Il Parlamento Europeo oggi ha
riconosciuto come legittimo presidente ad interim del Venezuela il
presidente dell’Assemblea Nazionale Juan Guaidò, che giorni fa s’era
autoproclamato presidente del paese incontrando subito il sostegno degli
Stati Uniti, di alcuni paesi europei e soprattutto delle nazioni
latinoamericane ad oggi governate dalle forze della destra o comunque
allineate al “Washington consensus”.
Al voto, tuttavia, s’è registrata
l’astensione dei parlamentari del Movimento 5 Stelle e della Lega,
espressione della maggioranza di governo italiana, e non è certo un
fatto che deve passare inosservato. Con questa astensione, infatti, il
governo italiano si smarca dalla linea “trumpiana” ed “antibolivariana”
che invece è stata abbracciata con entusiasmo non soltanto da paesi
europei come la Francia, la Germania, l’Inghilterra e la Spagna, a
parole spesso in disaccordo con l’attuale amministrazione USA, ma anche e
soprattutto dalle varie opposizioni italiane, da Forza Italia (di cui
si registrano le soddisfatte dichiarazioni di Antonio Tajani, presidente
dell’Europarlamento e membro del partito di Berlusconi) fino al Partito
Democratico: tutti costoro hanno infatti votato senza esitazioni,
all’unisono, per riconoscere Guaidò come unico presidente del Venezuela.
Il Parlamento Europeo, a questo punto,
sollecita con la propria mozione la Commissione Europea a fare
altrettanto, appellandosi in particolare a Federica Mogherini,
espressione, come ben sappiamo, della sinistra liberal ed atlantista di
tipica marca PD.
Nel frattempo, in Venezuela, un Juan
Guaidò descritto come un “fantasma” tiene piccoli comizi in località e
momenti sconosciuti, per poi sparire subito dopo. In linea di massima,
Guaidò sembra più esistere negli Stati Uniti o in Unione Europea che in
Venezuela, prova ne sia che anche i suoi sostenitori, immortalati dallo
stesso Trump in uno dei suoi numerosi tweet su Twitter, sembrano essere
solo poche decine alla volta. E infatti Guaidò ha pubblicato un
editoriale sul New York Times dove dichiara che “a Maduro resta
poco tempo per continuare ad usurpare la presidenza” lanciando un
appello all’unità dei venezuelani. “Per ottenere l’uscita (di Maduro)
con il minimo spargimento di sangue, tutti i venezuelani devono restare
uniti e premere, fino alla rottura finale del regime”, ribadendo la sua
“road map” in tre punti: “fine dell’usurpazione, governo di transizione
ed elezioni libere”. In sostanza è una sorta di “Armiamoci e partite”.
L’esercito venezuelano ribadisce la
propria fedeltà assoluta a Nicolas Maduro, anche se Guaidò assicura, pur
senza fornire dati o prove concrete, d’essere in rapporto con alcuni
ambienti militari per guadagnarsi il loro supporto. Contemporaneamente,
sempre Guaidò, ha respinto le offerte di dialogo avanzate da Maduro,
anche perché il compito che gli è stato assegnato da chi intende
liberarsi del governo bolivariano è di condurre il paese al massimo
punto di crisi politica ed istituzionale, nella speranza che magari si
realizzi una vera e propria guerra civile, fosse anche soltanto di bassa
intensità. Infatti da Washington Carlos Vecchio, l’incaricato d’affari
nominato da Juan Guaidò, ha detto che l’opposizione è interessata al
dialogo “solo per negoziare l’uscita dalla dittatura”, respingendo
quindi anche le proposte di mediazione avanzate da paesi come Messico e
Uruguay.
Dalla Russia, il ministro degli esteri
Serghei Lavrov, apprezzando gli sforzi di Maduro a sostegno della
correttezza costituzionale, ha però chiesto all’opposizione “di mostrare
un approccio egualmente costruttivo, ritirare gli ultimatum e agire
indipendentemente sotto la guida degli interessi del popolo
venezuelano”. Ma la mossa dell’opposizione costituisce di fatto
un’uscita dalla Costituzione Bolivariana, ovvero una sua eversione di
fatto: nessun suo articolo infatti prevede che il capo dello Stato possa
essere sostituito da quello del Parlamento se non nel caso in cui il
primo sia impedito fisicamente e in modo permanente. Di conseguenza,
trovandosi in uno stato di golpismo palese e conclamato, l’opposizione
venezuelana può solo andare avanti, sperando di poter contare ancora sul
sostegno dei suoi sponsor esteri, dagli USA all’UE fino agli alleati
sudamericani, tentando il tutto e per tutto.
Ma, in generale, il senso della
legalità, internazionale e non solo, fra i membri dell’opposizione
venezuelana così come tra i suoi sponsor esteri, non sembra avere molto
valore, sebbene venga invocato da tutti costoro un giorno sì e l’altro
pure. Per esempio l’amministrazione Trump sta trasferendo i beni e i
conti bancari intestati al governo di Caracas a Guaidò in persona, solo
per il fatto d’aver unilateralmente deciso che questi e non altri è il
vero presidente (vale a dire, il suo presidente). Del resto,
non si tratta di una novità: un certo Obama, nel 2011, aveva fatto più o
meno la stessa cosa congelando i beni dello Stato libico per poi
trasferirli, sempre unilateralmente, ai ribelli golpisti del Consiglio
Nazionale Transitorio di Bengasi, anche in questo caso in perfetta
sintonia con gli alleati-vassalli europei. Quei soldi non s’è mai potuto
poi capire che fine abbiano fatto, e c’è da scommettere che anche per
questi stavolta non sarà molto diverso.
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