A volte mi vien fatto di chiedermi quando ha avuto inizio tutto
questo, se c’è un giorno destinato alla damnatio memoriae, nel quale
abbiamo cominciato a permettere che dal nostro vocabolario di popolo
scomparissero tante parole: dignità, libertà, riscatto, lavoro, diritti,
conquiste, garanzie, rispetto. Quando abbiamo consentito che un
presidente del Consiglio, molto più sfrontatamente di tanti esempi
illustri del passato, Gaspari, Ferrari Aggradi, Viglianesi, Tanassi,
Prandini, molto più arrogantemente dei suoi padri putativi, Craxi,
Berlusconi, e senza essere additato al ludibrio e ancora di più al
ridicolo, possa a recarsi in zone del Paese affette da infame
marginalità, condannate a miserie antiche e nuove, per percorrere una
passerella da soubrette del varietà, “inaugurando” il viadotto
sull’autostrada tra Catania e Palermo, “finalmente aperto al traffico”.
Recatosi là a tagliare il fatidico nastro, riappeso, come era stato
fatto già nel 1975, sul tratto di strada mai franato e riaperto dopo i
controlli di sicurezza, mentre quello clamorosamente crollato l’anno
scorso per quella malattia del cemento fatta di corruzione, cattivi
materiali, carenza di controlli di sicurezza, appalti opachi, continua
ad essere chiuso, con la prospettiva “ottimistica” e remota di una nuova
consacrazione nel 2018.
Si dirà che tanta insolente spudoratezza
è particolarmente dedicata al Sud, dove il Pd o nemmeno si candida come
a Cosenza, o presenta inveterati impresentabili, propaggine molesta cui
è uso rinfacciare ritardi e indolenze, fucina di svariate mafie sulla
cui attività di export di costumi e di marketing del brand all’operoso
Nord o nella pingue Emilia all’ombra della carismatica figura di
influenti ministri, si tace, come è avvolto da riserbo la rete di
alleanze di una criminalità organizzata nata e allevata nel Mezzogiorno,
con un ceto politico di tutte le latitudini. E siccome si tratta di
leader, ministri, rappresentanti particolarmente infami e dediti
all’accanimento voluttuoso sui più deboli, sarà anche così, ci sarà un
piacere aggiuntivo nel prendere per i fondelli i terroni.
In
realtà travalica i confini geografici e i muri virtuali su e giù del Po
la pervicace attività di sfottere il popolo, di imbambolarlo di bugie,
di ingannarlo con maquillage a coprire ferite e rughe, con ripetizione
di cerimonie, come in questo caso, con il camouflage per mascherare
ritardi e voragini corruttive dell’Expo. O di raccontare che un
referendum era costoso e inutile perché cinque dei sei quesiti
predisposti dalle regioni avevano trovato una risposta positiva da parte
del governo, omettendo che se non si fosse manifestata una
mobilitazione in grado di modificare l’agenda politica del governo, il
misfatto ai danni di ambiente e sicurezza sarebbe stato compiuto. O di
voler convertire un altro referendum, destinato a sancire il definitivo
passaggio dalla democrazia all’oligarchia, in un plebiscito, un
pronunciamento in suo favore e a sigillare, ponendo una artificiosa
questione di “fiducia, l’egemonia dell’esecutivo e la cancellazione
della rappresentanza e della partecipazione.
Perché è questo
l’unico tipo di voto che gli interessa, avendo già instaurato un regime
di controllo totale e dall’alto, del partito e delle istituzioni,
mortificando il sindacato, sferzando flebili opposizioni, ricattando il
Parlamento, promuovendo una legge elettorale, Porcellum o Italicum che
sia, che consegna nelle sue mani di segretario del partito unico, la
selezione dei candidati sulla base di un rapporto di fedeltà personale.
Gli altri voti non li vuole e i pronunciamenti li viola con allegra e
disinvolta slealtà, come nel caso del referendum sull’acqua grazie a
emendamenti opportunamente presentati da parlamentari del Pd, che,
abrogando l’articolo della legge, rimasta per anni a sonnecchiare e che
prevedeva modi e tempi per il ritorno alla gestione pubblica di ogni
situazione territoriale oggi in mano ai privati, accoglie lo “spirito”
del Testo Unico sui servizi pubblici locali, decreto attuativo della
Legge Madia n. 124/2015, prefiggendosi di garantire la
razionalizzazione delle modalità di gestione dei servizi pubblici
locali, in un’ottica di rafforzamento del ruolo dei soggetti privati,
ottenendo in una volta sola il risultato di fregarsene le parere della
maggioranza del paese in merito all’inviolabilità di un bene comune che
non deve e non può essere alienato, e di assestare un sonoro schiaffone
all’idea stessa di democrazia.
Non so quando sia cominciato, non
so quando qualcuno ha pensato di poterci sfidare così, non so quando gli
abbiamo concesso di ridere di noi, non so quando gli abbiamo permesso
di dimostrare con ogni suo gesto che siamo delle pecore, dei citrulli,
delle vittime rassegnate.
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