mercoledì 31 gennaio 2018

Soldi alla TAV, sangue ai pendolari

I servizi essenziali che dovrebbero essere garantiti in Italia sono allo sfascio perché i soldi vengono rubati da orde di politici e loro compari. I soldi che rimangono dal ladrocinio generalizzato vengono utilizzati male perchè  l’avidità umana è  concentrata sul profitto e su quello che rende. Quindi se si tratta di scegliere fra qualcosa che almeno a prima vista rende di più e qualcosa che rende di meno, ovviamente si sceglie quello che rende di più. Che poi da qualche parte fra leggi e la Costituzione ci sia scritto che i cittadini devono vivere in sicurezza o gli devono essere garantiti servizi di base (pagati con tasse su tasse), è un dettaglio che si può certo trascurare. E dove sono tutti quelli che parlano di sicurezza laddove si intende solo difendersi da gente dalla pelle scura e non certo quella sicurezza che si dovrebbe pretendere per un treno che deraglia e uccide le persone?
Secondo i manager rampanti o coloro che hanno studiato economia in prestigiose università, gli utili mica si accrescono puntando sulle tratte per i pendolari. Gli utili si fanno con l’alta velocità e i pendolari possono fare la carne da macello nel senso letterale del termine. Negli ultimi anni sono stati chiusi oltre 1.100 chilometri di linee locali con relative stazioni, il personale è ridotto all’osso, servizi pessimi, sporcizia, ritardi continui, soppressioni di treni, guasti tecnici a ripetizione.  Ma di cosa stupirsi se già da quando si compra un biglietto on line o alle biglietterie automatiche, c’è la fregatura architettata in maniera diabolica nel fornire primariamente le tratte che convengono alle compagnie e non al cliente.
Nel recente incidente ferroviario di Pioltello dove sono morte tre persone e ci sono stati quarantasei feriti, è decisamente rivoltante sentire le ragioni delle ferrovie quando dicono che come incidenti siamo in linea con gli altri paesi, che rispettiamo parametri teorici di sicurezza. Basta viaggiare nelle tratte dei pendolari o nelle linee periferiche per capire che la sicurezza è un optional, non certo la regola e se anche una sola persona fosse rimasta ferita o uccisa per scarsa manutenzione, per fondi non investiti, la colpa è senza appello, statistiche o meno. Vadano a spiegare ai parenti delle vittime che siamo dentro le statistiche. La situazione è sotto gli occhi di tutti: soldi buttati nella TAV in Val Susa per un opera orrendamente e criminalmente inutile oltre che devastante e poi non si fa manutenzione adeguata ai binari dove passano migliaia di pendolari ogni giorno. Ma i capitalisti del danno collaterale sono anche assai impreparati nel loro business. I soldi si farebbero lo stesso, proprio rafforzando le ferrovie dappertutto, non solo concentrandosi sull’alta velocità e il resto lasciarlo allo sbando. Le persone infatti prenderebbero molto di più il treno se avessero un servizio efficace, pulito, puntuale, comodo, frequente, sicuro, lasciando volentieri la macchina a casa, magari non la comprerebbero nemmeno. Se ci fossero veri manager e non poveri speculatori, capirebbero che attraverso un pianificazione intelligente potrebbero finalmente fare un lavoro che ha un senso, che aiuta veramente le persone a muoversi in sicurezza impattando meno sull’ambiente. La mobilità del futuro sarà proprio quella pubblica e capillare che le ferrovie italiane stanno in tutti i modi cercando di smantellare. Soldi da investire per realizzare questo obiettivo ce ne sono di sicuro visto che vengono continuamente sprecati e rubati. Anche il potenziale di richiesta di mobilità su ferrovia c’è, bisognerebbe solo agire. Ma questi manager che guadagnano cifre vergognose e che prendono buone uscite milionarie per poi andare a fare danno da qualche altra parte, non hanno nessun ritegno se anche di fronte ai morti continuano imperterriti nella loro follia dove il profitto viene sempre prima delle persone considerate solo un effetto collaterale sulla strada del guadagno.

martedì 30 gennaio 2018

Oms: 500mila infezioni resistenti agli antibiotici

Fanno paura le stime dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sul fenomeno delle gravi infezioni batteriche contro cui gli antibiotici non funzionano: i primi dati pubblicati dall'organismo parlano di 500.000 casi in 22 Paesi, sia ad alto che a basso reddito.
Si tratta del risultato del lavoro del nuovo sistema globale di sorveglianza antimicrobica dell'Oms, secondo cui i batteri resistenti più comunemente riportati sono stati Escherichia coli, Klebsiella pneumoniae, Staphylococcus aureus e Streptococcus pneumoniae, seguiti da Salmonella. Il sistema non include però i dati sulla resistenza del Mycobacterium tuberculosis, che causa la tubercolosi, dal momento che l'Oms lo monitora dal 1994 separatamente e fornisce aggiornamenti annuali nel rapporto globale sulla Tbc. Dunque le cifre potrebbero essere anche più alte.
La percentuale di batteri resistenti ad almeno uno degli antibiotici più comunemente utilizzati varia enormemente tra i diversi Paesi, da zero all'82%. La resistenza alla penicillina - usata per decenni in tutto il mondo per trattare la polmonite - arriva fino al 51%. E tra l'8% e il 65% dei batteri E. coli associati a infezioni del tratto urinario presenta resistenza alla ciprofloxacina, antibiotico comunemente usato per trattare questa condizione.
"Il rapporto conferma la grave situazione di resistenza agli antibiotici in tutto il mondo", afferma Marc Sprenger, direttore del Segretariato della resistenza antimicrobica dell'Oms. "Alcune delle infezioni più comuni del mondo potenzialmente pericolose si stanno dimostrando resistenti ai medicinali. E, cosa ancora più preoccupante, i patogeni non rispettano i confini nazionali. Ecco perché l'Oms sta incoraggiando tutti i Paesi a istituire buoni sistemi di sorveglianza in grado di fornire dati".
A oggi, 52 Paesi (25 ad alto reddito, 20 a reddito medio e 7 a basso reddito) sono iscritti al sistema globale di sorveglianza antimicrobica dell'Oms. Per il primo rapporto, 40 Paesi hanno fornito informazioni dai loro sistemi di sorveglianza nazionali e 22 hanno anche fornito dati sui livelli di resistenza agli antibiotici.
"Il rapporto è un primo passo fondamentale per migliorare la nostra comprensione dell'entità del fenomeno. La sorveglianza è agli inizi, ma è fondamentale svilupparla se vogliamo anticipare e affrontare una delle più grandi minacce alla salute pubblica globale", afferma Carmem Pessoa-Silva, che coordina il nuovo sistema di sorveglianza dell'Oms.

lunedì 29 gennaio 2018

Grecia fase finale: all'asta sul web tutto ciò che si può vendere, anche le case private

La Grecia di Alexis Tsipras è entrata nella «fase laboratorio»: vedere cosa succede ad un paese lasciato nelle mani dei creditori. Disse Milton Friedman: «Lo shock serve a far diventare politicamente inevitabile quello che socialmente è inaccettabile»: lo shock della Grecia risale al’estate del 2015 quando con la giacca gettata sul tavolo al grido di «prendetevi anche questa» il primo ministro Alexis Tsipras firmò la resa senza condizioni della sua nazione sconfitta. Umiliato di fronte al proprio paese e al mondo da Angela Merkel, volutamente. Sul tavolo, quella notte, non finì solo la Grecia, ma la stessa democrazia che l’occidente ha vissuto in quelli che il grande storico Hobsbawm ha definito «i gloriosi trent'anni». Il voto greco, consapevole, che rifiutava il commissariamento della Trojka ad ogni costo, ad ogni costo veniva tradito in cambio di un piano lacrime e sangue, ancor più punitivo perché doveva sanzionare l’ardire di un popolo intero che osava ribellarsi alla volontà suprema dell’Europa finanziaria. Che solo in quel caso e per pochi giorni gettò la maschera della finta solidarietà, dei traditi valori di Ventotene, e si manifestò nella pura essenza del terrorismo finanziario.



