L'organizzazione non governativa (Ong) Oxfam ha pubblicato questa
settimana un rapporto sullo stato della disuguaglianza nel mondo. Tanto
vale dire subito che i ricchi non sono mai stati così bene come oggi. Le
cifre sono da capogiro. In effetti, l'Ong prevede che nel 2016, il
famoso 1% più ricco possiederà più della metà della ricchezza mondiale.
Il restante 99% dovrà condividere il resto della torta. Gli 80 maggiori
patrimoni del pianeta detengono tanta ricchezza quanta posseduta da 3,5
miliardi dei più poveri. Ogni individuo di questa élite possiede
personalmente oltre $ 2,7 milioni. Disuguaglianze che nel corso degli
anni continuano ad allargarsi. Nel 2010, l'1% possedeva il 44% della
ricchezza globale contro il 56% del resto; nel 2020, si stima che la
quota di ricchezza dell'1% raggiungerà il 52,5%.
Inoltre, secondo
uno studio della banca svizzera UBS, in collaborazione con la società
di ricerca di Singapore Wealth X, il numero dei miliardari nel mondo è
aumentato nel 2014 a 2.235, vale a dire con un incremento del 7%
rispetto al 2013. La crisi economica del 2008 non ha colpito l'elite
mondiale, anzi. Mentre milioni di persone sono state messe sul lastrico,
licenziate dal lavoro dopo anni di servizio, mentre milioni di europei e
statunitensi sono improvvisamente affondati nella povertà e
nell'insicurezza e i paesi del Sud soffrivano carestie sempre più
devastanti, l'élite capitalista globale gonfiava i suoi conti bancari.
Questa ennesima crisi del capitalismo ha ancora una volta messo a nudo
questo sistema ingiusto e crudele. E nessun paese OCSE è stato
risparmiato da questa deriva disegualitaria.
In Francia, ad
esempio, mentre i grandi padroni e gli azionisti si ingozzavano di
dividendi, stock option e pensioni d'oro, la massa della popolazione
riceveva e continua a ricevere le sferzate di questo sistema basato
sull'iper-profitto di alcuni e sullo sfruttamento di molti. Le
statistiche sono lì a dimostrarlo. Mentre, in tutta la sua storia, la
Francia non è mai stata così ricca, si contano più di 140.000 persone
senza casa. Secondo l'Insee [Institut national de la statistique et des
études économiques], il tasso di povertà che nel 2004 era del 12,6%, ha
superato nel 2012 il 14%. Inoltre, ci sono più di 3,5 milioni di persone
che ricorrono ad aiuti alimentari e 3,8 milioni di persone che ricevono
minimi sociali. E i ricchi in tutto questo? Non preoccupiamoci per
loro: se la cavano molto bene! L'Europa è in recessione, ma per contro
la crescita dei miliardari, è sconvolgente. In effetti secondo la
rivista Challenges erano 55 nel 2013 e 12 in più nel 2014. Anche i loro
patrimoni se la cavano egregiamente con una crescita annua del 15%,
raggiungendo i 390 miliardi di euro. Poi vengono a raccontarci che lo
Stato è in rovina e non ha più soldi per i servizi pubblici.
Negli Stati Uniti, paese del re denaro, la situazione è ancora più
inquietante: il 22% della quota di ricchezza nazionale è detenuta da
appena lo 0,1% della popolazione, mentre nel 1970 questa oligarchia
possedeva "solo" il 7%.
I 75.000 individui più ricchi posseggono,
tenetevi, 10.265 miliardi di dollari, cioè oltre i due terzi del PIL
del paese. Negli ultimi mesi, tutti i media incensano l'economia degli
Stati Uniti che segna un tasso di crescita del 3-4%. Ma la crescita
economica non fa rima con la riduzione delle disuguaglianze. Questa
crescita è infatti accaparrata dai più ricchi. Inoltre, le classi
lavoratrici non raccolgono i frutti di questa crescita. Lo stipendio
medio ristagna o regredisce e ha recuperato un livello solo appena
superiore a quello del… 1964. Il salario minimo rimane fermo a un misero
7,25 dollari l'ora nonostante le numerose proteste da parte dei
lavoratori, in particolare quelli delle catene dei fast-food che
chiedono aumenti salariali.
