Stavolta persino in 12 città degli USA non hanno commemorato il 12
ottobre 1492. Perchè lo sbarco di Cristoforo Colombo è l'inizio di uno
sterminio, un etnocidio che ha "estinto" vari popoli originari. Con la
benedizione della Croce in connubio con la Spada. Proponiamo una sintesi
del discorso dell'ambasciatore del Venezuela a Roma, Julián Isaías
Rodríguez Diaz, in occasione del Giorno delle Resistenza indigena.
«Per gli usurpatori della memoria, coloro che furono conquistati
ignorano come si fa la storia. Per questo, devono consegnarcela già
fatta. Per loro la dignità non è più di una catena di fatti privi di
senso. Colombo credette di essere sbarcato in Oriente dalla porta di
dietro, credette di trovarsi in India, credette
che Haiti era il
Giappone e che Cuba era la Cina e, nonostante questo, si continua a
dire, irresponsabilmente, che l’America fu scoperta da lui.
Sapevate che per gli europei di quel tempo eravamo persone con code cosi
lunghe da poterci sedere solo su sedie che avessero dei buchi? Che per
quegli europei avevamo gli occhi sulle spalle e la bocca sul petto? Che
avevamo delle orecchie grandi, ma così grandi da portarcele dietro
strisciandole per terra? E, peggio ancora, avevamo i piedi a rovescio,
con i talloni davanti e le dita dietro?
Eduardo
#Galeano,
che racconta questi aneddoti, ha contrastato questo incosciente
manifesto della storia ufficiale, sostenendo che quella che gli europei
chiamavano "scoperta " in realtà non è mai avvenuta. Ciò che accadde fu
un’altra storia, un'altra scoperta: l’ America Latina, la Nostra
America, come la chiamò José Martí, scoprì prima una barbarie mescolata
alla religione con la brutalità di una repressione senza precedenti e
poi un liberalismo che trasferì il suo egoismo prima nel capitalismo e
poi nella globalizzazione.
Molto tempo prima di Cristoforo Colombo,
in America c’erano stati i vichinghi e prima dei vichinghi i nonni dei
nonni dei nostri trisavoli. Vivevano nella Nostra America e misero un
nome al mais e alla patata. Misero un nome al cioccolato, lo stesso che
l’Europa mostra in diversi itinerari turistici. Nel 1492 Cristoforo
Colombo scrisse sul suo diario che voleva trasferire i nostri antenati
in Spagna, affinchè apprendessero a “fablar español”.
Sembra che
avesse voluto far intendere che solo parlando il castellano i nostri
anziani potevano diventare esseri umani. O forse per avere “il titolo di
persone” dovevano iniziare con il rinunciare alla loro identità?
Citiamo di nuovo Galeano per riaffermare che il proposito degli europei
era “cancellarci l’anima” e praticare, come fanno ancora, “EL
OTROCIDIO”. Galeano scrive che chiamarono “selvaggi” i nostri antenati e
non si sbagliarono perchè nessuno di loro fu capace di chiedere un
visto, né una lettera di invito, né una somma diaria di euro, né un
certificato di buona condotta, né un permesso di lavoro all’Europa, così
come stabilito dall’Accordo di Schengen.
E continuano ad essere
così selvaggi che, come scrive il poeta venezuelano Gustavo Pereira, la
popolazione dei Pemones chiama la rugiada Chiriké Yetakú, che significa
saliva delle stelle; le lacrime le chiama Enú Parupué, che vuol dire
succo degli occhi e il cuore Yewám Enapué, che significa seme che si
trova in cima al ventre. Sul delta dell’ Orinoco la popolazione dei
Waraos chiama Mejokoji l’anima, che significa sole del petto. Ma
Jokaraisa significa il mio altro cuore ed indica un amico. Dimenticanza
si dice Emonikitane e significa perdonare. Per loro la terra è madre e
la madre è dolcezza. Che selvaggi!