Senza un governo, comandano i tedeschi
Nel nuovo reame globalizzato la Grecia è il primo esperimento compiuto di «stato disciolto»: il governo della sinistra, solo pochi anni fa definito estremista, ha assunto il ruolo finale: l’assorbimento del conflitto sociale che si scatena a fronte di una colonizzazione. Il 2018 sarà l’anno dove l’esproprio della ricchezza pubblica e privata diventerà in Grecia molto più veloce, e aggredirà i rimasugli di patrimonio restanti. Gli immobili vengono messi all’asta e i compratori stranieri – banche, privati e perfino istituzioni – possono prendersi un’isola, un appartamento, una spiaggia, un'opera antica: qualsiasi cosa. Il tutto a prezzi stracciati, a meno del 5% del loro valore.



Anche le case all'asta sul web
Finiscono all’asta, sul web, come una cosa qualsiasi, perfino le prime case se superano una determinata superficie. Il tutto nel plauso della parte ricca del paese, che potrà accaparrarsi i beni della classe media, per non parlare di quella povera, a prezzi stracciati. Nella democrazia di facciata del governo Tsipras i poveri sono sempre più poveri, e i ricchi sono sempre più ricchi. Sembra di parlare degli Stati Uniti, e invece è la Grecia, un paese nobile e antico, su cui si fonda l’intera cultura occidentale, che si trova ad un passo dalle nostre coste. Per molti aspetti laddove è fondato il nostro passato si vede il nostro futuro. C’è una qualche differenza tra un comune italiano, come quello di Torino ad esempio, e lo stato greco? Entrambi sono assediati dai debiti, contratti per mitigare l’impatto della deindustrializzazione globalizzante, entrambi sono sotto il controllo delle banche che dettano i piani di governo: a suon di privatizzazioni, svendite di patrimonio e licenziamenti collettivi. La trappola del debito è una tagliola, entro la quale viene ferita la democrazia. I piani di rientro sono agende incontrovertibili, totali, spietate. Rispetto i quali ogni programma elettorale è soccombente.



Ultimo sforzo, poi il deserto
I commentatori filo governativi sottolineano che il 2018 sarà l’anno «dell’ultimo sforzo» per arrivare alla fine del commissariamento da parte dei creditori. Per dare un’idea di cosa si parla: un governo di estrema sinistra, si fa per dire, ha approvato delle norme che restringono la libertà di sciopero. Di fatto in Grecia diventa illegale, perché per la proclamazione degli scioperi dovrà partecipare alle assemblee il 50% degli iscritti ai vari sindacati di categoria. E questa è solo l’ultima parte di un processo che ha già pesantemente colpito lo stato sociale, le pensioni, i salari, i beni pubblici, e il diritto del lavoro. Imbarazzante, tra l’altro, l’asse politico tra Alexis Tsipras e Emmanuel Macron: ennesima prova dello sbandamento culturale della sinistra incapace di inquadrare un orizzonte politico differente da quello dei banchieri.



Italia come la Grecia?
Ovviamente il governo greco confida che nell’agosto del 2018 la Trojka, in virtù del piano di rientro greco, vada via, e lasci il paese libero di finanziarsi sul mercato globale. Ma se anche fosse, questo non migliorerebbe la situazione della Grecia, ormai allo stremo. Il debito pubblico greco, da «vendere» sul mercato obbligatoriamente a tassi elevati, finirebbe nuovamente all’estero. E il processo si ripeterebbe esattamente uguale agli ultimi sette anni. Ovviamente vi sarà un’espansione del Pil e una ripresa dei contratti di lavoro a prezzi stracciati. Il governo, la democrazia, non servirebbe più a nulla: se non a creare un simulacro. L’esperimento greco, la palla di cristallo in cui si può vedere il futuro dell’Italia se non vi sarà una drastica inversione politica, è davanti a noi.

venerdì 26 gennaio 2018

La realtà del dopoguerra in Siria: chi contiene chi?

