Cambiare l’Unione Europea” è impossibile, parola di Jens Weidmann e di tutti i paesi del Grande Nord…
Di
solito, i contrasti di vedute tra i vari governatori delle banche
cengrali sono sapientemente occultati sotto una melassa di
considerazioni prudenziali svolte in linguaggio “tecnico”. Di modo che
gli addetti ai lavori capiscano l’antifona, ma non abbiano appigli per
trasformare una “considerazione tecnica” in un “attacco politico”.
Questa
consuetudine è morta ieri, all’indomani della scontata decisione di
Mario Draghi, presidente della Bce in uscita, di riaprire i rubinetti
del denaro, nel disperato tentativo di usare ancora una volta la
politica monetaria in sostituzione di quelle fiscali, economiche ed
industriali (bloccate dalle “regole europee”, ovvero dagli interessi dei
gruppi industriali multinazionali di matrice tedesca, olandese e in
parte anche francese).
Si
sapeva ad esempio che Jens Weidmann, governatore di Bundesbank, non
avesse mai apprezzato l’azzeramento dei tassi di interesse, gli acquisti
di titoli di Stato e i tassi negativi sui depositi, in atto da anni per
volere della Bce “draghiana”. Ma le parole usate stavolta sono
veramente off topic per un consumato diplomatico del denaro: “Draghi ha oltrepassato il limite, un pacchetto di tale portata non era necessario”.
Di più, ha ritenuto indispensabile “scomunicare” tutta la lunga
gestione “accomodante” dell’italiano ex vicepresidente di Goldman Sachs
ed ex Governatore della Banca d’Italia: “la decisione di acquistare
ancora più titoli di Stato renderà sempre piu’ difficile per la Bce
uscire da questa politica. E più a lungo dura, più aumentano gli effetti
collaterali e i rischi per la stabilità finanziaria“.
Abbiamo parlato di “Europa schizofrenica”,
che da un lato persegue l’austerità (con le decisioni della Commissione
e dei vari organismi politici comunitari) e dall’altro “regala denaro a
costo zero” (con quelle della Bce). Ed anche la sortita di Weidmann –
subito spalleggiato dal suo collega-cagnolino olandese, Klaas Knot, e
dalla “stampa popolare di Berlino – apparentemente è da bipolarismo psichiatrico. I tassi zero della Bce, oltre che il quantitative easing
(acquisto di titoli di Stato, soprattutto di quelli “sicuri” come i
Bund tedeschi e olandesi) permettono ormai da anni ad alcuni paesi –
Berlino e Amsterdam in prima fila – di rifinanziare a costo zero il
proprio debito pubblico. Anzi, visto che i tassi sono diventati
negativi, addirittura guadagnandoci qualcosina.
Di che si lamenta, insomma, mister Weidmann?
Quello
che va bene agli Stati, però, non va bene per le banche private (tutte
con solida base nazionale, o addirittura regionale come il sistema delle
Landesbanken tedesche). Se il rifinanziamento del debito pubblico
avviene con vantaggio del debitore (lo Stato), ci rimette il creditore
(le banche private, che sono i primi acquirenti dei titoli di Stato). Ed
è di queste che Weidmann si preoccupa. A partire da quella Deutsche
Bank che ormai è un cadavere che cammina e di cui nessuno osa dichiarare
la morte perché “troppo grande per fallire”.
Eppure
anche Weidmann sa, certamente meglio di noi, che banche come DB sono in
quelle condizioni per aver speculato troppo sui “prodotti derivati” e
altri “titoli tossici”, ritrovandosi con la cassaforte piena di carta
straccia invendibile, i bilanci in profondo rosso e il valore azionario
sceso da 100 a uno.
Lo
sa, ma vorrebbe aiutarle a risollevare quei bilanci (privati tedeschi) a
scapito degli altri Stati (tenendo alto lo spread, che invece ora è
precipitato), ma anche risucchiando il risparmio privato depositato
presso altre banche di altri paesi, magari allungando le mani anche su
un vasto patrimonio immobiliare opportunamente svalorizzato e reso
perciò appetibile a prezzi bassi, se non proprio stracciati.