Un problema eminentemente strutturale: lo Stato al servizio dei ricchi
Dopo la seconda guerra mondiale, gli Stati hanno svolto un ruolo di
primo piano nel condurre l'economia permettendo alle potenze occidentali
di registrare tassi di crescita annui prossimi al 10%. Lo Stato si
poneva allora come arbitro dei conflitti di classe tra capitale e lavoro
e vigilava affinché le disuguaglianze non esplodessero. Questi tassi di
crescita hanno consentito lo sviluppo di servizi pubblici efficienti in
materia di sanità, istruzione, trasporti, energia. Tuttavia, nonostante
i progressi sociali dovuti in particolare al favorevole equilibrio di
forze intrattenuto da sindacati e partiti comunisti con le borghesie
nazionali, i rapporti economici, sociali, politici e culturali non sono
stati modificati. E il dominio capitalista si è statalizzato. È per
questo che si parla di "capitalismo di Stato" per definire questo
periodo dei " gloriosi trent'anni". Tuttavia, non dobbiamo dimenticare
che la prosperità che hanno conosciuto i paesi capitalisti occidentali
dopo la seconda guerra mondiale è stata condotta sulle spalle dei popoli
del Sud del mondo. Il colonialismo, l'imperialismo, il saccheggio delle
risorse naturali, l'imposizione da parte del "Nord" di "odiosi"
debiti...
La ricchezza di alcuni ha provocato la miseria degli
altri, proprio come oggi. Poi tutto cominciò a tremare con la svolta
neoliberista introdotta negli Stati Uniti da Ronald Reagan e in
Inghilterra da Margaret Thatcher, prima di diffondersi nel resto del
mondo occidentale e infine, in tutto il mondo. Il neoliberalismo si
caratterizza per l'apertura di nuovi settori alla legge del mercato,
aumentando la finanziarizzazione dell'economia e soprattutto per un
ritiro significativo dello Stato dalla gestione dell'economia. Questo
disimpegno è una delle principali cause di questo aumento della
disuguaglianza. Prendiamo alcuni esempi molto concreti: per quasi 30
anni, un tormentone ha assillato le orecchie dei cittadini europei. La
famosa musica del "debito": "Il debito sta esplodendo!"; "Lo stato non
ha più i mezzi"; "Bisogna far dimagrire l'elefante"; lo "Stato è obeso".
I principali leader politici, economisti ed "esperti", giornalisti,
editorialisti... hanno imparato il ritornello a memoria e lo cantano
splendidamente. Così ci viene ripetuto continuamente che lo "stato ha
speso troppo" (per i servizi pubblici), che lo "stato vive al di sopra
dei propri mezzi" e dovrebbe quindi ridurre le spese sociali per salute,
educazione, ammortizzatori sociali... Poi ci viene detto che bisogna
privatizzare le imprese statali e dare più profitti alle imprese,
ridurre le tasse ai più ricchi... In breve, dobbiamo liberalizzare
radicalmente la nostra economia. Per inciso, la parola "radicale" non è
connotata allo stesso modo quando si tratta di sostenere un radicalismo
di "sinistra" o un radicalismo di "destra".
Nel vocabolario del
nobile pensiero, il primo ha una connotazione negativa mentre il secondo
positiva. Quindi, dobbiamo "stringere la cinghia". Ma quando si
guardano le cifre più da vicino, a sorpresa, la realtà si rivela
diversa. Secondo un rapporto Collettivo Cittadino del debito (CAC), il
59% del debito francese è semplicemente illegittimo. Perché? Perché
questo debito non è il risultato di un prestito contratto dal governo
francese per finanziare l'economia e così servire l'interesse pubblico.
No! Questo debito è dovuto a una politica estremamente vantaggiosa per i
ricchi. In altre parole, lo Stato si è volontariamente privato di
entrate fiscali per andare incontro alla classe più agiata. Scappatoie
fiscali, "scudi fiscali" (600 milioni di euro regalati ai più ricchi),
esenzioni e sgravi fiscali per le famiglie più ricche e le grandi
imprese come Total (che non pagano un centesimo di imposta in
Francia)... Tante di quelle concessioni fiscali che hanno svuotato le
casse dello Stato.
Così, la quota del PIL relativa al gettito si è
ridotta di 5 punti, dal 22% degli anni 1980, è passata al 17% negli
ultimi tre anni. E la spesa pubblica, è veramente esplosa come piace
ripetere ai predicatori neoliberisti? Bene, ancora una volta, il sistema
dei media ha mentito. La spesa pubblica è diminuita in percentuale sul
prodotto interno lordo (PIL) da una media del 22,7% nel 1980 al 20,7%.