Rotte e cambi della Casa Bianca in Medio Oriente, con Muhamad bin Salman (MbS), Muhamad bin Zayad (MbZ) e Bibi Netanyahu, per un “accordo del secolo” non hanno prodotto “alcun accordo”, ma piuttosto esacerbato le tensioni del Golfo verso una crisi vitale. Gli Stati del Golfo sono ora molto vulnerabili. L’ambizione ha spinto alcuni capi ad ignorare i confini intrinseci tipici dei piccoli emirati tribali, quelli commerciali e i presunti giochi di potere gonfiati, da architetti che si trovino in cima al nuovo ordine mediorientale. Il team di Trump (e certi europei), intossicato da tali trentenni, ambiziosi delle business school del Golfo e bramanti il potere, sé bevuto tutto. La “Prima famiglia” ha abbracciato la narrazione (capovolta) dell’Iran e degli sciiti furfanti e terroristi, pensando di sfruttarla per un accordo con cui Arabia Saudita ed Israele ostacolassero congiuntamente l’Iran e i suoi alleati, e in cambio Israele avrebbe ottenuto, finalmente, la tanta ricercata “normalizzazione” col mondo sunnita (“l’accordo del secolo”). Bene, la decisione sbagliata su Gerusalemme ha messo fine a tale mossa: piuttosto, l'”appello” di Trump ha fatto il contrario: ha dato alla regione un “polo” attorno cui gli ex-antagonisti del conflitto siriano possono ritrovare una causa comune: difendere Gerusalemme come cultura, storia ed identità comune dei popoli musulmani e cristiani. Una causa che potrebbe unire la regione, dopo questo periodo di tensioni e conflitti. E gli Stati del Golfo ora si ritrovano, avendo perso in Siria, trascinati da una controversia a un’altra, ovvero la ‘jihad’ a guida statunitense, per così dire, contro gli sciiti, con tutte le apparenze regionali (reali e immaginate). Un piano di alto profilo che danneggia l’economia (Dubai, ad esempio, è essenzialmente un piccolo Stato del Golfo che sopravvive commerciando con Iran e Pakistan, quest’ultimo con una popolazione sciita di notevoli dimensioni), e senza una politica saggia: l’Iran è una nazione reale di 6000 anni, con una popolazione di quasi 100 milioni di abitanti. Non sorprende che tale “piano” per lo scontro faccia a pezzi il GCC: l’Oman, con i suoi vecchi legami con l’Iran, non ne ha mai fatto parte; il Quwayt, con la sua significativa componente sciita, pratica coesistenza ed inclusione con gli sciiti. Dubai si preoccupa delle prospettive economiche; e il Qatar… beh, il bullismo sul Qatar si è concluso con la nascita del nuovo “asse” regionale con Iran e Turchia. Ma oltre a ciò, l'”Arte del compromesso” parla anche del revanscismo economico statunitense: gli USA recuperano il territorio economico perso (presumibilmente) a causa della “negligenza delle passate amministrazioni”, secondo l’analisi della Strategia della sicurezza nazionale degli Stati Uniti (NSS). Secondo quanto riferito, Washington gioca con i dazi con la Cina, le sanzioni contro la Russia e la guerra economica, volta a rovesciarne il governo, all’Iran. Se il presidente Trump perseguisse tale politica (e sembra proprio che questa sia l’intenzione), allora ci sarà la risposta economica di Cina, Russia e Iran. Già l’area e la popolazione coperte dal sistema del petrodollaro si sono ridotte, e potrebbero ridursi ulteriormente (forse includendo l’Arabia Saudita che riceve yuan per il suo petrolio). In breve, la base di liquidità (depositi di petrodollari) da cui dipende l’ipersfera finanziaria del Golfo e gran parte del suo benessere economico, si restringerà. E questo in un momento in cui le entrate petrolifere sono già diminuite (la prima fase della contrazione attuale del petrodollaro) per gli Stati del Golfo, che devono ridimensionarsi fiscalmente, a spese dei cittadini. La Cina ha recentemente lanciato un’inchiesta sui piani di guerra commerciale degli Stati Uniti, svelando intenzionalmente (e poi ritrattando) il suggerimento che la Banca Centrale cinese smetta di comprare titoli del Tesoro USA o di disinvestirvi. E la principale agenzia di rating del credito cinese, Dagong, declassava il debito sovrano degli Stati Uniti da A- a BBB+, suggerendo in modo efficace che le riserve del Tesoro USA del Golfo non sono più le “attività prive di rischio” che si supponeva fossero, e che potrebbero persino svalutarsi mentre i tassi d’interesse aumentano; il QE4 colpisce.
Com’è possibile che il Golfo sia finito in una posizione così esposta? Essenzialmente, non riconoscendo, e quindi non superando, i propri “confini” intrinseci, è la prima risposta. Alla fine degli anni ’90 e agli inizi degli anni 2000, il Qatar e il suo governante Hamad bin Qalifa erano percepiti politicamente attivi, ben oltre le ridotte dimensioni del Qatar (200000 abitanti). Il Qatar inaugurò la TV al-Jazeera, un’innovazione sconvolgente nel mondo arabo all’epoca, ma che divenne uno strumento potente durante la cosiddetta “primavera araba”. Fu accreditata, almeno così mi disse all’epoca l’emiro, con l’estromissione del presidente Mubaraq e l’impostazione del quadro politico associato all’ondata di proteste popolari nel 2011. Forse l’emiro aveva ragione. Sembrava quindi che gran parte del Golfo (compresi gli Emirati Arabi Uniti), potesse essere rovesciata dall’assalto infuocato di al-Jazeera e cedere alla Fratellanza musulmana, che il Qatar allattava come strumento per “riformare” il Mondo arabo sunnita. Chiariamo, il Qatar sfidava l’Arabia Saudita, e non solo politicamente sponsorizzando i Fratelli musulmani, sfidava la stessa dottrina religiosa alla base della monarchia assoluta dell’Arabia Saudita. (La FM, al contrario di al-Saud, sostiene che la sovranità spirituale si fonda sul “popolo”, l’Umma, e non su un “re” saudita). I sauditi odiavano questa arroganza rivoluzionaria del Qatar che minacciava il dominio dei Saud. Così fece anche MbZ, che riteneva che la FM avesse come obiettivo Abu Dhabi. C’erano anche antiche rimostranze e competizioni nella rivalità tra Abu Dhabi e Qatar. L’emirato del Qatar, infine, si spinse oltre e fu dimesso ed esiliato nel 2013. Storicamente, Abu Dhabi aveva sempre avuto un rapporto tenue con l’Arabia Saudita, accondiscendente con tali emirati “minori”, ma con MbS tuttavia MbZ coglieva l’opportunità non solo d’influenzarlo, ma di fare di Abu Dhabi il “nuovo Qatar”, sopravvalutando il proprio peso politicamente leggero. Ma, a differenza del Qatar, non cerca di rivaleggiare con l’Arabia Saudita, ma piuttosto di essere il “Mago di Oz” dietro le quinte, a tirare le leve dell’Arabia Saudita per far leva sugli Stati Uniti ed ottenere l’approvazione e il favore statunitensi sia per MbS che per MbZ per la posizione anti-fratellanza, laicista, neoliberale e anti-iraniana. E in un certo senso, il successo di MbZ, dopo la guerra israeliana ad Hezbollah del 2006, nel costruire i rapporti con gli USA (attraverso il generale Petraeus, allora comandante di CentCom), centrati sulla minaccia iraniana; e l’abile uso della paura dell’infiltrazione da parte della Fratellanza musulmana per aprire la porta all’espansione del dominio di Abu Dhabi su Dubai e il resto dei principati, sul piano della sicurezza; e l’uso dell’assistenza finanziaria agli altri emirati di Abu Dhabi dopo la crisi finanziaria del 2008, diventava la guida per eliminare i rivali politici e avere potere illimitato. Questa ascesa guidò la successiva ascesa al potere assoluto di MbS in Arabia Saudita, sotto la guida del più vecchio MbZ. Il duetto intendeva invertire il corso del Medio Oriente, nientemeno, colpendo l’Iran e, con l’aiuto statunitense ed israeliano, ripristinare il primato dell’Arabia Saudita.
Il presidente Trump ha abbracciato (e pare irrevocabilmente) MbS e MbZ. Ma si è rivelato un altro caso di sopravvalutazione del Golfo: quest’ultimo non ha potuto “normalizzare” Gerusalemme in Israele; Netanyahu non può alleviare la situazione dei palestinesi (né con la sua coalizione attuale, né potrebbe formarne un’altra). E, in ogni caso, nemmeno Abu Mazen potrà cedere sullo status di Gerusalemme. Quindi Trump ha semplicemente “dato” la Città Santa ad Israele, innescando così una rissa col quasi completo isolamento diplomatico degli USA. Politicamente, MbS, MbZ, Netanyahu e Jared Kushner hanno fallito umiliandosi ed indebolendosi. Ma, cosa importante, il presidente Trump ora è bloccato nel suo abbraccio con l’agitata leadership saudita e la sua antipatia radicale nei confronti dell’Iran, come dimostrato dall’ONU nel discorso di settembre all’Assemblea generale. Rimanendo col piano anti-iraniano, il presidente Trump ora si ritrova, grazie al suo errato giudizio sulle capacità di MbS e MbZ di creare qualcosa di concreto, senza truppe sul campo. Il GCC è spezzato, l’Arabia Saudita è in subbuglio, l’Egitto veleggia verso Mosca (dove acquista SAM S300 per 1 miliardo di dollari e 50 aerei da combattimento Mikojan MiG-29 per 2 miliardi di dollari). La Turchia è alienata e gioca da entrambi i lati: Mosca a Washington, contro il centro; e gran parte dell’Iraq si schiera con Damasco e Teheran. Persino gli europei lamentano la politica USA sull’Iran. Certo, Trump può ancora colpire l’Iran. Può farlo anche senza ritirarsi dal JCPOA, creando incertezza se “lui voglia o no” ritirarsene, più le minacce di sanzioni alternative probabilmente sufficienti a spaventare le imprese europee (alcune significative) nell’avviare piani commerciali con l’Iran; ma per quanto possa essere doloroso per il popolo iraniano, ciò non può mascherare la nuova realtà del conflitto post-Siria: in Libano, Siria o Iraq, in un modo o nell’altro, può accadere poco senza il coinvolgimento iraniano. Anche la Turchia non può perseguire una realistica strategia curda senza l’aiuto dell’Iran. E Russia e Cina hanno bisogno dell’aiuto iraniano per garantirsi che il progetto One Belt, One Road non sia colpito dagli estremisti jihadisti. Questa è la realtà: mentre i capi statunitensi ed europei parlano incessantemente dei loro piani per “contenere” l’Iran, la realtà è che l’Iran e i suoi alleati regionali (Siria, Libano, Iraq e in misura imprevedibile Turchia) di fatto ‘contengono’ (cioè hanno una deterrenza militare) USA ed Israele. E il centro di gravità economica della regione, inesorabilmente, si allontana dal Golfo verso la Cina e il progetto eurasiatico della Russia. La forza economica del Golfo compie la sua parabola.
Il dispiegamento di una “piccola” forza di occupazione statunitense nel nord-est della Siria non è una minaccia all’Iran, quanto un ostaggio di Damasco e Teheran. Questo è il cambio dell’equilibrio di potere tra i legami settentrionali degli Stati regionali con quelli meridionali. È un simbolismo, una forza militare statunitense in Siria apparentemente destinata a “contenere l’Iran”, che gli Stati Uniti potrebbero successivamente richiamare se la Turchia dovesse agire o, infine, abbandonarli, lasciando gli ex-alleati curdi piegarsi al vento secco siriano.

