L'Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL-ILO) sforna ogni
anno una pubblicazione dal titolo L'occupazione nel mondo e le
prospettive sociali. Il rapporto per l'anno in corso, pubblicato il 18
maggio, e sottotitolato "Trasformare il lavoro per sconfiggere la
povertà". Fornisce stime sulla soglia di povertà nel mondo e del
quantitativo di reddito che sarebbe necessario trasferire ai poveri per
metter fine alla povertà mondiale.
Prima di buttarci su queste
stime, val la pena di riflettere su come l'OIL definisce la povertà.
Vengono utilizzati i parametri della Banca Mondiale per l'anno 2011, per
i quali vivere con meno di 1,90 dollari al giorno significa rientrare
nella "povertà estrema", mentre vivere con una somma compresa tra 1,90 e
3,10 dollari al giorno significa trovarsi in una "povertà moderata" nei
"paesi emergenti ed in via di sviluppo". Queste soglie di povertà sono
convertite nelle monete locali di questi paesi usando i tassi di cambio
del sistema detto della "parità dei poteri di acquisto" (purchasing
power parity, PPP) del 2011, e non i tassi di cambio nominali correnti.
La differenza tra i due tassi di cambio può essere compresa nel modo
che segue. Il tasso di cambio nominale tra la rupia (moneta dell'India,
n.d.t.) ed il dollaro USA è oggi intorno alle 67 rupie per dollaro; ma
se noi prendiamo un determinato paniere di beni e servizi, vale a dire
il paniere dei beni e servizi consumati dai redditi più bassi, allora il
costo di tale paniere non è 67 volte in rupie quello che costerebbe in
dollari, in questo caso il tasso di cambio è 20 rupie per dollaro e non
67. Il tasso della parità dei poteri di acquisto (PPP) utilizzato per
convertire le soglie di povertà dalle rupie ai dollari è - come già
detto - quello che ha prevalso nel 2011.
Cifre come 1 dollaro e
90 e 3 dollari e 10 sono esse stesse raggiunte prendendo le varie soglie
di povertà del 2011, convertendole in dollari al tasso PPP del 2011, e
poi facendo la media di questi differenti soglie di povertà. Questa è
poi riconvertita nelle valute nazionali con i tassi PPP 2011 per
scoprire quante persone vivono al di sotto di queste cifre. Il totale
della popolazione che vive al di sotto della povertà viene così stimata
sull'anno-base del 2011. Ci si può così esercitare sulle cifre per gli
anni successivi, per esempio per gli anni dopo il 2011, aggiornando le
soglie di povertà del 2011 con un indice dei prezzi.
L'OIL ha
scoperto che, per l'anno 2012, due miliardi di persone, o il 36,2% della
popolazione totale dei "paesi emergenti od in via di sviluppo" è
afflitta da estrema o moderata povertà. Di questi, un 15% sono afflitti
da estrema povertà, il resto da quella moderata. Prendendo la
popolazione mondiale intera, che era intorno ai sette miliardi a quel
tempo, quelli afflitti da estrema e moderata povertà nei soli paesi
emergenti ed in via di sviluppo (la povertà viene definita e stimata per
i paesi in via di sviluppo in una maniera del tutto diversa ed è
ultimamente in aumento, ma dovremmo per il presente ignorare questa
povertà), costituiscono circa il 30 per cento della popolazione
mondiale.
L'OIL naturalmente annuncia che questa povertà sta
diminuendo, ma finché la soglia di povertà utilizzata dall'OIL (e
proveniente dalla Banca Mondiale) è alla fine derivata dalle soglie di
povertà nazionali, e finché, sulla base di queste soglie nazionali di
povertà, paesi, come l'India, hanno annunciato una diminuzione
significativa della povertà, non desta stupore che anche l'OIL faccia da
eco a questi annunci. In altre parole nessun maggiore affidamento può
esser dato agli annunci dell'OIL sulla diminuzione della povertà nel
complesso dei "paesi emergenti ed in via di sviluppo" di quello che uno
può dare agli annunci del governo indiano sulla diminuzione della
povertà. Finchè gli annunci di quest'ultimo sono completamente
insostenibili, e la verità sta dalla parte opposta, esattamente lo
stesso può esser detto per gli annunci dell'OIL.
