mercoledì 31 marzo 2021

Il Recovery Fund? Con l’aumento delle tasse…

 

Ormai non passa giorno senza un segnale chiaro di quel che ci attende “dopo”. Quando, sperabilmente, le vaccinazioni saranno state sufficienti a riportare in strada tutta la popolazione e a riaprire tutte quelle attività che non saranno nel frattempo morte. Quando, insomma, la vaccinazione anti-Covid sarà diventata un evento annuale, anziché un evento unico e catastrofico.

Il segnale di oggi, ci spiega un autorevole editoriale di TeleBorsa, viene dalle banche centrali più importanti dell’Occidente neoliberista, ossia la Federal Reserve e la Bce. Entrambe ci hanno tenuto a far sapere che non saranno loro a “stampare moneta” per finanziare i piani di rilancio sulledue sponde dell’Atlantico. Uno faraonico – quello statunitense, pari a 4.000 miliardi di dollari – e l’altro sparagnino, probabilmente insufficiente, chiamato Next Generation EU o Recovery Fund.

Le misure prese finora dalle banche centrali – iniezioni di liquidità e tassi di interesse azzerati – servivano a “rasserenare i mercati”, non a creare i presupposti di una ripresa produttiva su larga scala.

Se gli Stati vorranno fare investimenti pubblici a questo scopo – e debbono farlo – dovranno ricorrere ai due strumenti ammessi nello schema neoliberista: aumentare le tasse e indebitarsi sui mercati. In entrambi i casi, il costo è a carico dei cittadini (di quella parte che paga le tasse, naturalmente).

Sia negli Stati Uniti che nell’Unione Europea le manovre per istituzionalizzare questo cambio di clima (dall’”arriveranno montagne di soldi” al “pagherete tanto, pagherete tutto”) sono già iniziate, ma ovviamente in modo molto silenzioso.

Un esempio? “L‘Italia ha proceduto, in sordina, ad approvare le nuove tasse mediante l’approvazione di un emendamento inserito all’ultimo momento nella legge di conversione al decreto-legge Milleproroghe (n. 183 del 2020)”.

Il perché è chiaramente spiegato. I soldi del Recovery Fund sono divisi in “grant” (teoricamente a fondo perduto) e “bond” (normale debito da restituire con gli interessi). Per evitare che gli Stati con più alto debito venissero ulteriormente penalizzati dai “mercati” con tassi di interesse pesantissimi, l’incarico di raccogliere i fondi e garantire il nuovo debito è stato assunto dall’Unione Europea (si spera non faccia come per i vaccini, sennò è la morte).

Questo dovrebbe garantire tassi bassi, uguali per tutti i Paesi membri. Ma quei debiti andranno comunque restituiti. All’Unione Europea invece che “ai mercati”, magari su tempi più lunghi, ma restituiti destinando a questo una parte delle tasse. Che intanto aumentano da subito.

L’unica “buona notizia”, perlomeno dall’altra parte dell’Atlantico, è che questa volta le cifre da trovare sono talmente alte che l’aumento delle tasse riguarderà anche i super-ricchi. Se non saranno nel frattempo scappati in qualche paradiso fiscale caraibico…

Per gli Stati, dunque, cambia davvero poco. “La pacchia” – ossia il poter/dover spendere in deficit per contrastare gli effetti economici della pandemia – “è già finita”, scrive Salerno Aletta su TeleBorsa.

Non solo, infatti, dovranno spremere cittadini mediamente molto impoveriti dalla crisi, ma dovranno investire i soldi (ricevuti in prestito) sulla base delle scelte fatte dalla Commissione Europea. Ovvero da un centro decisionale dove pesano, per ovvii motivi, soprattutto gli interessi delle multinazionali tedesche, francesi e in genere del “Grande Nord”.

Diversamente dagli Stati Uniti – che sono uno Stato, sia pur “federale” – l’Unione Europea è una formazione perennemente in progress, che va verso la configurazione statuale attraverso passaggi e forzature che dipendono da interessi diversi, niente affatto unitari o “compensativi” ma, anzi, concorrenziali al proprio interno.

Tradotto in termini sbrigativi, ma non per questo imprecisi, l’Italietta costruita nei decenni da una classe imprenditoriale vile e “speculativa”, nonché da una classe politica indecente scelta ad immagine e somiglianza di quella imprenditoriale, si troverà ben presto a fare i conti con una ristrutturazione delle filiere produttive e delle infrastrutture disegnata sulle esigenze del capitale multinazionale europeo.

Se il progetto avrà successo, saranno gli esponenti – imprenditoriali e politici – di quel capitale a guadagnarci. Se andrà male, com’è probabile, vista la competizione con Usa e Cina che si muovono su un’altra scala e con altre – e opposte – visioni, affonderemo tutti.

L’unica certezza, per ora, è che il conto verrà invece pagato da tutti noi.

venerdì 26 marzo 2021

Vertice Nato. Sancite le “guerre possibili in tempo di pace

 

Guerre in tempo di pace. Sembra un ossimoro, ma in realtà è la nuova dottrina che si va imponendo nelle relazioni internazionali viste dagli imperialismi occidentali. La dottrina ruota intorno al concetto di “Guerre Ibride” ,cioè combattute  con strumenti non solo militari.