giovedì 25 gennaio 2018

Le Grecia e gli Strozzini Europei. Storia di una rapina legalizzata

Il Parlamento ellenico ha approvato recentemente , pur tra forti polemiche nella stessa maggioranza, un pacchetto di misure, che contiene la restrizione del diritto di sciopero dei lavoratori, innalzando dal 30% al 50% l’approvazione necessaria per deliberare un’agitazione da parte dei sindacati, nonché procedure accelerate per consentire alle banche di vendere all’asta gli immobili ipotecati dei clienti morosi. Da dicembre sono partite le tanto contestate aste elettroniche. Stretta da una morsa di debiti che aumenta ogni giorno, il Paese e' stato smantellato da organizzazioni internazionali ( Fondo Monetario, Banca Centrale Europea e Commissione Europea) che con violente ed inefficaci politiche di Austerita' hanno semplicemente ridotto lo Stato Greco sul lastrico. Le previsioni della Troika di 5 anni fa sono state disastrose, il paese ha perso il 25 % del valore del PIL, ma nessuno ad oggi vuole prendersi la responsabilita' di quegli schemi e modelli economici totalmente sbagliati. I miliardi di euro prestati alla Grecia sono serviti ( e lo sono ancora) per pagare i creditori privati, Francia e Germania su tutte. Economisti di fama mondiale come Stiglitz, Krugman, Eric Maskin, Jean-Paul Fitoussi, Jeff Madrick, solo per citarne alcuni e centinai di articoli hanno condannato questo macello sociale che il popolo greco sta subendo da anni.



