La nostra sventurata Penisola, oltrepassata la soglia del ridicolo, è entrata completamente nel regno del grottesco.
Il
cittadino italiano, già tartassato in mille modi con tasse, gabelle e
multe, è risultato cornuto e mazziato per l'ennesima volta, ora che ha
scoperto di non poter più fare affidamento neppure sui bollettini che
gli recapita a casa il proprio Comune di residenza. I conteggi delle
tasse di sua "spettanza" potrebbero essere infatti sbagliati, e non
certo a detrimento dell'erario…
Gli
errori si sono ripetuti per alcuni anni in numerosi Comuni sulle
cartelle della Tari, cioè la tassa sui rifiuti nella sua ultima variante
entrata in vigore. Il "rigonfiamento" dei calcoli si è verificato sulla
parte variabile della Tari: le amministrazioni comunali avrebbero
calcolato più volte quest'ultima componente, che corrisponde al numero
di persone che vivono nell'immobile, addebitandola non soltanto per
l'abitazione principale, ma anche per quelle pertinenziali (di cui un
esempio sono il garage e la cantina). Ne è risultato un conto salato,
che ha addossato sui malcapitati fino a 300 euro in più per bolletta,
ogni anno. Insomma, proprio un bell'arrotondamento per le casse
comunali!
Si tratterà di un eccesso di "finanza
creativa"? Ma no, suvvia, non bisogna pensar male… A spergiurare che si
sia trattato soltanto di un errore ci ha pensato subito il numero due
del Ministero dell'Economia, Pier Paolo Baretta: Tendo ad escludere
il dolo in questa vicenda, parliamo di amministrazione pubblica. Penso
piuttosto che la Tari sia una norma recente, ha sostituito la Tares che
era un po' diversa, è possibile che in questi passaggi e cambi qualche
errore sia stato fatto, ma al dolo non credo proprio.
Siate comprensivi, signori, è una norma recente, dice Baretta. Eppure
quattro anni sembrano un po' troppi per rappresentare solo una
scivolosa fase di rodaggio: la Tari è infatti stata introdotta dal 2013 a
valere dal 2014 in poi. Ma quello che ci fa sorridere maggiormente
della dichiarazione dell'esponente governativo è che egli escluda il
dolo con immediata sicurezza, pur non avendo ancora né dati certi, né
avendo avviato un'indagine interna. Non basta essere una pubblica
amministrazione per ottenere la patente di onorabilità, in un sistema
tributario che ha il brutto vizio di scaricare l'onere della prova
sempre ed esclusivamente sul contribuente.
D'altra parte, dalle colonne del Corriere della Sera è lo stesso Baretta ad affermare: Nella vicenda nessun dolo. Faremo le verifiche ma nei Comuni c'è già il modulo dei rimborsi.
Ora,
se uno Stato è autorevole e leale, allora parla dopo aver verificato,
invece di chiedere scusa e poi autoassolversi. Anche perché se non ci
fosse stata l'interrogazione del deputato Cinque Stelle Giuseppe
L'Abbate, lo Stato non si sarebbe certo accorto del danno verso i
contribuenti! Così come è solo l'intervento dell'autotutela che permette
ai cittadini di recuperare una media di 13 miliardi di euro di tasse
non dovute, tra Irpef, Tarsu e Iva. E senza l'insistenza e la tenacia di
alcuni individui, lo Stato non si sarebbe nemmeno accorto di certe
banche che avevano spaventosi conti da
Profondo Rosso…
E così, almeno secondo gli annunci, avverranno i risarcimenti. Si
spera comunque che il Governo non si faccia qualche sconto, come già
capitato in occasione del blocco degli aumenti delle pensioni superiori
al triplo del minimo Inps. Allora avevamo assistito a una sentenza della
Corte Costituzionale disattesa: figuriamoci oggi se il Governo non
sarebbe capace di correre ai ripari senza un dispositivo giudiziario. A
pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca, soleva dire il
vecchio Andreotti, e questo pare essere il caso di chiunque abbia dovuto
confrontarsi con il Fisco italiano, quello che fa il forte coi deboli e
il debole coi forti.
Probabilmente
non ci sarà stato dolo nell'applicazione "taroccata" della Tari, ma
sarebbe comunque bello che tra le mille commissioni d'indagine aperte
in Parlamento se ne aprisse una per fare chiarezza su quanto è accaduto.
Se i vari Comuni italiani hanno letto la norma in un determinato modo,
quello più favorevole alle loro casse, allora diventa difficile
immaginare l'alternativa che la legge sia stata scritta male o che i
sindaci si siano messi d'accordo per applicare un algoritmo che
rimpinguasse le magre finanze locali. L'unica cosa certa è che da questa
vicenda esce ulteriormente indebolito il rapporto cittadino-Stato. Come
può un contribuente fidarsi di un'amministrazione pubblica — che sia
centrale o locale non fa più differenza — col vizio di pretendere più
del dovuto e che dopo aver accertato l'errore non provvede a restituire
il maltolto in tempi celeri? Basta valicare di poco i confini nazionali,
recarsi ad esempio in Svizzera, per vedere come il fisco sia immediato
nei risarcimenti, quelle rare volte in cui sbaglia. Ma nel Belpaese
tutto è permesso allo Stato: se però è il contribuente a sbagliare,
allora la Legge non perdona, è inflessibile, è precisa, e soprattutto
non ammette ignoranza. Quella concessa, anzi spesso invocata, per altre
categorie di individui o di enti pubblici.
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