Non
che Weidmann e Knot abbiano del tutto torto, però (sul piano delle
teorie macroeconomiche neoliberiste, almeno). Quando il secondo critica
le scelte di Draghi (“Questo ampio pacchetto di misure, e in
particolare il riavvio del programma di acquisti è sproporzionato in
relazione alla situazione economica attuale e ci sono buone ragioni per
dubitare della sua efficacia“) mette il dito su un fatto reale: anni
di politiche monetarie accomodanti non hanno comunque fatto ripartire
l’economia reale del Vecchio Continente. Dunque insistere su questa strada è inutile, nel migliore dei casi; dannoso, se – come avviene da tempo – i tassi negativi rendono il denaro “qualcosa che non rende” e che anzi si svaluta nel tempo.
Schizofrenia, o meglio contraddizione tra affermazioni egualmente vere
(le politiche accomodanti hanno evitato l’esplosione del sistema
finanziario, dunque anche dell’economia reale; ma non servono a far
ripartire l’accumulazione e creano problemi altrettanto gravi sul lungo
periodo).
Il
punto di possibile “soluzione” viene indicato ovviamente fuori dalle
politiche monetarie, e precisamente negli investimenti, da tempo fermi a
livelli da depressione. Ma chi è che può fare investimenti se il
principale soggetto – le imprese private – non sono disposte a farli?
Non
è una situazione nuova, anzi sfiora il secolo: se “il cavallo non beve”
(se le imprese non investono, pur avendo a disposizione liquidità in
eccesso e ampia offerta denaro a costo zero) è inutile offrirgli ancora
acqua. Deve intervenire qualcun altro, ossia la spesa pubblica (è lo schema classicamente keynesiano, non marxista!).
Ma è proprio questo intervento che viene da almeno tre decenni vietato
dalle “regole europee”. O meglio: che viene vietato ai paesi con debito
e deficit pubblico “eccessivo”, secondo i parametri di Maastricht che
persino Prodi definì “stupidi” (perché stabiliti senza alcuna base seria
scientifica o almeno empirica).
Ci
sono paesi, nell’Unione Europea, che invece hanno basso debito e
deficit pubblico e qundi potrebbe investire? Certamente: ce ne sono che
hanno stabilmente da oltre venti anni un surplus, anzicheè un deficit. Come è ovvio che sia in un mercato comune: se qualcuno perde, qualcun altro guadagna.
Sono
proprio Germania e Olanda, oltre a Finlandia e qualche micro-area
baltica (come la Lituania del super-falco nonché vicepresidente della
Commissione con delega all’economia, Valdis Dombrovskis).
Il
cerchio si chiude e la “schizofrenia” si rivela per quel che è:
conflitto di interessi tra paesi e aree economiche differenti, alcune
depresse dai trattati europei ed altre invece avvantaggiate. Le sparate
contro Draghi preparano l'”ambiente” in cui agirà la successora,
Christine Lagarde, di cui è ampiamente nota la “sensibilità” se non
addirittura il servilismo verso chi è più forte (celebre una sua lettera
in cui si dichiarava “a disposizione” di Nocolas Sarkozy), e quindi la
fine delle “politiche monetarie non convenzionali”, ristabilendo
l’ordine teutonico e l’austerità integralista. In cui, ma solo per
contrastare la propria recessione, soltanto “chi ha margini di bilancio”
potrà “fare investimenti pubblici”.
Si possono “cambiare le regole” con reciproco vantaggio, stando così le cose?
Fatevi una domanda e datevi una risposta. Ma prima, se proprio non vi va di fare ragionamenti economici e ravvisare gli interessi di classe nascosti sotto quelli “nazionali” o “razionali”, almeno guardate in faccia mr. Jens Weidmann…
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