Il
commercio d’armi mondiale, nel mainstream, è un argomento che viene
affrontato poco e di solito vagamente, benché sia un drammatico fenomeno
quotidiano.
E’ chiaro che meno se ne parla, peggio è. Analogamente ad altri fenomeni, come la mafia.
Se
vi fosse un “bombardamento” mediatico costante relativamente al mercato
delle armi, la questione inizierebbe ad entrare negli abituali
dibattiti.
Ma
invece se ne discute, al più, ad intermittenza. Ad esempio, è più
facile attaccare quotidianamente un migrante con argomentazioni
generiche del tipo “viene a rubarci il lavoro o a portarci instabilità”.
E’ più comodo alimentare questa guerra tra poveri. Del resto, i grossi
ed influenti gruppi finanziari in Italia e all’estero spesso gestiscono
pure il commercio delle armi. In Italia la grossissima Finmeccanica non a
caso è la maggiore esportatrice di armi, tramite aziende “possedute o
in varia misura partecipate” da questa [1].
Abbiamo
un’infinità di terribili esempi collegati al commercio d’armi mondiale.
Che, tra l’altro, riconducono ai disordini globali e a buona parte
delle migrazioni.
Basti
pensare che per l’invasione dell’Iraq, ufficialmente avvenuta per via
di armi di distruzione di massa possedute da Saddam Hussein che la
storia ha dimostrato non esserci (e come sottolineavano in molti già
allora), invasione che oltretutto ha causato la morte di più di 100mila
civili iracheni, gli Stati Uniti spesero nell’acquisto di armi e sistemi
di difesa nel 2004 in media 4,4 miliardi di dollari al mese (oltre 50
miliardi di dollari l’anno), nel 2006 in media 7,2 miliardi, nel 2007 in
media 10,2 miliardi (ovvero oltre 120 miliardi l’anno) [2]. Un
grossissimo affare per le industrie d’armi statunitensi (che già quando
divenne presidente nel 2000 George W. Bush videro inseriti oltre 30
amministratori dell’industria delle armi, consulenti e lobbisti di
questo settore nella sua amministrazione [3]).
Detto
ciò, si consideri che 25 miliardi di dollari (cioè solo una parte di
quei soldi) superano la somma annua del PIL (Prodotto Interno Lordo) dei
100 Stati più poveri del pianeta [4]. Questa stessa cifra corrisponde a
quanto guadagnò nel solo 2005, dal commercio d’armi in Iraq, la
Lockheed Martin, una delle più grosse multinazionali del settore negli
Usa. La stessa fu la maggiore sostenitrice economica, tra le compagnie
d’armi, della campagna politica di Bush del 2004, con circa 200mila
dollari [5].
Adesso,
si pensi un attimo a tutte le guerre e instabilità politiche che ci
sono in giro per il pianeta e le quali causano crisi e migrazioni di
massa. (In Africa ve ne sono una miriade che noi tendenzialmente
ignoriamo..).
Alcune armi provengono anche dai depositi dismessi dei Balcani. Ma appunto, alcune.
In
Siria basta vedere i giochi geopolitici che ci sono e a quali Stati,
alleati di chi, conveniva armare l’Isis (senza girarci troppo intorno,
vi sono ormai molti report che tirano in ballo direttamente Arabia
Saudita, Qatar e Turchia in chiave anti-Assad. E non è una difesa nei
confronti di Assad, ma un dato di fatto. Si consideri inoltre che i
maggiori fornitori d’armi dell’Arabia Saudita sono gli Stati Uniti..A ciò si aggiunga che nel maggio di quest’anno Donald Trump ha firmato un accordo con l’Arabia Saudita per la vendita nel corso dei prossimi anni di armi e sistemi di difesa del valore di 110 miliardi di dollari [7].Ma lo stesso Barack Obama non è stato da meno. Nel corso della sua presidenza gli Stati Uniti hanno venduto ai sauditi armi per 110 miliardi e garantito a Israele il piano di aiuti militari più ampio (38 miliardi in 10 anni) mai concesso dagli Usa a un altro Paese [8].
Ma gli “affari” legati al commercio d’armi, ovviamente, non riguardano solo l’Occidente.
Per
fare qualche esempio. La Cina non si fa problemi a vendere armi ovunque
le sia possibile e a proteggere regimi oppressivi con i quali ha forti
rapporti commerciali, usando anche il veto all’Onu (come verso lo
Zimbabwe del dittatore Mugabe). Prima della caduta di Mubarak, il regime
egiziano acquistava armi principalmente da questa, oltre che da Stati
Uniti, Russia, Francia e Inghilterra [9]. In Russia coloro i quali
detengono le redini del potere controllano il commercio delle armi del
Paese, che non esita a venderle a regimi sanguinari e oppressivi come
(tra gli altri) quello pluridecennale dell’ex Birmania [9].
Se
ne parlassimo quotidianamente, invece che dei migranti che spesso
scappano da situazioni causate anche da tale violenza, staremmo già
affrontando il problema più alla radice. Giri di denaro rispetto ai
quali è complice anche l’Italia.
Iniziamo
a discutere con più costanza di questo e non dei problemi superficiali
che sono semplicemente le molliche che ci vengono lanciate dall’alto.
Facciamo rientrare l’orrore e il business del commercio delle armi tra
gli argomenti da inserire nella nostra quotidianità. Perché è alla base
di molti drammi, sia locali che globali. La soluzione non è legata ai
disperati che attraversano il Mediterraneo in zattera (o almeno, non nei
termini intesi da un Salvini a caso).
Vi
sono inoltre tanti altri “mercati”, naturalmente, che appartengono a
questo cinico giro. A cominciare dall’oro nero (il petrolio).
E
se il problema di fondo risultasse essere il profitto, se affrontando
il discorso e criticando questo modello di sviluppo ingiusto proponiamo
delle alternative che possono sembrare troppo ambiziose o idealiste..
“chi ci ha già rinunciato e ti ride alle spalle, forse, è ancora più
pazzo di te”
Nessun commento:
Posta un commento