Abbiamo qui un tipico esempio di politiche economiche che hanno favorito
l'aumento delle disuguaglianze. Lo Stato ha creato artificiosamente le
condizioni per la nascita di una forte disuguaglianza tra i più ricchi e
il resto della società. Eppure i messaggeri del sacro verbo liberale ci
avevano assicurato che la politica a favore dei ricchi avrebbe
beneficiato la popolazione. Risultato? La Francia sperimenta una
disoccupazione di massa che colpisce più di 5 milioni di persone e il
numero di lavoratori poveri è in aumento. Nonostante questo amaro
fallimento, i servitori politici al servizio della classe dominante,
perseverano.
C'è un altro esempio molto concreto che mostra come
lo Stato contribuisca ad aumentare le disuguaglianze. E' il caso
dell'Inghilterra. Il patronato, sia francese, tedesco, spagnolo,
appoggiato dai media e dai dirigenti politici non perde mai l'occasione
per denunciare l'"assistenzialismo" e gli "assistiti" altrimenti noti
come disoccupati, beneficiari di prestazioni, a volte studenti o
pensionati. Quelle persone, ci viene detto, "approfittano del sistema",
vivono sulle "spalle della società"... Davvero, queste persone sono
realmente assistite dal sistema? Non sono forse al contrario le prime
vittime di questa società ingiusta e diseguale? Mettiamo le cose a posto
e facciamo ordine in tutta questa confusione gestita dall'oligarchia al
potere. Gli "assistiti" veri, sono i ricchi, le grandi imprese, le
grandi fortune, quelli che vivono grazie allo Stato, lo Stato
"predatore" che denunciano se interviene nell'economia e che adorano se
salva le banche. In Inghilterra, dunque, lo stato investe in
infrastrutture che non avvantaggiano le persone, ma il settore privato.
Inedita la situazione del settore ferroviario: dacché la rete è stata
privatizzata nel 1993, la spesa pubblica è aumentata di sei volte! La
rete è privatizzata, ma lo Stato continua a pagare le spese di
manutenzione perché le aziende private non vi investono a sufficienza.
Tra il 2007 e il 2011, le cinque principali ferrovie hanno ricevuto 3
miliardi di sterline dallo Stato. Questo è quello che viene comunemente
chiamato essere "tosati".
Un ultimo esempio: lo Stato esenta ogni
anno di 88 milioni di lire sterline le famiglie che mandano i loro
figli nelle scuole private. Siccome queste scuole sono riservate ai più
ricchi, sono le famiglie benestanti che beneficiano della generosità
dello Stato inglese. Nel contempo, il governo ultra-liberale di David
Cameron ha deciso di ridurre gli ammortizzatori sociali concessi ai
disoccupati e ai lavoratori. Superano i 3,4 milioni, le persone che
vivono con un salario di sussistenza di 7,20 all'ora. Le risorse
stanziate per gli alloggi, la salute sono diminuite sensibilmente.
Questa situazione in cui lo Stato garantisce la prosperità per i ricchi e
dimentica il resto della società è, per dirla con le parole di Owen
Jones: "Socialismo per i ricchi, capitalismo per gli altri".
Cosa
dire poi del grave fenomeno dell'evasione fiscale? Anche in questo
caso, gli Stati fanno finta di non vedere. Eppure sarebbero in grado di
individuare e punire quelli che portano i loro soldi nei paradisi
fiscali. La Francia stima che l'evasione fiscale rappresenta un costo di
circa $ 60 miliardi all'anno. Sarebbero tra gli 80 e i 100 miliardi di
euro in Spagna, senza contare i 40 miliardi deviati nella corruzione. In
totale, oltre 1.000 miliardi di euro s'involano verso paesi esterni
all'UE.
I governi occidentali hanno trovato la soluzione per
aiutare i poveri, con lo sviluppo della filantropia e della beneficenza.
Eludendo il compito di servire l'interesse generale, lo Stato delega
queste funzioni ai miliardari come Bill Gates, per esempio. Salute,
scuola, alimentazione: questi benefattori dell'umanità si prendono cura
dei poveri. I capi di Stato si riservano le funzioni di amministrare la
sicurezza e la giustizia e lasciano che la "mano invisibile" del mercato
a regoli l'economia.
Chiediamo allo Stato di intervenire sempre
meno nella sfera economica, contandoci solo nel caso in cui si tratti di
salvare banche dal fallimento o sguinzagliare l'apparato repressivo per
uccidere giovani manifestanti pacifici... L'esordio della carità, mira
anche a legittimare la ricchezza dei ricchi, rendendoli indispensabili.