Lasciamo
comunque tale questione da parte per il momento. L'OIL stima quello che
viene chiamato "gap reddituale" che è la somma, considerando tutti i
poveri insieme, della differenza tra la capacità di spesa per il consumo
pro capite (o il reddito, se i dati sono disponibili come reddito) e la
soglia di povertà. In altre parole è la quantità di moneta che, se
trasferita ai poveri, in relazione alla misura in cui il reddito di ogni
povero è inferiore alla soglia di povertà, eliminerebbe interamente la
povertà. La cifra che è necessaria per eliminare sia la povertà estrema
che quella moderata arriva a 600 miliardi di dollari nel 2012, la quale
altro non è che lo 0,8 % del PIL mondiale di quell'anno.
Se noi
dividiamo 600 miliardi di dollari per il numero dei poveri, che è di due
miliardi, allora avremmo 300 dollari all'anno, che risulta 0,82 dollari
al giorno. La persona povera media dei paesi emergenti ed in via di
sviluppo del mondo aveva in altre parole una capacità di spesa che ogni
giorno era inferiore di 82 centesimi alla soglia di povertà dei 3
dollari e 10, o di circa un quarto della soglia di povertà. Se questa
quantità di moneta fosse resa disponibile alla persona povera media ogni
giorno, sia come reddito immediato o attraverso misure di protezione
sociale, allora il povero del mondo verrebbe tolto via dalla povertà.
Per la precisione, un mero trasferimento di reddito può non essere la
via migliore per eliminare la povertà; è sempre preferibile che impieghi
di maggiore qualità siano assicurati ai poveri. Ma il punto non è tanto
cosa sia meglio per eliminare la povertà; il punto è quanto poco sia
richiesto per eliminare la povertà sulla faccia della Terra. Un mero
0,8% del reddito mondiale è tutto ciò che è necessario sia trasferito al
povero del mondo per toglierlo via dalla povertà. Ed ancora, la cosa da
notare è che nessuno leva una sola voce perché sia effettuato un tale
trasferimento. Anche il rapporto dell'OIL, pur dopo aver menzionato la
minuscola cifra del gap reddituale in rapporto al PIL mondiale,
prontamente si allontana dalla questione per comparare questo gap con il
PIL non del mondo inteso in modo complessivo, ma con quello dei paesi
emergenti ed in via di sviluppo, come se solo questi ultimi dovessero
essere lasciati con la responsabilità di eliminare la povertà che
ristagna nelle loro economie.
Non ci sarebbe alcun dubbio per
sostenere che ci fosse un certo fondamento per cui paesi afflitti dalla
povertà siano gli unici sulle cui spalle debba ricadere il fardello di
rimuoverla, ciò se però i differenti paesi del mondo fossero disconnessi
l'uno dall'altro, se ciascuno fosse un'isola separata. Cosa che
ovviamente non è. I "paesi emergenti ed in via di sviluppo" sono
precisamente quelli che sono stati soggiogati come colonie e
semi-colonie, quelli dalle cui economie è stato drenato profitto per
secoli, le cui manifatture locali sono state distrutte con
l'importazione dei beni metropolitani, i cui artigiani sono stati
spossessati e trasformati in popolazione eccedentaria e conseguentemente
in povertà di massa. Anche al giorno d'oggi si trovano incatenati
attraverso la "globalizzazione" e le loro economie sono inermi di fronte
alla predazione della finanza speculativa, le loro risorse naturali
sono gettate in pasto alle multinazionali e i loro contadini ed
allevatori soggetti ad un processo di accumulazione primitiva di
capitale da parte delle imprese metropolitane e da parte della locale
oligarchia finanziaria ed industriale integrata con esse. Anche il più
debole sforzo messo in campo da questi paesi per assicurare risorse ai
poveri incontrerebbe resistenza ed innescherebbe una fuga di capitali;
ed il controllo dei capitali per impedire una tale fuga stimolerebbe
sanzioni ed intimidazioni da parte dei poteri metropolitani.