Peter Koenig è un noto economista e analista geopolitico. Ha lavorato nella Banca Mondiale e in giro per tutto il mondo come esperto ambientale e di risorse idriche. Scrive regolaramente su Global Research, ICH, RT, TeleSur, the Voice of Russia / Ria Novosti, The Vineyard of The Saker Blog, e altri siti internet. E' l'autore di Implosion – An Economic Thriller about War, Environmental Destruction and Corporate Greed – un docu-film basato sui fatti di attualità e sui 30 anni di esperienza nella Banca Mondiale.
Perche' questo titolo? Perche' la Grecia non dovrebbe continuare a giocare la carta della vittima, ne quella di masochista. La Grecia sembra soffrire della cosi detta "Sindrome di Stoccolma", e' innamorata del proprio carnefice. Ma la Grecia potrebbe cambiare le cose, uscire dalla prigione, uscire dall'Europa e uscire dall'Euro. La Grecia, cosi', potrebbe tornare alla propria sovranita' monetaria, alla propria banca Nazionale, creando la propria politica monetaria che sarebbe effettiva con un sistema bancario esclusivo per la Grecia. In meno di dieci anni  il Paese sarebbe salvo ed avrebbe ripagato parte di quel debito creato illegalmente.
Anche se, qui va sottolineato, per la legge internazionale, la maggioranza del debito greco e' stato imposto dalla Troika in maniera illegale. Anche chiamato "debito odioso" che secondo la legge internazionale e' illegittimo, perche' secondo le leggi attuali, un debito nazionale provocato da un regime non per il benessere della nazione non puo' essere applicato. Divengono, dunque, debiti del regime e non debiti dello Stato. Questa dottrina corrisponde anche ad uno degli atti del Fondo Monetario Internazionale che cita come il Fondo stesso non dovrebbe prestare denaro a nessun Paese in sofferenza, che con poche probabilita' sara' capace di rimborsare il debito ed i suoi interessi. Non passa un solo giorno che la Grecia non presenti qualche abuso commesso dalla Troika ( Fondo Monetario, Banca Centrale Europea e Commissione europea, quest'ultima che non viene eletta ma imposta). " Distruggono e saccheggiano la Grecia" di Leonidas Vatikiotis, "Austerita' gli ospedali fermano la chemioterapia, mandano via i pazienti perche' hanno sforato il budget".
Gia anni fa la rivista "Lancet" aveva mostrato un incremento dei suicidi e della mortalita' infantile nel Paese. Le atrocita' imposte dall'occidente abbondano ogni giorno: tagli dei salari, drastica riduzione delle pensioni dal 2010, annullamento quasi totale della previdenza sociale. 4 milioni su 11 milioni totali vivono sotto la soglia di poverta', il 15% vive invece in condizioni anche peggiori. Il 28% dei minori vive in poverta' con malnutrizioni e malattie, blocchi delle crescita e di conseguenza cerebrali. La Disoccupazione sfiora il 25% ed il 50% tra i giovani (18-35). Gli ospedali e le scuole pubbliche sono chiuse o privatizzate per mancanza di fondi statali. Ci sono scarsita' di medicinali a causa delle restrizioni imposte dai vicini amorevoli della Grecia.  Si muore di influenza, polmonite, infezioni intestinali, mancano gli antibiotici. La Grecia non ha piu'controllo alcuno sul proprio budget, ha dovuto firmare questa responsabilita' a Bruxelles per un altro "pacchetto di salvataggio". Nel settembre 2016 il Parlamento approva frettolosamente il piano di 2000 pagine stilato da Bruxelles in inglese, pochi lo leggono, non c'e' tempo. I parlamentari greci cedono non solo tutte le imprese e le infrastrutture detenute dallo Stato al " Meccanismo di Stabilita' Europeo" (ESM) per 99 anni, in questo periodo tutto puo' essere svenduto per privatizzare, o semplicemente smantellato, ma, come se non bastasse, il Governo Greco cede la propria autorita' sovrana sul budget a Bruxelles. Potete immaginarvi? Questo e' il  XXI secolo, non succede dal 1933 quando la Bundestag, il Parlamento tedesco trasferì tutti i propri poteri legislativi al cancelliere Adolf Hitler. Questo e' completo fascismo imposto dall' Unione Europea. Il mondo osserva silenziosamente, ed in piena complicita', il dismantellamento totale della sovranita'  di un paese, con il conseguente impoverimento ed asservimento della popolazione. Questa non e' una notizia, anzi, e' risaputo e scritto innumerevoli volte da innumerevoli giornalisti, le misure imposte dalla Troika sono inutili e  dannose. La Grecia potrebbe fermare questo dissanguamento e impoverimento della maggioranza della popolazione quasi instantaneamente, uscendo dall'Euro e della Unione Europea. Non sarebbe lasciata sola. Solidarieta' sarebbe portata da Asia, Latino America ed Africa. Questa offerta era gia' stata fatta nel 2014/15. Ma nessuno e' stato  ascoltato, perche' l'elite greca vuole fare parte dell'Elite europea, di questo gruppo nefasto. Molte foto, troppe, sono circolate del PM Tsipras ed i suoi amici che ridono con i vari Lagarde e Junker. La Grecia avrebbe dovuto uscire dell'Unione Europa dal 2010, con il primo pacchetto di salvataggio, ma non lo fece per qualsivoglia ragioni.  Magari minaccie a Tsipras o alla sinistra del partito Syriza, non lo sappiamo con certezza, ma e' possibile in una civilta' occidentale dove gli opponenti all'egemonia di Washington ed i suoi oscuri esecutori, vengono semplicemente assassinati. Ce lo spiega bene John Perkins nel suo bestseller "Confessioni di un sicario dell'Economia". Non esistono alleati fidati nella Unione Europea.
Il debito della Grecia ad oggi (Gennaio 2018) e' di  € 320 miliardi circa o il 190% del PIL, e continua a salire. Gli interessi annuali ammontano a oltre € 17 miliardi, € 557 al secondo, guardate l'orologio del debito Greco qui. Non ci sono rimedi in vista, non importa quello che il Fondo Monetario dice, sono menzogne, la Grecia non uscira' mai da questa montagna di debiti rimanendo nell' Europa e nell'Euro. E' tardi, ma mai troppo tardi, riprendetevi la vostra moneta locale, riprendete il controllo della vostra banca nazionale, con bassi o zero interessi per stimolare la vostra economia e non quella della Germania o della Comunita' Europea, ma quella Greca. In dieci anni il paese avra' gia' recuperato dalla depressione, come l'Argentina, o anche la Germania, proprio dopo la II Guerra Mondiale. Il supporto, se serve , potrebbe arrivare dall'est, dall'OBI (One Belt Initiative) ad opera della Cina, gia' connesso con il gigante asiatico del porto del Pireo. L' OBI e' un progetto multimiliardario che comprende numerosi paesi, Cina , Russia ed Eurasia per svuluppare infrastrutture, commercio e mercati transcontinentali, l'occidente con la sua avida economia alimentata dalle guerre sta passanndo.E' forse l'ultima opportunita' per la Grecia per salvarsi e salvare la sua gente. Qualcuno dovrebbe domandarsi se la Grecia e' divenuta una comoda vittima, accondiscendente con i padroni tra Bruxelles e Washington, o e' semplicemente masochista nel suo annientamento?

mercoledì 24 gennaio 2018

Il Ministero della Censura. La caccia alle Fake News vuol imbavagliare l'informazione alternativa

La guerra è pace, La libertà è schiavitù, L’ignoranza è forza». Questi sono i tre slogan che campeggiano stampati sulla facciata del palazzo di forma piramidale in cemento bianco in cui si trova la sede del Ministero della Verità orwelliano: è al suo interno, nell’Archivio, che lavora il protagonista di 1984, Winston Smith. Il Miniver (in neolingua) si occupa dell’informazione e della propaganda e ha il compito di produrre tutto ciò che riguarda l’informazione: promozione e diffusione dei precetti del partito, editoria, programmi radiotelevisivi, letteratura. Questo ente si occupa anche della rettifica di questo materiale, in un’opera capillare e costante di riscrizione delle fonti. Il Miniver, cioè, si occupa di falsificare l’informazione e la propaganda per rendere il materiale diffuso conforme alle direttive e all’ideologia del Socing. Il Grande Fratello, infatti, sottomette le menti dei cittadini tramite il “controllo della realtà”, ossia il bipensiero e niente deve sfuggire alle maglie del suo dominio onnipervasivo.

Nella società distopica immaginata da Orwell, il controllo è totale in quanto i colleghi di Winston si occupano di falsificare la storia seguendo l’adagio del Partito, «Chi controlla il passato […] controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato». Le menzogne propinate dai falsificatori vengono imposte dal Partito e acquisite in modo spontaneo e acritico dalle masse perché «se tutti i documenti raccontavano la stessa favola, ecco che la menzogna diventava un fatto storico, quindi vera». Questo passaggio di 1984riecheggia il noto adagio di Joseph Goebbels, Ministro della Propaganda del Terzo Reich: «Se ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte, diventa una realtà». E soprattutto, viene acquisita e introietta come se fosse semprestata vera.

Il “controllo della realtà” e la falsificazione costante del passato servono a soggiogare il popolo tenendolo imprigionato in una forma di eterno presente: privo di memoria storica e senza più la capacità di usare la coscienza critica, l’uomo comune è costretto a crollare di fronte alla dissonanza cognitiva che viene indotta dal Grande Fratello, senza nemmeno accorgersi delle bugie a cui viene bombardato quotidianamente. Dovrà quindi allinearsi completamente all’Ortodossia, accettare e credere qualunque menzogna come dogma, anche qualora si dica che 2+2 fa 5. Chi non lo facesse sarebbe immediatamente accusato di psicoreato. Il potere, cioè svuota le menti dei cittadini per riempirle con i propri contenuti, proprio come ripeteva ancora Goebbels «Non basta sottomettere più o meno pacificamente le masse al nostro regime […] Vogliamo operare affinché dipendano da noi come da una droga».

Tematiche attualissime − come mostro nel mio ultimo libro, Fake News. Dalla manipolazione dell’opinione pubblica alla post-verità: come il potere controlla i media e fabbrica l’informazione per ottenere il consenso (Arianna Editrice) − in un periodo in cui la caccia alle fake news sta monopolizzando il dibattito pubblico all’interno di una cornice fintamente democratica e le voci dissonanti sono ancora troppo poche.

L’attuale diatriba sulla fake news ha portato alla promozione di un clima di isteria che potremmo definire una “caccia alle streghe 2.0”. In un pieno rigurgito di maccartismo, dove al posto dei comunisti oggi vengono perseguitati coloro che non si allineano al pensiero unico, è in atto una campagna che da un lato strumentalizza la violenza e il cyberbullismo dei social e dall’altro, in piena modalità schizoide, fa uso di questi metodi per attaccare, dileggiare, denigrare e screditare i ricercatori e i giornalisti “alternativi”. Si è partiti con la graduale costituzione di siti atti allo smascheramento di bufale per finire ad adottare metodi sempre più sofisticati per imbavagliare il web (come se le bufale fossero un’esclusiva della rete e i media mainstream ne fossero immuni!).