L’attuale premio Nobel della
letteratura, Mario Vargas Llosa, in un momento infausto, ha scritto che
“non c’è altro rimedio se non quello di modernizzare gli indigeni anche
le loro culture dovranno essere sacrificate”. Per questo distinto
scrittore: “…è l’unico modo per salvarli dalla miseria”. Non voglio
credere che, aldilà di quanto affermato, l’autore de La città e i cani
abbia voluto dire, come qualcuno pensa, che “per salvare gli indigeni
bisogna mettergli un uniforme perchè si uccidano gli uni con gli altri o
muoiano difendendo lo stesso sistema che li nega”. Abbiamo letto con
diletto La festa del caprone, la sua magistrale denuncia contro il
trujillismo nella Repubblica Dominicana e non potremmo mai immaginare
che: “…la modernizzazione a cui si riferisce Vargas Llosa sia svuotare
gli indigeni dall’ indigeno che portano dentro e ridurlo ad
un non-indigeno…”
Nei nostri indigeni c’è troppa poesía per
negargli la loro lingua. Cantano alla sabbia e ai boschi. Prendono il
volo nel martin pescatore e volando dicono: “Sali sulle mie ali per bere
insieme il vento”. Cavalcano ottimisti sulle libellule e quando sellano
i loro cavalli nel cielo lo fanno per cercare la pioggia. Quella magia e
quei sogni da molto tempo non sapevano dove andare, perchè nel 1614
l’arcovescovo di Lima aveva bruciato i loro flauti, le loro danze, i
loro canti e i loro strumenti musicali.
Forse è per questo che un
Arcivescovo africano, contestando un altro Arcivescovo europeo,
alludendo al saccheggio dell’identità degli africani, in una bellissima
frase affermò: “I sacerdoti avevano la Bibbia ed i nativi avevano la
terra; qualcuno gli chiese di chiudere gli occhi e pregare. Lo fecero,
ma quando li aprirono di nuovo gli altri avevano preso le loro terre e a
loro restava soltanto la Bibbia”. I conquistatori, in realtà, non usano
più vestiti di ferro, ma usano uniformi diverse, con cui assaltano il
Vietnam, l’ Afghanistan, l’ Honduras, l’Iraq ed anche il Venezuela,
circondata da altri marines che vogliono privarla della sua libertà e
della sua sovranità, cercando di togliergli anche la sua identità.
Perdonate, forse avrei dovuto iniziare questo discorso sulla resistenza
indigena parlando di Abya Yala. L’emozione, la passione o la follia mi
hanno portato da un’altra parte. Permettetemi di iniziare dai nomi che
sono stati attribuiti al continente. Ibero-America ricorda il saccheggio
coloniale. Non percepite in questo nome un feroce razzismo? Passiamo ad
un altro nome: America Latina. Non vi sembra che con questo nome si
voglia nominare in modo eurocentrico il nostro continente? Con questo
nome non si lascia fuori di noi una parte importante della nostra
popolazione originaria e afroamericana? Non si estirpa da noi l’identità
dei Chiluba, i Nkrumah, i Kenyatta,i Nyerere e i Mandela? Non vi sembra
che vogliano tooglierci e sopprimerci un pezzo, un frammento della
nostra orgogliosa identità africana?
Abya Yala è il nome dato al
continente americano dal popolo Kuna a Panamá e in Colombia prima
dell’arrivo degli europei. Significa terra in piena maturità o terra di
sangue vitale. Oggi, diverse comunità e istituzioni indigene
preferiscono l’uso del termine Abya Yala per riferirsi al territorio
continentale, al posto della parola America. L’uso di questo nome
rimanda a precise posizioni ideologiche, dicono. America o Nuovo Mondo
sono espressioni del colonialismo. Il popolo Aymara difende il termine
Abya Yala per respingere il nome straniero che disonora la nostra
identità e si sottomette alla volontà degli invasori e dei loro eredi.
Le nostre prime manifestazioni di indipendenza non sono quelle che
festeggiamo. Le nostre prime manifestazioni di liberazione furono quelle
belle, coerenti, immutabili, invariabili e tenaci manifestazioni di
"resistenza indigena", la resistenza all'idea di "progresso " portata
dall’ Europa durante e dopo la conquista. Quella stessa idea di "
progresso" ha distrutto non solo gli esseri umani, ma la terra e l’
acqua, il clima e gli alberi, le montagne, i fiumi e i venti. La
barbarie contro i nostri primi abitanti produsse, nel nostro continente,
il più grande olocausto della dell'era moderna.
Alcuni vedono il
contatto dell’ Europa con noi come un "incontro tra due culture. Ma
quale incontro tra due culture! Si può chiamare incontro un’ invasione
coloniale? Quelle di ieri! O quelle di oggi! E quelle di sempre!
Quell'incontro non fu altro che il più grande genocidio commesso
dall’Europa. La distruzione di civiltà millenarie che avevano scoperto
lo zero mille anni prima dei matematici europei. Che avevano conosciuto
le età dell'universo 1500 anni prima di Copernico, Brahe, Kepler e
Galileo, per citare i più grandi di quell’epoca. Civiltà che conoscevano
il buon senso come senso di comunità senza scopo di lucro, senza
nemmeno pensare alla proprietà privata. Queste civiltà annullate,
demolite, devastate avevano scoperto che l'uomo è tempo e che per
possedere una sacralità non era possibile venderlo ne comprarlo.
