mercoledì 25 luglio 2018

La crisi del “macronismo” e il declino delle élites politiche della UE

La crisi del “macronismo” è un dato del tutto rilevante non solo per la sfera della rappresentanza politica dell’Esagono, ma approfondisce il processo di delegittimazione delle élites politiche continentali.
Queste ultime avevano trovato nel leader di “En Marche” un campione del rilancio del progetto politico dell’UE ed una possibile chance di riconfigurazione della rappresentanza politica di questa tendenza, dotata di una nuova narrazione efficace in termini di capacità di catturare un ampio consenso, scompaginando le carte della geografia politica d’oltralpe e offrendo un modello di “ripensamento” della forma di un organizzazione politica esportabile fuori dai perimetri francesi.
L’affaire Alexandre Bennalla, di cui tratteremo più avanti, non è che l’ultima tappa del declino di Macron, che in meno di un anno si è “bruciato” il consenso che aveva portato al suo exploit e a quello del suo movimento, prima con le elezioni presidenziali e poi con le legislative.
La performance elettorale macroniana era stata un vero e proprio tsunami, anche per il ristretto margine temporale intercorso tra il “lancio” del suo movimento: il 6 aprile 2016, l’annuncio di partecipazione alle elezioni presidenziali: il 16 novembre 2016, e l’affermazione al secondo turno delle presidenziali il 7 maggio contro Marie Le Pen, dopo avere ottenuto nel primo turno il 24% dei consensi contro il 21,3% della leader del FN.
Al di là dell’elevato tasso di astensionismo, superiore al 50% del secondo turno delle legislative di giugno, vi era stata la tenuta dell’”offerta politica” macroniana che gli aveva permesso di avere una solida maggioranza, rafforzata dagli alleati di MoDem.
Un dato che non va sottovalutato è il rapido avanzare della convinzione – a livello di sondaggi dei suoi sostenitori – rispetto all’opzione del voto nei suoi confronti, durante tutta la prima parte dell’anno scorso: a febbraio meno della metà si definiva certa di votare per lui, percentuale che sarebbe poi salita solo oltre la soglia dei due terzi ad Aprile.
La rivoluzione macroniana – “Rivoluzione” era per l’appunto il titolo del suo stesso manifesto politico – nelle fondamenta ideologiche del suo programma era un rivisitazione delle politiche neo-liberiste intraprese sia dalla social-democrazia tedesca che dal New Labour britannico, confezionata con una auto-narrazione secondo la quale En Marche “non è di destra, né di sinistra, ma sia di destra che di sinistra. Perché dobbiamo unire tutte le forze positive attorno a un progetto comune”, come aveva dichiarato lo stesso Macron il 21 aprile del 2016, a circa due settimane dal lancio ufficiale del movimento.
Come ha giustamente fatto notare Jocelyn Evans, nel suo saggio scritto per uno studio dell’Istituto Cattaneo (Macron e il movimento En Marche!), “mentre si presentava come base per una rivoluzione democratica, i punti principali del programma di Macron erano ben lungi dall’essere rivoluzionari, ancorati come sono alle fondamenta ideologiche della terza via di Tony Blair, o all’Agenda 2010 di Gerhard Schröder e ancora alle riforme Hartz dei primi anni 2000 sul lavoro e i sussidi di disoccupazione – paralleli che non erano sfuggiti né all’ex-premier britannico né a quello tedesco, tanto più che entrambi hanno espresso il proprio sostegno per Macron durante la campagna per le presidenziali”.
Coeva a questo, vi era dichiaratamente nei piani macroniani una riforma istituzionale tesa a ridurre il peso del parlamento nel contro-bilanciare le scelte presidenziali, con una verticale del potere che accentrava sulla sua figura una maggiore capacità decisionale ed un parlamento, con un terzo in meno di deputati, il cui potere avrebbe dovuto essere quello di registrare le decisioni prese all’Eliseo, svuotando di fatto le istanze della stessa democrazia rappresentativa e stabilendo una sorta di “monarchia presidenziale”.
A questi punti esplicitati del suo programma, che si inserivano nella rivendicazione di un ruolo di maggiore protagonista della Francia sullo scenario internazionale ed un rilancio dell’asse franco-tedesco come motore di una accelerazione del progetto di integrazione europea, in grado di fare divenire l’UE un attore politico globale, si è aggiunta la trasformazione della legge sul diritto d’asilo e l’emigrazione, che di fatto ha notevolmente ridotto le distanze su questa materia tra Macron e i leader dell’est Europa che hanno costruito l’ultima fase della propria carriera politica in quanto imprenditori del razzismo.
Se fino ad ora i corpi intermedi, insieme all’opposizione, nonostante i differenti “fronti” aperti e le convergenze politico-sociali create, non sono riusciti a modificare i piani di Macron e di LREM, con le proprie mobilitazioni hanno contribuito a far drasticamente diminuire il consenso di colui che ormai viene percepito come “il presidente dei ricchi”.
Dopo il ridimensionamento dei suoi piani sul lato del “rilancio” della UE, dovuti ai difficili equilibri politici tedeschi, e la sua netta battuta d’arresto sulla possibilità di bissare lo scompaginamento delle carte negli attori politici continentali a livello di elezioni europee, e con un drastico calo di consensi all’interno, le rivelazioni del giornale Le Monde del 18 luglio – sull’operato di Alexandre Benalla durante la manifestazione del Primo Maggio a Parigi – ha generato la prima vera crisi interna che coinvolge, e rischia di travolgere anche il suo ministro dell’interno Gerard Collomb.
Il “capo” della sua sicurezza privata, insieme a Vincent Crase, si sono resi protagonisti di un vero e proprio pestaggio nei confronti di un manifestante in piazza Contrescarpe il Primo Maggio a Parigi.

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