Sia i media mainstream, sia i politici che oggi chiedono misure per la censura del web hanno negli anni divulgato, e continuano a farlo, innumerevoli panzane, menzogne deliberate o fake news (si pensi per esempio alle famigerate armi di distruzione di massa iraquene poi rivelatesi inesistenti) ricorrendo quindi a sofisticate forme di manipolazione per dirigere il consenso dell’opinione pubblica. Invece il neo Tribunale dell’Inquisizione si focalizza soltanto sui contenuti della rete, additando anche gli argomenti scomodi come bufale.

Secondo i novelli inquisitori, infatti, fenomeni politici e sociali come Brexit, l’elezione di Trump, la vittoria del NO alla modifica costituzionale in Italia, ecc. sarebbero in realtà il frutto “scellerato” della diffusione delle bufale on line (se non addirittura dovute all’intervento dei famigerati hacker russi). Per tutelare la “propaganda”, introdurre in modo sempre più strisciante lo psicoreato e censurare l’opinione pubblica, in Occidente si stanno quindi introducendo leggi o apparati volti a stanare le bufale e a oscurarle, con il rischio (o forse dovremmo dire con l’intento deliberato) di censurare il web e in particolare l’informazione alternativa.

Anche Facebook, Google e Twitter sono dovuti correre ai ripari per poter sottostare al volere dell’establishment. Durante le presidenziali francesi, per esempio, Facebook ha oscurato 30 mila profili accusati di diffondere fake news o fare spam, suscitando non poche polemiche. Sempre in Francia, nella conferenza stampa di inizio anno, Macron ha annunciato un progetto di legge per combattere le fake news e rafforzare il controllo dei contenuti su internet in periodo elettorale.

Nemmeno l’Italia sfugge a queste misure draconiane: da noi il ministero dell’Interno ha attivato un nuovo servizio a disposizione degli utenti per segnalare fake news, che è stato presentato a Roma alla presenza del ministro dell’Interno Marco Minniti, il capo della Polizia Franco Gabrielli e il direttore del servizio di Polizia postale, Nunzia Ciardi. Una volta ricevute le segnalazioni, un team dedicato del Cnaipic le verificherà attentamente attraverso l’impiego di tecniche e software specifici e, in caso di accertata infondatezza, pubblicherà una smentita. In che modo si deciderà quali contenuti sono veri e quali falsi? Fino a che punto si spingerà questo sistema?

L’opinione pubblica sembra passiva di fronte a questi provvedimenti se non addirittura propensa a legittimare l’uso della forza, arrivando persino ad accettare di introdurre il reato di opinione: una forma di psicoreato orwelliano 2.0 secondo cui verrebbe punita non più l’azione ma la libertà di espressione e ancora prima di pensiero. Non si potrà più pensare “male” (cioè in modo critico e indipendente dal pensiero unico): i propri pensieri e le proprie emozioni dovranno allinearsi al pensiero comune, globale, globalizzato, politicamente corretto. Sarà semplicemente vietato pensare fuori dal coro: la mente di tutti noi sarà definitivamente sotto controllo. Apparentemente, per una “buona” causa.

