venerdì 1 dicembre 2017

I CONTI SOCIALI NON TORNANO

Già, perché in questo balletto di cifre sul deficit strutturale – dovremmo garantirne la riduzione del 0,6 per cento, la “flessibile” Ue ci ha concesso lo 0,3 per cento e i soliti furbetti italiani propongono lo 0,1 per cento – ciò che in realtà continuano a non tornare sono i conti sociali, ovvero le conseguenze concrete nelle vite delle persone di una democrazia appaltata agli algoritmi monetari.
L’ultima ricerca del Centro Studi di Unimpresa dice che, tra il 2015 e il 2016, altre 105mila persone sono entrate nel bacino dei deboli in Italia, portando la popolazione a rischio povertà alla enorme cifra di 9 milioni e 347mila persone. Alla tradizionale platea dei disoccupati, si sono nel tempo unite ampie fasce di lavoratori che, pur avendo un impiego, lo svolgono nella più totale precarietà di reddito e di diritti (6,27 milioni, secondo Unimpresa).
Un’Italia povera che si estende a macchia d’olio e lentamente sega il ramo sul quale il Paese è seduto, se è vero -come scrive l’Istat nel rapporto 2017- che sono i più giovani ad essere i più poveri: dal 2012 ad oggi, sul totale delle famiglie in povertà assoluta, sono il 3,9 per cento quelle con persona di riferimento over sessantaquattro anni, mentre arrivano al 10,4 per cento quelle con persona di riferimento sotto i trentacinque anni.
Ma l’austerità liberista, non contenta dei rami, ha preso di mira anche le radici: sono 3,5 milioni i bambini che vivono in povertà in Italia, con drammatiche conseguenze a livello di abbandono scolastico, esclusione sociale, alimentazione, attività fisica e salute (Atlante dell’infanzia a rischio 2016 di Save the Children). È d’altronde il normale risultato di investimenti per l’infanzia che vedono l’Italia al terz’ultimo posto in Europa, con una quota di spesa sociale per infanzia e famiglie pari al 4,1 per cento, contro l’8,5 per cento della media europea, e con fondi per fronteggiare l’esclusione sociale pari allo 0,7 per cento, contro l’1,9 per cento della media europea.
Si vive male dal punto di vista sociale, ma anche a perenne rischio ambientale. È l’ultimo rapporto di Legambiente e ricordarci che 7,5 milioni di persone vivono o lavorano in aree a forte rischio idrogeologico, con danni che, solo nell’ultimo triennio, ammontano a 7,6 miliardi.
Se a tutto questo aggiungiamo il fatto che oltre un terzo degli italiani ha rinunciato – in tutto o in parte – a curarsi e che l’abbandono scolastico è fra i più alti in Europa, il quadro è più che definito: la cosiddetta stabilità finanziaria – peraltro mai realmente perseguita – serve a produrre la destabilizzazione sociale, così come la trappola del debito ha l’unico scopo di proseguire le politiche di espropriazione sociale di diritti, beni comuni e democrazia.
Un enorme castello di carta tenuto in piedi solo dalla nostra paura e rassegnazione. “Così quando il sole muore fiore perdi il tuo colore, le qualità che ti hanno reso vero, ma chi lo dice che il fiore è nero” cantavano i Nomadi e forse dovremmo tornare a farlo anche noi.

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