali che
alcuni (gli attuali e gli ex) deputati, dirigenti ed amministratori di
talune Regioni, vedi la Sicilia e la Sardegna, tanto per dirne una,
grazie a leggi fatte apposta per loro, hanno acquisito il diritto a
ricevere una pensione di importo regale. E addirittura alcuni di loro ad
una età nella quale il comune mortale sta ancora lavorando duramente.
Lo stesso si potrebbe dire per i magistrati delle alte Corti (Consulta,
Cassazione, Corte dei Conti e Consiglio di Stato) e per taluni
parlamentari che, grazie ad una sola legislatura, potranno vantare il
diritto ad una sostanziosa pensione che l'uomo della strada non vedrà
nemmeno con il cannocchiale. Ma, nonostante tutte le resistenze che
incontra sulla sua strada, Renzi, unitamente al fido Padoan, continua
nella sua strada. Il governo sta in effetti scontentando tutti.
Parlamentari e politici locali. I primi, in mezzo a mugugni sempre più
palpabili, continuano però ad assicurargli il loro voto. Forse intuendo
che sono obbligati a tagliare la fetta di torta a loro disposizione per
non correre il rischio di ritrovarsi senza niente a breve termine.
Staremo a vedere. Chi continua a strillare sono ovviamente i sindacati.
Se la Cisl e la Uil non dovrebbero avere titoli per farlo, visto le
cessioni fatte alla Confindustria sul nuovo modello contrattuale e alla
Fiat sul nuovo contratto aziendale, nemmeno la Cgil ha ormai molti
titoli per presentarsi come garante dei diritti dei lavoratori.
L'atteggiamento della Camusso è stato fin troppo accomodante, anche
considerato che il sindacato di Corso d'Italia ha dovuto scontare la
realtà di essere legata a filo doppio al PD che, a differenza del
PCI-PDS-DS, non può presentarsi come partito di lotta e di governo.
Resta la Fiom-Cgil di Landini, l'unica sigla, unitamente ai Cobas, che
ha alzato la voce contro la trasformazione del lavoro in merce. Senza
molto successo in verità. La realtà resta però quella di un sindacato
che non è più rappresentativo di chi lavora. Soltanto un 38% dei
dipendenti è infatti iscritto ad un sindacato e nelle sigle tradizionali
il 55% circa, se non di più, è formato da pensionati. Lo scenario
attuale è così quello di un Paese in profonda crisi, con migliaia di
imprese costrette alla chiusura perché non sono più in grado di
affrontare la concorrenza internazionale. E questo sia a causa di una
guerra dei prezzi che favorisce Paesi come la Cina, avvantaggiata da un
costo del lavoro che è otto volte minore del nostro. Sia dalla
impossibilità di ottenere prestiti dalle banche per investire ed
innovare. Le banche, pur esplodendo di liquidità, preferiscono infatti
comprare titoli di Stato, che gli garantiscono entrate sicure e costanti
(come interessi) e la restituzione del capitale. Non volendo e non
potendo andare contro le banche, che sono le vere padrone del Paese, e
che dovrebbero fare credito, il governo e la politica puntano sulla
riduzione del costo del lavoro attraverso la riduzione dei diritti. Ma
in tal modo si aumenta la povertà, si causa la proletarizzazione del
ceto medio e si crea una enorme massa di scontenti, di disperati e,
diciamolo pure, di incazzati che si stuferanno presto di sentire le
solite esaltazioni del Libero Mercato e scenderanno in piazza,
finalmente, per fare sentire la propria voce.
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