Ecco come la società in cui viviamo si allontana dalla sue
responsabilità sociali ed economiche per far emergere la figura del
ricco-salvatore mentre è il vero responsabile dei mali delle nostre
economie.
Globalizzazione e disuguaglianze crescenti
Non
si può evocare il tema della disuguaglianza senza puntare il dito contro
la globalizzazione, questa globalizzazione selvaggia che crea un
divario sempre più abissale tra i paesi altamente sviluppati e i paesi
più poveri. Prendiamo due esempi che evidenziano la fabbricazione
economica, sociale e geografica delle disuguaglianze. In primo luogo, le
delocalizzazioni. Servono per trasferire le attività produttive in
paesi in cui il prezzo della manodopera è più basso e dove le materie
prime sono più economiche... Queste delocalizzazioni hanno certamente
portato lavoro nei paesi coinvolti, ma per quale salario? Salari
miserabili: ecco la verità. Nel frattempo, le multinazionali hanno
moltiplicato i profitti... L'esempio più famoso è quello delle
maquiladoras in Messico.
Queste fabbriche vicino al confine degli
Stati Uniti producono giorno e notte jeans per i marchi Levis, GAP...
Un pantalone può costare alla fabbrica $ 10,4, per pagare il lavoratore e
per le materie prime. Appena fuori dalla fabbrica, verrà esportato
negli Stati Uniti per essere venduto nei negozi di New York o Miami a
70, 80, 90 dollari. Lo sfruttamento delle lavoratrici (in queste
fabbriche lavorano quasi solo donne. ndt) permette al padrone di
ricavare un margine sostanziale e quindi di accrescere rapidamente la
sua ricchezza, mentre la lavoratrice, non avrà abbastanza soldi per
soddisfare i bisogni più elementari. Ecco come si crea la disuguaglianza
tra il padrone e il lavoratore. L'esaurimento del secondo determina
l'arricchimento del primo. E non dobbiamo dimenticare i lavoratori
licenziati nel paese d'origine quando l'impianto è stato spostato
all'estero. Si trovano disoccupati, mentre il loro ex datore di lavoro
si è arricchito. Quest'ultimo si unisce dolcemente all'1% mentre gli
altri scivola sicuramente scorrevole verso il 99%.
Secondo
esempio, le politiche agricole messe in atto negli Stati Uniti e in
Europa, come ad esempio la politica agricola comune in vigore in Europa.
Quest'ultima sovvenziona la produzione agricola, ma non solo.
Sovvenziona anche le esportazioni. Una politica che non manca di creare
disastri economici e umani. Infatti, prendiamo un contadino spagnolo che
riceve sussidi per esportare i suoi polli in Senegal. Dato che riceve
aiuti da parte dell'Unione europea, può permettersi di abbassare il
prezzo del pollo per essere più competitivo sul mercato locale.
Tuttavia, il contadino senegalese, che non ha ricevuto alcuna
sovvenzione, non può permettersi di abbassare il prezzo del suo
prodotto. Ma per i consumatori con scarsa capacità di acquisto, è più
economico comprare il pollo europeo, più conveniente. Conseguenza: il
contadino africano non vende più, è fuggito in città per trovare lavoro e
come nella maggior parte dei casi non lo trova, ha quindi deciso di
prendere la via dell'emigrazione per venire, qualche volta, a morire nel
Mediterraneo. Questo è un altro esempio di come il Nord cerca di
mantenere alcuni paesi del Sud sottomessi e dominati. Politiche ingiuste
e inique provocano gravi conseguenze e sono responsabili delle
crescenti disuguaglianze tra Nord e Sud.
Guai al Sud se osa crescere in modo indipendente…
Nel suo famoso libro, Imperialismo, fase suprema del capitalismo, Lenin
dimostra come il capitalismo, desideroso di nuovi territori, nuovi
spazi, nuove risorse per svilupparsi e vendere le sue merci tende,
attraverso l'esportazione di capitali, a conquistare nuove terre e nuovi
mercati. La storia del capitalismo è strettamente legata al
colonialismo e all'imperialismo. In effetti, sono le risorse naturali
dell'America, dell'Africa e dell'Asia che hanno permesso al capitalismo
di emergere, quella che Marx chiamava "accumulazione originaria". Sono
passati secoli, le colonie hanno ottenuto l'indipendenza, ma
l'imperialismo è ben lungi dall'essere scomparso. Le disparità, le
disuguaglianze tra Nord e Sud sono la conseguenza di secoli di
sfruttamento e saccheggio.
