lunedì 6 maggio 2019

La patrimoniale sbagliata è quella che piace alla Ue

Patrimoniale, panacea per tutti i mali economici? Dipende… Quando – cadendo nella trappola ideologica imposta dalla narrazione dominante – si prova a rispondere alla domanda “dove si trovano i soldi per fare quello che proponete?” (chiunque sia a proporre una strategia diversa da quella ordoliberista), la mente di tutti va immediatamente a due totem: combattere l’evasione fiscale e fare una patrimoniale.
Non paradossalmente, tutti sono d’accordo a dire che “bisogna combattere l’evasione fiscale” – farlo, è notoriamente tutt’altra cosa – mentre la patrimoniale risulta normalmente più “divisiva”, spesso definendo il campo della destra autentica e quello della presunta “sinistra”.
Non ci dilungheremo qui sulla lotta all’evasione, che richiede la capacità di ricoprire un ruolo di governo con intento e determinazione rivoluzionari. E ragioniamo invece sulle facce nascoste della “patrimoniale”.
Lo facciamo facendoci aiutare – come spesso ci capita – da Guido Salerno Aletta, che ha prodotto l’editoriale di Milano Finanza che qui sotto riproponiamo.
La prima operazione da fare è relativamente semplice: cos’è una patrimoniale? E’ qualunque tipo di tassa calcolata, invece che sul reddito, sul patrimonio del contribuente. Salario, pensione, sussidi, ecc, sono redditi; depositi bancari, investimenti finanziari, immobili, terreni, ecc, sono patrimonio.
Cosa c’è di più semplice allora che immaginare una tassazione sui secondi? Semplicità che nella realtà non esiste, però. Intanto perché bisogna distinguere i patrimoni mobiliari (che si possono cioè muovere, anche fuggendo all’estero, come soldi, azioni, obbligazioni) da quelli immobiliari, che stanno dove stanno e nessuno li può portare via.
Nel concreto della società italiana, il quadro è particolarmente complicato. Praticamente tutti i lavoratori dipendenti (e i pensionati) sono obbligati ad avere un conto corrente in banca o alle Poste. Quindi praticamente tutti hanno un patrimonio mobiliare, anche se quasi sempre minimo e spesso addirittura negativo (quando “si va in rosso”). E le scelte pro-speculazione palazzinara, fin dalla fine degli anni ‘70, hanno creato un fenomeno che ha dimensioni assai minori nei paesi occidentali: il 73% dei nuclei familiari abita in una casa di proprietà.
Tecnicamente, insomma, tre quarti della popolazione possiede un patrimonio immobiliare e una percentuale ancora superiore anche uno mobiliare. Teoricamente, siamo tutti ricchi… Vero?

E’ ovvio, insomma, che se si vuol parlare seriamente di una tassa patrimoniale come fonte di reperimento di risorse finanziarie si deve prendere in considerazione non la semplice esistenza di un “patrimonio” purchessia, ma del livello di valore di un patrimonio. Banalmente: una cosa è se se hai sul conto corrente in media 1.000 euro, un’altra se ha dieci conti aperti con qualche milione sparso qua e là, investito in azioni, obbligazioni italiane o estere, ecc. E naturalmente una cosa è abitare in una casa ex popolare su cui paghi il mutuo, un’altra è se possiedi palazzi da cui trai affitti.
Se non fai questa distinzione rischieresti da fare esattamente come Mario Monti. Che, ci ricorda Salerno Aletta, fece lui – feroce neoliberista “europeo” – una patrimoniale piuttosto dura, introducendo l’Imu sulla casa di abitazione (“prima casa”). Ma senza distinguere tra ricchi e poveri. Così che i poveri – noi tutti – furono costretti a stringere di più la cinghia (paghi una tassa detraendola dallo scarso reddito di cui disponi), mentre i ricchi ci potevano ridere sopra. Citiamo una sola conseguenza della patrimoniale montiana, che ci sembra indicativa: “La tassa d’ormeggio non fece altro che lasciare deserti i moli italiani, a favore di lidi fiscalmente più accoglienti. La cantieristica da diporto fu massacrata”. Anche le barche, in fondo, sono mobili….
Non a caso, in Francia, Macron ha tolto la “patrimoniale” soltanto sui patrimoni mobiliari, lasciando quella sugli immobili.

Il problema, insomma, non è quello di “trovare i soldi”, ma quello di uscire da una trappola infernale che costringe ad “aumentare le tasse per pagare i tassi” di interesse sfavorevoli sul nostro debito pubblico. Che aumenta ogni anno soltanto perché bisogna pagare un “servizio del debito” molto alto. E dunque nonostante i feroci tagli di spesa che ogni governo ci propina da oltre venti anni, nonostante il continuo “saldo primario attivo” (lo Stato riscuote con le tasse più di quanto non spenda, prima di pagare gli interessi sul debito), il debito vola a dispetto dei Cottarelli e tutti gli altri “mani di forbice” che si alternano al governo.
Siccome siamo oggi governati da tre governi in uno, con la prevalenza assoluta dell’Unione Europea, l’idea della “patrimoniale” si riaffaccia nella definizione della “legge di stabilità” per il 2020. L’aspetto assurdo è che si vorrebbe farne una a là Monti – quindi colpendo tutti con la stessa percentuale, una sorta di flat tax aggiuntiva – per non far aumentare l’Iva.
L’effetto sarebbe praticamente identico. Perché è vero l’Iva colpisce i consumi e una “patrimoniale flat” la proprietà; ma, data la struttura sociale del paese, le fasce basse dei “proprietari” (lavoratori dipendenti e pensionati) dovrebbero sottrarre una parte del proprio reddito per destinarlo al pagamento della tassa, rinunciando però a una parte dei consumi.
Anche da punto di vista strettamente capitalistico, insomma, sarebbe più logico agire per far rientrare in Italia quei capitali fuggiti all’estero per paura di un “fallimento del paese” e che, stolidamente, si impoveriscono parcheggiati in titoli di Stato così “sicuri” da restituire a scadenza meno di quel che si è pagato.
Il che interroga, come spesso diciamo, sulla ben scarsa qualità della “classe dirigente” di questo paese. Sia imprenditoriale che politica, sia di estrema destra che di centro(sinistra?), sia “europeista” che finto “populista”.

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