“Vogliamo cambiare nome e chiamarci
Istituto nazionale della protezione sociale”. Per festeggiare i 120 anni
dell’Inps, il presidente Tito Boeri ha chiesto un regalo simbolico. E
ha colto l’occasione del convegno organizzato a Roma a fine gennaio per
festeggiare il traguardo per formulare di nuovo l’invito al Parlamento.
“Fornire protezione sociale è oggi più che mai la missione dell’Inps. Su
440 prestazioni erogate oggi dall’Istituto -ha spiegato Boeri- quelle
di natura strettamente previdenziale sono 150”. Questo non significa che
la spesa per pensioni di natura previdenziale o assistenziale
rappresenti solo un terzo della spesa dell’Inps. Bilancio sociale 2016
alla mano, infatti, la voce “spesa pensionistica” ammonta a 272,6
miliardi di euro e rappresenta l’88,6% dell’ammontare delle prestazioni.
Boeri vuole promuovere un’immagine diversa da quella del mero istituto
“erogatore di pensioni”: “Nell’ultimo anno abbiamo aggiunto alla gamma
di misure gestite dall’Inps il Bonus mamma domani, l’Ape sociale e l’Ape
volontaria, il beneficio per i lavoratori precoci, il nuovo contratto
di prestazione occasionale e il Reddito d’inclusione”. Da “erogatore” ad
amministrazione “cardine” di qualunque programma rivolto ai cittadini,
anche non esclusivamente in età da pensionamento.
Questa dimensione “larga” del welfare
cade non solo in occasione dei 120 anni dell’Inps ma anche dei 40 anni
del Servizio sanitario nazionale. E obbliga a porsi il problema di un
modello di welfare universalistico che ha davanti profondi cambiamenti
sociali, sanitari, culturali, economici. “In Italia si parla sempre di
pensioni e quasi mai, di non autosufficienza -ha ribadito Boeri-. Eppure
è proprio da quest’ultima che verranno le sfide più impegnative legate
all’invecchiamento della popolazione”. Lo sa bene Francesco Longo,
professore associato presso il dipartimento di Analisi delle politiche e
management pubblico all’Università Bocconi, che è tra i curatori per
conto del Centro di ricerche sulla gestione dell’assistenza sanitaria e
sociale (Cergas) del rapporto annuale “OASI”: Osservatorio sulle aziende
e sul sistema sanitario italiano.
I dati che lo preoccupano sono forniti dall’Istat e riguardano i fabbisogni della long term care
(Ltc). “La popolazione attesa Italia nel 2065 è di 53,7 milioni di
persone -spiega Longo- il che ci pone tecnicamente in una situazione di
‘Paese in riduzione’. Ogni anno muoiono 615mila persone e ne nascono
solo 475mila. Ci mancano 150mila nati. In più, ogni anno, 150mila
giovani lasciano il Paese. Il saldo negativo sale a 300mila persone”. A
questo si aggiunge l’esplosione dei non autosufficienti: “Oggi -continua
Longo- ne contiamo 2,8 milioni con a disposizione appena 270mila posti
letto sociosanitari residenziali pubblici o privati accreditati. E le
cure domiciliari offerte dal Servizio sanitario nazionale restano di
modesta intensità: 17 ore in media per paziente preso in carico che si
esauriscono in 9 settimane”. Le persone in stato di bisogno sono
costrette a “sconfinare”, come sintetizza Longo, in diversi sistemi di welfare, inclusi i pronto soccorso per ricoveri non dovuti.
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