Le disuguaglianze rimangono notevoli a
causa dell'eredità del passato, ma anche perché alcuni paesi sono ormai
diventati neo-colonie. Certamente non sono occupati militarmente ma
l'economia beneficia la borghesia del paese specifico e la borghesia del
Nord. Queste disuguaglianze sono il frutto del saccheggio delle risorse
naturali e di accordi di libero scambio estremamente sfavorevoli ai
paesi del Sud, come il NAFTA tra Canada, Stati Uniti e Messico. Questa
ricerca di risorse naturali ed energetiche sono essenziali per garantire
la sopravvivenza delle grandi potenze. È per questo che i governi
capitalisti occidentali si sforzano di impedire ai paesi in via di
sviluppo di svilupparsi in modo indipendente e autonomo. Le potenze
occidentali sono talmente consuete a saccheggiare i paesi del terzo
mondo che quando presidenti progressisti o addirittura rivoluzionari
arrivano al potere, con l'obiettivo di migliorare la vita del loro
popolo, fanno di tutto per rovesciarli. L'indipendenza economica è vista
come un crimine da parte dell'1%. Per questo motivo hanno cercato di
far cadere Chavez, Fidel Castro, Evo Morales, Thomas Sankara, Patrice
Lumumba, Nasser con vari gradi di successo. Il senso è chiaro: o il Sud
si sviluppa in modo sovrano e indipendente e così le disparità Nord-Sud
diminuiscono o le potenze imperialiste continuano a mettere le mani
sulle risorse naturali dei paesi in via di sviluppo e quindi, il divario
non può che crescere.
Non c'è niente da sapere
E'
interessante analizzare il trattamento o meglio il non-trattamento da
parte dei media rispetto al rapporto sulla disuguaglianza. In effetti,
questo rapporto è stato trattato in modo molto timido o silente da parte
dei media mainstream. Alcuni titoli e articoli nei Tg, alla radio e sui
quotidiani e poi più nulla. Eppure il tema è particolarmente grave e
meriterebbe un'attenzione a più lungo termine. Ma niente da fare,
l'elite giornalistica, corollario e complice dell'elite economica e
finanziaria, non ha l'aria molto interessata a questo argomento, anche
se di fondamentale importanza per il futuro dell'umanità. Nessun vero
dibattito in senso democratico, ossia dibattiti in cui si scontrino
pensieri, ideologie e progetti (realmente) contraddittori. In effetti il
nostro sistema di mezzi di comunicazione ci ha abituati a simulacri di
"dibattiti", in cui ogni parlante ripete pressoché quello che ha detto
il suo "avversario". Nessuna edizione speciale. Nessuna ricerca
approfondita per individuare le vere ragioni alla base del crescente
divario tra i super-ricchi e il resto della società.
In sostanza,
il messaggio dei media è piuttosto chiaro: perché soffermarsi su
fenomeni che sono sostanzialmente non modificabili? In effetti, i
liberali considerano l'economia una scienza quasi esatta e il problema
delle "disuguaglianze" sono considerati fatti di ordine "naturale"
contro i quali non c'è rimedio. Pertanto, è inutile discuterne. Questa è
in sostanza la visione dei media, degni portavoce della classe
dominante. La ragione del colpevole silenzio dei media risulta evidente
se guardiamo a chi appartengono i maggiori organi di propaganda. Una
spiegazione c'è.
La maggior parte dei mezzi di comunicazione sono
di proprietà di potenti industriali, banchieri e uomini d'affari. Tra
loro, guarda caso, alcuni multimilionari: Dassault, Pinault, Lagardère,
Arnault. Non stupisce quindi che i media, agli ordini dei loro capi, si
soffermino appena furtivamente sulla disuguaglianza. E' importante non
dare una cattiva immagine dei miliardari. Non è opportuno mostrare come
si siano arricchiti sfruttando i lavoratori, licenziandoli per aumentare
i loro profitti, ingerendosi nella politica estera di altri paesi,
lanciando guerre per destabilizzare un paese e spogliarlo delle sue
risorse naturali.
E, infine, soprattutto non mostrare che queste
disuguaglianze non sono il frutto del caso, ma che sono strutturali e
inerenti al sistema capitalista. Dire questo probabilmente spingerebbe
più cittadini a porsi delle domande sul tema e quindi, eventualmente,
spingerli alla sollevazione. "Ci sono sempre stati ricchi, sempre
poveri, la guerra è sempre esistita, la fame è sempre esistita, è così,
questa è la vita non ci si può fare nulla". Per riassumere, "soffrite e
basta".