L’obiettivo è quello di danneggiare le infrastrutture e la vita economica e civile del nemico “con ogni mezzo necessario” (dalle incursioni informatiche a qualche missile convenzionale, dalle campagne mediatiche agli omicidi mirati). In pratica si tratta di rendere possibili le guerre e i loro obiettivi anche senza il ricorso ad armi nucleari, che renderebbero i conflitti un gioco a somma a zero per tutti i soggetti coinvolti.

Uno scenario decisamente inquietante ma che ci dà la cifra della fase storica in cui siamo entrati.

I ministri degli Esteri della Nato riuniti a Bruxelles, cercando di ritrovare l’intesa interrotta dall’era Trump, hanno adottato una dichiarazione congiunta, nella quale ribadiscono che la partnership transatlantica rimane la “pietra angolare della difesa collettiva”, centrale per la coesione politica e un “pilastro essenziale” dell’ordine internazionale.

La Nato è il fondamento della nostra difesa collettiva: insieme riaffermiamo il nostro solenne impegno nei confronti del Trattato di Washington, compreso che un attacco contro un Alleato sarà considerato un attacco contro tutti noi, come sancito dall’articolo 5″, è scritto – significativamente – al primo punto della dichiarazione congiunta.

In risposta a un ambiente di sicurezza più pericoloso e imprevedibile, stiamo rafforzando considerevolmente le capacità di deterrenza e difesa, posizione e resilienza della Nato, sostenute da sette anni consecutivi di crescenti spese per la difesa, forze più capaci e pronte, dispiegamenti significativi in missioni e operazioni e impegno più profondo con i partner”.  

Trova così conferma quanto abbiamo scritto nei giorni scorsi sia sull’aumento delle spese militari nei paesi membri della Nato, sia di come anche in Italia le spese militari siano aumentate di 1,6 miliardi di euro rispetto all’anno precedente. L’austerità, in questo campo, non esiste…

La soddisfazione degli Stati Uniti per l’allineamento dei paesi alleati all’aumento delle spese militari in ambito Nato (richiesta avanzata da tempo dalle amministrazioni Usa e usata come una clava da Trump, ndr), emerge dal passaggio successivo della risoluzione:

Stiamo compiendo buoni progressi verso una più equa ripartizione degli oneri transatlantici; accogliamo con favore gli sforzi compiuti da tutti gli alleati in Europa e Nord America che contribuiscono alla nostra indivisibile sicurezza. Dobbiamo fare e faremo di più”, è scritto nel documento approvato,  indicando poi che “la Nato continuerà ad adattarsi”.

Dobbiamo affrontare minacce crescenti e concorrenza sistemica. Le azioni aggressive della Russia costituiscono una minaccia per la sicurezza euro-atlantica; il terrorismo in tutte le sue forme e manifestazioni rimane una minaccia persistente per tutti noi”.

Sulla cosiddetta cybersicurezza, invece si entra direttamente nel campo di quelle che ormai vengono definite “Guerre Ibride”, una definizione molto elastica che ormai modula le possibili guerre su un ventaglio amplissimo di opzioni.

Come sottolineato da un recente studio IAI per il Parlamento italiano, uno dei problemi principali della difesa cibernetica è “la difficoltà nel distinguere una situazione di pace da una di crisi o di conflitto, data la capacità dell’attaccante di nascondere la paternità degli attacchi condotti – o addirittura l’evento stesso. Una caratteristica purtroppo sempre più diffusa in un quadro strategico internazionale che vede una sorta di permanente ‘guerra in tempo di pace’”.

La newsletter Affari Internazionali  segnala come nel 2020, di fronte a questa situazione, che ha visto anche il moltiplicarsi di attacchi cibernetici durante la prima ondata di Covid-19,  il Consiglio Nord Atlantico abbia riaffermato che i Paesi membri sono determinati a usare non solo capacità cyber ma anche aeree, marittime o terrestri per dissuadere un attacco cibernetico, difendersi da esso e contrastarlo, considerando quindi tutti i domini operativi in modo integrato ai fini della deterrenza e difesa.

Vergognoso, ma non certo sorprendente, quanto dichiarato dal ministro degli Esteri Di Maio, al termine del vertice Nato di Bruxelles, il quale ha ribadito la “piena convinzione dell’Italia nei valori atlantici”. “In questo momento particolare per l’Italia e per l’Europa”, secondo Di Maio, “lavorare a quelle che sono le ‘nuove minacce’ che arrivano dall’esterno è fondamentale”.

Il ministro degli Esteri  Di Maio ha spiegato che il progetto Nato 2030 è stato al centro dei lavori del vertice di Bruxelles al fine di far “evolvere una serie di strumenti per affrontare nuove minacce come quelle legate alla cybersicurezza, ma anche al cambiamento climatico”.

Ma su quest’ultimo è bene sbarazzare i campo delle illusioni, non si tratta certo di una accresciuta sensibilità ecologica. Per Di Maio e per la Nato, infatti, “Lo scioglimento dei ghiacciai sta provocando uno stravolgimento degli assetti geostrategici, evidenziando che la creazione di nuove rotte può mettere a rischio la sicurezza della Nato”.

Il rendere nuovamente possibili e compatibili le “guerre in tempo di pace”, è forse il segnale più inquietante che ci restituisce questa fase della crisi di civilizzazione del capitalismo. La classe dirigente italiana ha la piena responsabilità di portare il paese dentro questo scenario.

Ed a questa responsabilità dovremo inchiodarla cercando in ogni modo di portare il nostro ed altri paesi fuori dalle gabbie dei vincoli internazionali. Prima possibile.