martedì 23 gennaio 2018

Strappiamo il potere ai miliardari

Ecco dove siamo in quanto pianeta nel 2018: dopo tutte le guerre, le rivoluzioni e I vertici internazionali  degli ultimi 100 anni, viviamo in un mondo in cui una piccolo gruppo di individui incredibilmente ricchi, esercitano livelli di controllo sproporzionati sulla vita economica e politica della comunità globale.
Anche se è difficile da comprendere, il fatto è che le sei persone più ricche della terra ora possiedono più ricchezza della metà povera della popolazione del mondo, cioè 3,7 miliardi di persone. Inoltre l’1% di chi ha i redditi più elevati ora ha più denaro del 99% dei poveri. Nel frattempo, mentre i miliardari mostrano la loro opulenza, quasi una su sette persone lotta per sopravvivere con meno di 1,25 $ al giorno (1,021 euro), e cosa terrificante, circa 29.000 bambini muoiono quotidianamente per cause del tutto prevedibili come: diarrea, malaria e polmonite.
Allo stesso tempo, in tutto il mondo, le élite corrotte, gli oligarchi e le monarchie anacronistiche spendono miliardi per gli sperperi più assurdi. Il Sultano possiede circa 500 Rolls-Royce e vive in uno dei palazzi più grandi del mondo, cioè un edificio con 1.788 stanze che una volta è stato valutato 350 milioni di dollari. In Medio Oriente, che vanta 10 dei più ricchi monarchi del mondo, i giovani reali vanno in giro per il globo con jet, mentre quella regione ha il più alto tasso di disoccupazione giovanile del mondo, e almeno 29 milioni di bambini vivono in povertà e non hanno la possibilità di avere alloggi decenti, acqua potabile o cibo nutriente. Inoltre, mentre centinaia di milioni di persone vivono in condizioni pessime, i mercanti di armi del mondo diventano sempre più ricchi dato che i governi spendono trilioni di dollari per le armi.
Negli Stati Uniti, Jeff Bezos, fondatore di Amazon, e attualmente la persona più ricca del mondo, ha un netto del valore di più di 100 miliardi di dollari. Possiede almeno 4 palazzi che insieme hanno un valore di più di 100 miliardi di dollari. Come se non bastasse, sta spendendo 24 milioni di dollari per la costruzione di un orologio che verrà posto in una cava in  una montagna in Texas e  che si presume funzionerà per 10.000 anni. Però, nei magazzini di Amazon in tutto il paese, i dipendenti di Bezos spesso lavorano per lunghe ed estenuanti ore e guadagnano salari così bassi che devono contare su Medicaid*, sui buoni spesa e l’edilizia abitativa pubblica pagata  dai contribuenti statunitensi.
Non solo quello, ma in un periodo di enorme ricchezza e disuguaglianza economica, le persone di tutto il mondo stanno perdendo fiducia nella democrazia – governo dal popolo, per il popolo e del popolo. E’ sempre di più riconosciuto che l’economia globale è stata manipolata per ricompensare coloro che sono  ai vertici sociali, a spese  di tutti gli altri che quindi sono arrabbiati.
Milioni di persone lavorano per più ore e con salari inferiori rispetto 40 anni fa, sia negli Stati Uniti che in molti altri paesi. Osservano, sentendosi impotenti di fronte a pochi potenti che si comprano le elezioni e a un’ élite economica e politica che diventa più ricca, anche quando il futuro dei loro figli diventa più oscuro.
In tutta questa disparità economica, il mondo sta assistendo a un allarmante aumento di autoritarismo e di estremismo di destra che trae energia, sfrutta e amplifica i risentimenti di chi è lasciato indietro e soffia sul fuoco dell’odio etnico e razziale.
Ora, più che mai, chi  di noi crede alla democrazia e al governo progressista, deve unire le persone a basso reddito e i lavoratori di tutto il mondo per seguire un’agenda che riflette le loro necessità. Invece di odio e dissenso, dobbiamo offrire un messaggio di speranza e solidarietà. Dobbiamo sviluppare un movimento internazionale che sfidi l’avidità e l’ideologia della classe dei miliardari e che ci conduca in un mondo di giustizia economica, sociale e ambientale. Sarà una lotta facile? Certamente no, ma è una battaglia che non possiamo evitare. I rischi sono proprio troppo grandi.
Come Papa Francesco ha giustamente osservato in un discorso in Vaticano nel 2013: “Abbiamo creato nuovi idoli. L’adorazione del vitello d’oro dei tempi antichi ha trovato una nuova e crudele immagine nel culto del denaro e nella dittatura di un’economia che è senza volto e che manca di qualsiasi scopo realmente umano.” Ha continuato: “Oggi tutto rientra nella legge della competizione e della sopravvivenza dei più    dove i potenti si nutrono di coloro che non ha potere. Di conseguenza, le masse popolari si trovano escluse ed emarginate: senza lavoro, senza possibilità, senza nessuna possibilità di fuga. “
Un nuovo movimento internazionale progressista si deve impegnare ad affrontare la disuguaglianza strutturale sia tra le nazioni che al loro interno. Tale movimento deve superare le mentalità del “culto del denaro” e della “sopravvivenza dei più adatti” , dalle quali ha messo in guardia il Papa. Deve sostenere le politiche nazionali e internazionali mirate a elevare i livelli di vita dei poveri e delle classe operaia – a iniziare dalla piena occupazione e da un salario sufficiente per vivere e fino all’educazione superiore e a giusti accordi commerciali. Inoltre, dobbiamo controllare il potere delle grosse aziende e impedire la distruzione ambientale del nostro pianeta come conseguenza del cambiamento del clima.
Ecco soltanto un esempio di che cosa dobbiamo fare. Proprio pochi anni fa, la Tax Justice Network* ha stimato che gli uomini più ricchi e le aziende più grandi del mondo avevano nascosto almeno 21-32 trilioni di dollari nei paradisi fiscali d’oltremare per evitare di pagare la loro giusta parte di tasse. Se operiamo insieme per eliminare le frodi fiscali oltremare,  le nuove  entrate che verrebbero prodotte, potrebbero porre fine alla fame globale, a creare centinaia di nuovi impieghi e sostanzialmente a ridurre il reddito esagerato e la disparità di ricchezza. Potrebbe essere usata per passare aggressivamente all’agricoltura sostenibile e per accelerare la trasformazione del nostro sistema di energia lontano dai combustibili fossili e verso le fonti rinnovabili di energia.
Sfidare l’avidità di Wall Street, il potere delle gigantesche multinazionali e l’influenza della classe dei miliardari del globo, non è soltanto la cosa morale da fare, è un imperativo geopolitico strategico. Una ricerca svolta dal programma di sviluppo delle Nazioni Unite, ha dimostrato che le percezioni che hanno cittadini della disuguaglianza, della corruzione e dell’esclusione, sono tra i più costanti indicatori della possibilità che le comunità, sosterranno l’estremismo di destra e i gruppi violenti. Quando la gente capisce che le probabilità sono contro di loro, e non vedono alcuna soluzione per un ricorso legittimo, è più probabile che ricorrano a soluzioni dannose che serviranno soltanto ad aggravare il problema.
Questo è un momento cruciale nella storia del mondo. Con l’esplosione di tecnologia avanzata e con i progressi che ha portato, abbiamo ora la capacità di aumentare sostanzialmente la ricchezza globale in modo corretto. Ci sono i mezzi a nostra disposizione per eliminare la povertà, aumentare l’aspettativa di vita e creare un sistema di energia globale non costoso e che non inquina.
Questo è ciò che possiamo fare se avremo il coraggio di unirci e di affrontare gli interessi speciali potenti che vogliono semplicemente sempre di più per se stessi. Questo è ciò che dobbiamo fare per amore dei nostri figli, dei nostri nipoti e per il futuro del nostro pianeta.

lunedì 22 gennaio 2018

Il Ministero della Verità

L’invito è ufficiale, anzi ufficialissimo: “Domani 18 gennaio alle ore 17.00, presso il Centro Nazionale Anticrimine Informatico per la Protezione delle Infrastrutture Critiche (CNAIPIC) al Polo Tuscolano in Via Tuscolana 1548, alla presenza del Ministro dell’Interno Marco Minnitie del Capo della Polizia Franco Gabrielli, verrà presentato il nuovo servizio di segnalazione istantanea contro le fake news. Ti aspettiamo”. Quel “ti aspettiamo” ha un che di vagamente inquietante, tipo quando ballavo in discoteca con una tipa che mi piaceva e un coetaneo più robusto di me (ci voleva poco) mi diceva “ti aspetto fuori”.

In effetti l’idea che a decidere quali news sono fake, cioè false, siano il Viminale e la Poliziadi Franco Gabrielli detto Nazareno, cioè il governo, allarma un po’. Riporta alla mente il ministero della Verità di George Orwell in 1984, che fra l’altro spacciava fake news a tutto spiano, le più pericolose e imperiture perché consacrate dal timbro dell’ufficialità, dall’ipse dixit dell’autorità. Il ministero aveva sede in una mega-piramide bianca che recava sulla facciata gli slogan “La guerra è pace”, “La libertà è schiavitù” e “L’ignoranza è forza”. E aveva il compito di riscrivere secondo i dettami e la “neolingua” della propaganda governativa tutto ciò che la contraddiceva: romanzi, cronache, statistiche, libri di storia.

È anche il sogno del nostro pericolante e tremebondo regimetto, in vista delle elezioni che potrebbero spazzarlo via dalla faccia della terra. Dunque che faranno le nostre forze dell’ordine? Disperderanno le fake news, o presunte tali, con gli idranti? Le calpesteranno con plotoni di carabinieri a cavallo? Caricheranno gli autori con agenti in tenuta antisommossa armati di manganello? Niente paura. Siamo in Italia, dove ogni dramma diventa melodramma e ogni tragedia si muta in farsa. Infatti la mirabolante guerra alle fake news sarà affidata a una decina di appuntati chiusi in un commissariato. I quali, nei ritagli di tempo fra una denuncia di furto, una di documenti smarriti e una di gattini scomparsi, raccoglieranno le segnalazioni dai privati che si sentiranno offesi dal tal sito, blog, social network; dopodiché dovranno rivolgersi al server per convincerlo a cancellare tutto e, se quello opporrà resistenza, chiameranno un pm perché indaghi sull’eventuale contenuto diffamatorio del messaggio incriminato ed eventualmente sequestri il corpo del reato (la fake news) o l’arma del delitto (il sito o la pagina facebook, twitter, instagram ecc.). Già, perché è dato per scontato che le fake news siano un’esclusiva della Rete.

