Ormai non passa giorno senza un segnale chiaro di quel che ci attende “dopo”. Quando, sperabilmente, le vaccinazioni saranno state sufficienti a riportare in strada tutta la popolazione e a riaprire tutte quelle attività che non saranno nel frattempo morte. Quando, insomma, la vaccinazione anti-Covid sarà diventata un evento annuale, anziché un evento unico e catastrofico.
Il segnale di oggi, ci spiega un autorevole editoriale di TeleBorsa, viene dalle banche centrali più importanti dell’Occidente neoliberista, ossia la Federal Reserve e la Bce. Entrambe ci hanno tenuto a far sapere che non saranno loro a “stampare moneta” per finanziare i piani di rilancio sulledue sponde dell’Atlantico. Uno faraonico – quello statunitense, pari a 4.000 miliardi di dollari – e l’altro sparagnino, probabilmente insufficiente, chiamato Next Generation EU o Recovery Fund.
Le misure prese finora dalle banche centrali – iniezioni di liquidità e tassi di interesse azzerati – servivano a “rasserenare i mercati”, non a creare i presupposti di una ripresa produttiva su larga scala.
Se gli Stati vorranno fare investimenti pubblici a questo scopo – e debbono farlo – dovranno ricorrere ai due strumenti ammessi nello schema neoliberista: aumentare le tasse e indebitarsi sui mercati. In entrambi i casi, il costo è a carico dei cittadini (di quella parte che paga le tasse, naturalmente).
Sia negli Stati Uniti che nell’Unione Europea le manovre per istituzionalizzare questo cambio di clima (dall’”arriveranno montagne di soldi” al “pagherete tanto, pagherete tutto”) sono già iniziate, ma ovviamente in modo molto silenzioso.
Un esempio? “L‘Italia ha proceduto, in sordina, ad approvare le nuove tasse mediante l’approvazione di un emendamento inserito all’ultimo momento nella legge di conversione al decreto-legge Milleproroghe (n. 183 del 2020)”.
Il perché è chiaramente spiegato. I soldi del Recovery Fund sono divisi in “grant” (teoricamente a fondo perduto) e “bond” (normale debito da restituire con gli interessi). Per evitare che gli Stati con più alto debito venissero ulteriormente penalizzati dai “mercati” con tassi di interesse pesantissimi, l’incarico di raccogliere i fondi e garantire il nuovo debito è stato assunto dall’Unione Europea (si spera non faccia come per i vaccini, sennò è la morte).
Questo dovrebbe garantire tassi bassi, uguali per tutti i Paesi membri. Ma quei debiti andranno comunque restituiti. All’Unione Europea invece che “ai mercati”, magari su tempi più lunghi, ma restituiti destinando a questo una parte delle tasse. Che intanto aumentano da subito.
L’unica “buona notizia”, perlomeno dall’altra parte dell’Atlantico, è che questa volta le cifre da trovare sono talmente alte che l’aumento delle tasse riguarderà anche i super-ricchi. Se non saranno nel frattempo scappati in qualche paradiso fiscale caraibico…
Per gli Stati, dunque, cambia davvero poco. “La pacchia” – ossia il poter/dover spendere in deficit per contrastare gli effetti economici della pandemia – “è già finita”, scrive Salerno Aletta su TeleBorsa.
Non solo, infatti, dovranno spremere cittadini mediamente molto impoveriti dalla crisi, ma dovranno investire i soldi (ricevuti in prestito) sulla base delle scelte fatte dalla Commissione Europea. Ovvero da un centro decisionale dove pesano, per ovvii motivi, soprattutto gli interessi delle multinazionali tedesche, francesi e in genere del “Grande Nord”.
Diversamente dagli Stati Uniti – che sono uno Stato, sia pur “federale” – l’Unione Europea è una formazione perennemente in progress, che va verso la configurazione statuale attraverso passaggi e forzature che dipendono da interessi diversi, niente affatto unitari o “compensativi” ma, anzi, concorrenziali al proprio interno.
Tradotto in termini sbrigativi, ma non per questo imprecisi, l’Italietta costruita nei decenni da una classe imprenditoriale vile e “speculativa”, nonché da una classe politica indecente scelta ad immagine e somiglianza di quella imprenditoriale, si troverà ben presto a fare i conti con una ristrutturazione delle filiere produttive e delle infrastrutture disegnata sulle esigenze del capitale multinazionale europeo.
Se il progetto avrà successo, saranno gli esponenti – imprenditoriali e politici – di quel capitale a guadagnarci. Se andrà male, com’è probabile, vista la competizione con Usa e Cina che si muovono su un’altra scala e con altre – e opposte – visioni, affonderemo tutti.
L’unica certezza, per ora, è che il conto verrà invece pagato da tutti noi.
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