Nella storia ufficiale, quella nobile resistenza indigena fu estirpata
quasi completamente. La conquista e la colonizzazione furono, per l’
Europa, atti presuntamente pacifici in cui presuntamente vennero
rispettati tutti i diritti umani e in cui ci viene accusato il fatto di
aver accettato pacificamente il saccheggio. Oggi occorre sottolineare
che la “resistenza indigena” risulta di innegabile e incontestabile
utilità per poter comprendere con coscienza e sapienza gli attuali
processi sociali che si sviluppano in Bolivia, Ecuador, Nicaragua,
Brasile, Argentina, Cuba e Venezuela.
I nostri attuali processi
politici, sociali ed economici non sono altro che il seguito di quella
straordinaria resistenza indigena, con altri mezzi e in un tempo
inventato dall’angoscia e destinato, come diceva il Che, a lottare per
l’impossibile . Un profeta maya che parlava per gli dei a suo modo
disse: “…saranno liberate le mani, i piedi e i volti del mondo...ma
quando sarà liberata la bocca non ci sarà nessuno che non l’ascolterà”
Le rivoluzioni americane oggi hanno il proposito di riscattare questa
parte della storia taciuta. In questo senso, l’idea è di andare oltre
“l’indipendenza politica conquistata contro la Spagna e il Portogallo
durante il XVII secolo”. Raccontiamo, per favore, la storia reale:
l’Europa competeva per trovare strade più veloci per arrivare in Asia …
così giunse prima in Africa e poi ad Abya Yala. Per l’Europa Abya Yala
non era un continente sconosciuto ma un pianeta sconosciuto che si
trovava più in là di dove finiva il mondo. Luis de Camoens lo scrisse
all’estremità occidentale dell’Europa, dove c’è un monumento che riporta
questa frase: “Qui finisce la terra e comincia il mare”.
Ad Abya
Yala, tre grandi civilizzazioni costruirono un’altra idea di
“progresso” e “civilizzazione”. Alcune delle loro città divennero più
grandi di quelle europee. Aztechi, Maya e Incas fecero, senza dubbio,
progressi più significativi nella giustizia sociale ed economica che
l’Europa.
Il comune denominatore di queste tre civiltà è stata
una società equa, in cui la cosmovisione ancestrale del “buon vivere”
(meditare, pensare e riflettere in armonía con la natura) viene
differenziata dall’american way of life. La prima visione costituì ciò
che oggi sarebbe un cambiamento di paradigma alla concezione capitalista
del vivere. La seconda invece, è un comportamento in cui un individuo
apparentemente migliora la qualità della sua vita attraverso il lavoro,
mettendo in pratica abilità competitive ed individualiste in una società
fondata sul libero mercato.
La purezza del “buon vivere” e delle
sue tradizioni comunitarie ci porta a non competere ed a non concepire
la vita secondo una prospettiva individuale. “Buon vivere” è agire in
comunità e in armonía con la natura e l’universo e, allo stesso tempo,
avere un rapporto di reciprocità con essi. La cosiddetta american way of
life è un fattore che conduce alla distruzione del pianeta ed alla
disuguaglianza sociale. E’ un modo per avere di più, per competere con
gli altri, cercando di essere migliori di loro e mette dal presupposto
che c’ò che è materiale ha più valore dell’essere umano.
I primi
europei che giunsero in America smantellarono le civiltà che c’erano ed
imposero i loro rapporti di produzione con la terra affinchè, come in
una religione, professassimo la fede allo sfruttamento dell’essere
umano. I nuovi padroni di quelle terre vietarono la vera storia e
decisero di consegnarci la versione, già fatta, che loro stessi diedero
alla storia (…)
L’argomento fu semplice. Il nuovo continente era
stato “scoperto e non apparteneva a nessuno”. Avrebbero quasi potuto
dire di averlo trovato come un oggetto smarrito. Le civiltà di Abya Yala
non erano mai esistite e le nostre idee di “progresso”, secondo le loro
leggi, dovevano sottomettersi ad una civilizzazione che, naturalmente,
era europea. Molto tempo prima di Fukuyama, l’ Europa decretò la fine
della storia millenaria di Abya Yala e della sua storia ancestrale. Il
continente “scoperto” venne considerato “terra di nessuno”. Le
popolazioni indigene non possedevano diritto alla terra, alla sovranità
ed all’autodeterminazione. I fondamenti di questa attitudine risiedevano
nei sistema di valori elaborati nell’Età Media attraverso la religione.