In
breve, finchè viviamo in un mondo "globalizzato" e ci riteniamo
soddisfatti di ciò, la povertà stessa deve essere vista altrettanto come
un problema globale e la sua rimozione altresì una responsabilità
globale. Ciò che suggerisce il rapporto OIL è che questa responsabilità
rappresenta al massimo un "peso" minuscolo.
In realtà non
costituisce affatto un onere. Finchè l'economia mondiale è in crisi, lo
0,8 % del PIL mondiale che deve essere reso disponibile per riempire il
divario reddituale non deve provenire dalla restrizione del reddito di
altri. Può essere messo a disposizione solamente producendo in più tale
quantità, reintegrando in produzione la forza lavoro attualmente priva
di occupazione e gli impianti inutilizzati. E inoltre, se lo 0,8 % del
prodotto attuale fosse trasferita ai poveri come un fido, allora non
solo questo ammontare potrebbe provenire da quella capacità che oggi
rimane inutilizzata, ma un multiplo di essa sarà prodotto
dall'utilizzazione della capacità inutilizzata.
Un esempio
renderà chiaro il punto. Assumiamo che il prodotto mondiale sia 100. Ora
se 0,8 unità di beni sono prodotte, esse potrebbero generare
un'equivalente quantità di reddito, una parte del quale sarà speso,
generando ulteriore produzione e reddito, ed una parte del quale verrà
risparmiato. Questa produzione in breve produrrà una catena di spesa e
quindi di prodotto, attraverso ciò che viene chiamato "processo del
moltiplicatore". Se, diciamo, un quarto del reddito generato è
abitualmente messo da parte, allora, per renderne disponibili alla
povertà mondiale 0,8 unità, il prodotto mondiale deve crescere del 3,2, i
risparmi del quale corrispondono allo 0,8 (che i governi possono
prendere in prestito per finanziare i trasferimenti ai poveri del mondo)
e 2,4 il consumo addizionale dai non poveri del mondo. In altre parole,
l'eliminazione della povertà mondiale, lontano dal richiedere una
restrizione di consumi da parte dei non poveri del mondo, può
attualmente suscitare un aumento dei consumi del mondo non povero.
Naturalmente, finché il mondo non avrà un solo governo ma molti, come
questo 0,8 % del prodotto mondiale debba essere apportato dai differenti
governi va ancora studiato. In breve, la logistica di come la povertà
debba essere sconfitta va ancora elaborata. Ma, in via di principio,
nessun sacrificio è richiesto ad alcuno per sconfiggere la povertà
mondiale. Al contrario, agendo in questo modo, si migliorerà lo stato di
altri.
Ciò che impedisce di debellare la povertà nel mondo non è
né la riluttanza dei non poveri a fare sacrifici (dal momento che non
sono necessari sacrifici), e neppure i problemi logistici emergenti dal
fatto che ci sono molti governi (anche questi potrebbero essere
sbrogliati); ciò è di ostacolo è lo stesso capitalismo, la cui "etica",
come ha detto Kalecky (1), "richiede che tu debba guadagnare il tuo pane
col sudore - a meno che tu non goda di ricchezze private".
Riequilibrare i divari di reddito è un anatema per il capitalismo. Ed è
un sintomo dell'egemonia di questa etica il fatto che, a differenza di
qualche decennio fa, quando la Commissione Brandt aveva chiesto ai paesi
sviluppati di contribuire coll'uno per cento del loro PIL all' "aiuto"
dei paesi sottosviluppati, anche ad una tale richiesta socialdemocratica
radicata nel "keynesismo globale" oggi non viene data alcuna voce.