Far fronte alla rassegnazione
Naturalmente, questa
situazione è tutt'altro che inevitabile. L'Ong Oxfam che ha condotto
l'indagine ha avanzato diverse piste al fine di lottare contro queste
disuguaglianze. Tra queste: il ritorno al welfare state, un reddito
garantito per i più poveri, una lotta feroce contro l'evasione fiscale,
servizi pubblici gratuiti o maggiore tassazione dei redditi da capitale.
Misure che vanno evidentemente nella direzione giusta e che potrebbero
dare una boccata di aria fresca all'economia oltre a ridurre le
disuguaglianze. Tuttavia, queste soluzioni non sono di gradimento. Per
esempio Nicolas Doze, capo redattore economico della catena di
informazione liberale BFMTV francese, giudica "dogmatiche" le soluzioni
proposte dall'Oxfam. Un altro modo per spingere la gente alla
rassegnazione, inculcando che soluzioni progressiste o radicali sono
spazzatura.
Ma chi dimostra dogmatismo? Le proposte avanzate
dalla Ong sono davvero "dogmatiche" o semplicemente realistiche e
adeguate alla gravità della situazione? Tassare i capitali, è dogmatico?
Fornire servizi pubblici per tutti, è irresponsabile? Beh, i veri
dogmatici sono proprio questi fanatici liberali che non conoscono altra
predica che il disimpegno dello Stato, l'abolizione della giornata di 35
ore e l'autorizzazione del lavoro domenicale. E anche gli evidenti
fallimenti delle loro politiche non li inducono a cambiare idea.
Promettono la piena occupazione e la crescita. Risultato, i paesi sono
in recessione e la disoccupazione continua a crescere di giorno in
giorno. Se questo non è dogmatismo, mi devono spiegare che cos'è. Una
cosa è certa: in questa storia i cittadini non hanno assolutamente nulla
da aspettarsi dai partiti tradizionali e più in generale dallo Stato,
almeno da questo Stato. I politici non sono la soluzione, sono il
problema. Lo Stato è lì solo per servire gli interessi della classe
dominante. La classe politica non è che il garante istituzionale e
politico della classe possidente.
Le soluzioni proposte dalla Ong
vanno nella giusta direzione, ma non dovremmo essere più radicali? Sta
qui il nocciolo della questione. L'uscita dal modello neoliberale è
un'urgenza assoluta, condivisa da milioni di cittadini europei. Ma dopo?
Dobbiamo lasciare al capitale il ruolo di guidare l'economia? Dobbiamo
continuare a subire la dittatura di una piccola élite parassitaria che
non rappresenta nessun'altro se non sé stessa?
Dopo la crisi del
2008, Nicolas Sarkozy aveva auspicato una "moralizzazione del
capitalismo". Ma è possibile rendere morale ciò che è immorale? Il
capitalismo è nella sua essenza, un sistema estremamente violento.
Crisi, sconvolgimenti, i disastri che provoca ne fanno la principale
minaccia per la sopravvivenza della specie umana. Regolare il
capitalismo è un'idea condivisa da molte persone, ma questa resta
un'idea, largamente inoffensiva. Non dovremmo piuttosto affidare al
lavoro, vale a dire ai lavoratori, i creatori della ricchezza, anche la
gestione dell'economia? E non dimentichiamo la questione centrale della
democrazia. La democrazia è del tutto avulsa al capitalismo. Non esiste.
Se esistesse, la ricchezza sarebbe condivisa.
E così ora il
mondo attraversa un momento critico della sua storia. Gli stravolgimenti
politici, economici e geopolitici compromettono il mondo. Mentre le
grandi potenze sono in declino, altre guadagnano slancio. Nuovi attori,
nuovi paesi bussano alla porta. Abbiamo la possibilità di vivere la fine
di un mondo, la fine di un'epoca, la fine dell'egemonia (occidentale).
Resta da vedere quale cammino sceglieremo per creare un nuovo modello di
civiltà. Continueremo a seguire questo stesso sistema di società
spietata, disumana o vorremo una società più egualitaria e
definitivamente libera dal giogo del danaro?
Le disuguaglianze
possono essere un fattore di indebolimento della coesione sociale.
Possono anche dare l'innesco a una lotta tra le diverse componenti della
società, stanche di un sistema ingiusto e che non le rappresenta.