venerdì 30 marzo 2018

Tra pensioni e non autosufficienza, le sfide del welfare del futuro

“Vogliamo cambiare nome e chiamarci Istituto nazionale della protezione sociale”. Per festeggiare i 120 anni dell’Inps, il presidente Tito Boeri ha chiesto un regalo simbolico. E ha colto l’occasione del convegno organizzato a Roma a fine gennaio per festeggiare il traguardo per formulare di nuovo l’invito al Parlamento. “Fornire protezione sociale è oggi più che mai la missione dell’Inps. Su 440 prestazioni erogate oggi dall’Istituto -ha spiegato Boeri- quelle di natura strettamente previdenziale sono 150”. Questo non significa che la spesa per pensioni di natura previdenziale o assistenziale rappresenti solo un terzo della spesa dell’Inps. Bilancio sociale 2016 alla mano, infatti, la voce “spesa pensionistica” ammonta a 272,6 miliardi di euro e rappresenta l’88,6% dell’ammontare delle prestazioni. Boeri vuole promuovere un’immagine diversa da quella del mero istituto “erogatore di pensioni”: “Nell’ultimo anno abbiamo aggiunto alla gamma di misure gestite dall’Inps il Bonus mamma domani, l’Ape sociale e l’Ape volontaria, il beneficio per i lavoratori precoci, il nuovo contratto di prestazione occasionale e il Reddito d’inclusione”. Da “erogatore” ad amministrazione “cardine” di qualunque programma rivolto ai cittadini, anche non esclusivamente in età da pensionamento.
Questa dimensione “larga” del welfare cade non solo in occasione dei 120 anni dell’Inps ma anche dei 40 anni del Servizio sanitario nazionale. E obbliga a porsi il problema di un modello di welfare universalistico che ha davanti profondi cambiamenti sociali, sanitari, culturali, economici. “In Italia si parla sempre di pensioni e quasi mai, di non autosufficienza -ha ribadito Boeri-. Eppure è proprio da quest’ultima che verranno le sfide più impegnative legate all’invecchiamento della popolazione”. Lo sa bene Francesco Longo, professore associato presso il dipartimento di Analisi delle politiche e management pubblico all’Università Bocconi, che è tra i curatori per conto del Centro di ricerche sulla gestione dell’assistenza sanitaria e sociale (Cergas) del rapporto annuale “OASI”: Osservatorio sulle aziende e sul sistema sanitario italiano.
I dati che lo preoccupano sono forniti dall’Istat e riguardano i fabbisogni della long term care (Ltc). “La popolazione attesa Italia nel 2065 è di 53,7 milioni di persone -spiega Longo- il che ci pone tecnicamente in una situazione di ‘Paese in riduzione’. Ogni anno muoiono 615mila persone e ne nascono solo 475mila. Ci mancano 150mila nati. In più, ogni anno, 150mila giovani lasciano il Paese. Il saldo negativo sale a 300mila persone”. A questo si aggiunge l’esplosione dei non autosufficienti: “Oggi -continua Longo- ne contiamo 2,8 milioni con a disposizione appena 270mila posti letto sociosanitari residenziali pubblici o privati accreditati. E le cure domiciliari offerte dal Servizio sanitario nazionale restano di modesta intensità: 17 ore in media per paziente preso in carico che si esauriscono in 9 settimane”. Le persone in stato di bisogno sono costrette a “sconfinare”, come sintetizza Longo, in diversi sistemi di welfare, inclusi i pronto soccorso per ricoveri non dovuti.

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