L’ Europa cristiana rappresentava non solo un’area religiosa ma anche
un ambito culturale. Le popolazioni indigene americane, comparate ai
turchi, avrebbero potuto, secondo la chiesa cattolica, compromettere la
cultura di segno cristiano e quel rischio deveva essere scongiurato a
tutti i costi. La conquista fu, di conseguenza, una guerra di culture in
cui la vittoria significava l’annichilimento completo dell’altro e la
sua incondizionata sottomissione. Ciò, secondo i teologi di tale
infelice ideologia, obbligava il continente conquistato a trasformarsi,
si o no, in una brutta copia dell’Europa, imponendoci il disprezzo come
abitudine.
(…) E’ così che comparvero il sincretismo e la cultura
mariana, destinati entrambi ad occultare artificiosamente nelle chiese
“il loro diritto alla resistenza ed alla ribellione”. Questa cultura
della “resistenza” fece si che in molte opportunità i criollos
americani, bianchi o meticci non si sentissero totalmente europei e si
ribellassero contro i re e contro Dio. Fu questa maschera a permettere
alla resistenza indigena di sopravvivere. Sostituirono San Miguel con
Shangó; i tuoni e i fulmini si trasformarono in Santa Barbara ed Oschún
nella vergine della CARITA’ DEL COBRE o Nostra Signora della Candelaria.
(....) Non posso, però, concludere senza dire, in nome della Bolivia,
Ecuador, Cuba, Nicaragua, Brasile, Argentina e Venezuela, che siamo
disposti, per ora, con o senza il consenso dell’imperialismo, a
costruire un progetto sociale solidale, complementare, giusto, equo,
inclusivo, di pace, nel rispetto della libertà e della sovranità. Non
chiederemo mai più il permesso. Lo stiamo già costruendo…e lo porteremo a
termine.
Per continuare su questi passi, faremo dei nostri stati la
patria di tutte le nostre culture. Saremo la sede della
multiculturalità o creeremo una nuova cultura “La storia ufficiale”,
ovvero quella storia tradizionale dell’America, che ha ignorato la
storia dei "non bianchi", delle nostre rivoluzioni e del loro profondo e
trascendente significato culturale.
Adesso basta!
L’indipendenza, vista dai nostri aborigeni, non consisteva nella mera
espulsione del conquistatore. Volevano e, ancora oggi vogliono, dare
voce “alla resistenza che nascosero nel sincretismo. Vogliono chiarire,
non solo i conflitti odierni, ma bensì quelli che, quando arrivarono gli
europei, furono aggravati dalla tiritera sulle teorie tramite le quali
il colonialismo si ricostruisce, si mimetizza e si riproduce
impunemente”.
Adesso basta!
Come dice il peota brasiliano: Mi
hanno rubato la mia Africa e, dopo, mi rubarono ciò che rimaneva
dell’Africa nel mio cuore e nella mia anima di latinoamericano!
Adesso basta!
L’oppressore non è capace discoprire. L’oppresso scopre. Così ci
dimostra un sacerdote spagnolo assassinato a El Salvador, Ignacio
Ellacuría. L’oppressore non è neppure capace di scoprire se stesso. Lo
disse, in una chiesa cattolica, e per condividere i rischi di questa
resistenza che oggi ci consacra in questo luogo, lo trivellarono di
colpi a causa di un sistema che non è capace di tollerare né gli
sguardi, né le voci che si oppongono.
(....) Care amiche e cari
amici, voglio terminare citando una frase di Saramago. Ho letto nel suo
blog: “gli esseri umani, non siamo nient’altro che la memoria che
abbiamo e la nostra unica libertà è quella dello spirito”. Forse
intendeva dire che è necessario vedere il grano verde, il frutto maturo e
la pietra che è stata spostata. O che è necessario riprenderei passi
dei nonni, dei nostri nonni. Come nelle traduzioni abbiamo il difficile
compito di rispettare il luogo da cui tutto ebbe origine e il luogo a
cui tutto si dirige, così per tradurre, dice Saramago, l’istante del
silenzio anteriore è la soglia di un movimento alchemico che ha bisogno
di trasformarsi in qualcos’altro, questo rappresenta l’unico modo di
continuare a essere, ciò che sempre è stato.
Sembra quasi che non ci
rendiamo conto che, abbandonando la nostra memoria, corriamo il rischio
che questo vuoto sia colmato da memorie aliene che crediamo nostre e,
così, diventiamo complici di una colonizzazione senza fine.
Grazie
cari amiche e amici, grazie a tutti voi, e grazie a José Saramago, per
avermi prestato le sue farsi per chiudere questo discorso attraverso una
lettura che sento sempre più intima e pura».