Invece i tg e i giornali sono dei pozzi di scienza e verità, scevri come sono da conflitti d’interessi e da intenti propagandistici. Lo dice il 10 gennaio lo stesso sito della Polizia: “ATTENZIONE!! Fake news. È tempo di campagna elettorale e, come spesso purtroppo accade, assistiamo ad un’impennata nella diffusione di fake news via internet e social network… la ben nota e poco edificante attività di creazione a tavolino, e successiva diffusione, di notizie prive di fondamento, relative a fatti o personaggi di pubblico interesse, al solo scopo di condizionare fraudolentemente l’opinione pubblica. L’ultimo esempio, in ordine di tempo, ha interessato la Presidente della Camera, Laura Boldrini” e te pareva: “ai suoi danni è circolata su whatsapp la bufala virale secondo cui un ragazzo di 22 anni senza adeguate referenze professionali, presunto nipote della Presidente, sarebbe stato assunto a Palazzo Chigi”. La classica bufala a cui credono poche migliaia di gonzi, mai ripresa da giornali o tg, dunque innocua.

Invece contro le balle dei giornaloni, che di solito si muovono a testuggine, ripresi poi da tutti i tg, nulla è previsto perché per lorsignori il problema non esiste: e ci mancherebbe, visto che giornaloni e tg li controllano loro e spacciano solo le fake news che vogliono loro. La madre di tutte le fake news dell’ultimo quarto di secolo la raccontano gli ex pm Caselli e Lo Forte nel libro La verità sul processo Andreotti (ed. Laterza): la falsa assoluzione, annunciata a reti ed edicole unificate, del sette volte premier, dichiarato colpevole in appello e in Cassazione di associazione per delinquere con Cosa Nostra fino alla primavera del 1980, reato “commesso” ma prescritto poco prima della sentenza. Fecero tutto le tv e i giornaloni. E tutt’oggi milioni di italiani non sanno come finì il processo del secolo, anzi peggio: sono convinti dell’opposto della verità.

C’è poi un altro trascurabile dettaglio: che si fa se le fake news le raccontano direttamente i politici? La polizia irrompe negli studi televisivi per imbavagliarli e ristabilire ipso facto la verità? L’altra sera abbiamo tanto sperato che ciò avvenisse a Matrix, mentre B. sparava le sue cifre mirabolanti sulla flat tax che aumenta il gettito (uahahah), sulla lotta all’evasione (parola di un pregiudicato per frode) e sulla sua prossima abolizione dell’Imu sulle prime case (abolita due anni fa). Se poi la guerra alle fake news fosse retroattiva, non vorremmo essere nei panni di Renzi che, tra un “Enrico stai sereno” e un “Se vince il No lascio la politica”, dovrebbe subire il sequestro della lingua a vita. Infine ci sarebbero le fake news sulle fake news, tipo le balle senza prove sul mandante Putin, per nascondere le vere interferenze straniere nelle elezioni italiane: quelle degli americani e dei governi europei, ma anche della Ue (ultimo esemplare: il commissario Moscovici, lo stesso Nostradamus che nel 2016 vaticinò l’apocalisse “populista” in caso di No al referendum). Ma di questo si occuperà senz’altro la “Task force europea contro le fake news” istituita da Juncker al quarto whisky e composta da 39 “esperti”, fra cui Gianni Riotta. Quindi tranquilli, siamo in buone mani.

venerdì 19 gennaio 2018

'92-'93: gli anni bui e criminali dello Stato-mafia

E' fresco di cronaca il prosieguo della requisitoria che i pm del pool trattativa Stato-mafia – Di Matteo, Teresi, Del Bene e Tartaglia – stanno presentando di fronte a uomini di Stato e Cosa nostra, imputati fianco a fianco nel processo a Palermo. L'accusa di minaccia a corpo politico dello Stato, fil rouge illustrato nelle ultime udienze (riportate dai colleghi Baldo e Pettinari) riguarda i contatti tra personaggi delle Istituzioni – indegni di esserne rappresentanti – e boss di primo livello. Il tutto all'insegna di una trattativa che avrebbe comportato l'estremo sacrificio dei nostri martiri in Sicilia – Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, insieme alla moglie del primo, Francesca Morvillo, e agli agenti di scorta – fino ad arrivare al massacro di cittadini innocenti e di bambini nelle stragi del continente.
Per la Corte d'Assise, presieduta da Alfredo Montalto, sarà poi la volta di ascoltare le difese, che cercheranno una volta per tutte di tirare fuori dai guai i rispettivi assistiti. Tra i quali si staglia la figura dell'ex generale del Ros Mario Mori, personaggio il cui passato al Sid, il vecchio servizio segreto militare, e il suo improvviso allontanamento, è stato oggetto delle indagini di questo processo. Più volte “la spregiudicatezza di Mori, sempre abituato a muoversi come un uomo dei servizi in spregio all'Autorità Giudiziaria” è stata richiamata in aula, facendo riferimento alla testimonianza del colonnello Giraudo. Circostanza evidenziata dal pm Di Matteo insieme alla mole di dichiarazioni di pentiti, testimonianze, intercettazioni e carteggi confluiti nella tesi accusatoria: dalla trattativa politica” tra Ros e Cosa nostra, alla questione di Dell'Utri e Berlusconi, al ruolo di Massimo Ciancimino, il cui contributo va “vivisezionato e valutato” e non “pregiudizialmente cestinato”. Passando per le dichiarazioni di uomini di Stato, come le parole dell'onorevole De Mita, e gli scambi di favori tra mafia, P2, servizi deviati e massoneria deviata che, secondo l'ex ministro Claudio Martelli, si celerebbero dietro la sua “defenestrazione” dal Ministero della Giustizia.
In attesa della sentenza, già dall'evoluzione del processo emerge la storia di un Paese fondato su delitti eccellenti e accordi tra Stato e mafia, l'ombra dei cosiddetti mandanti esterni e delle alleanze che Cosa nostra vanta ad alti livelli. Tutti spunti che, a dibattimento concluso, non devono rimanere a prendere polvere dentro un cassetto, ma diventare input per le procure di Caltanissetta, Firenze e Roma che, per competenza, possono ripartire da qui per gettare luce sui veri assassini di Falcone e Borsellino e di tutti i martiri che questo Stato ha sacrificato.

giovedì 18 gennaio 2018

l’Italia sta peggio di prima

Un evento gravissimo che dovrebbe accendere i riflettori sulla questione della sicurezza nel mondo del lavoro, ma che, magie del Belpaese, viene passato in rassegna come tanti altri fatti di cronaca dalle testate giornalistiche maggiori. Un eco superiore hanno invece altro tipo di notizie, negli ultimi mesi tiene banco soprattutto l’argomento delle molestie sessuali, al quale quotidianamente media e opinion leader dedicano il loro spazio dallo scoppio del caso Weinstein.
Da quando è stato scoperchiato il vaso di Pandora delle avances sessuali nel mondo del Cinema sembra non esistere argomento più importante al mondo, dando in pasto alle masse un fenomeno vecchio come il cucco. Nel mondo dell’arte della politica e del lavoro, le donne sono spesso oggetto di proposte indecenti da parte di impresari, manager, produttori e altre consimili figure di rilievo di tutti questi ambiti, ma è tutt’altro che una novità.
Quello che ci si riserva quasi mai di dire, però è che non sempre la donna è vittima di questo atteggiamento, alzi la mano chi non conosce qualche arrampicatrice sociale che è riuscita a sfruttare abilmente la propria avvenenza per fare carriera. Se Weinstein è andato oltre il limite del consentito, ne pagherà le conseguenze, sono invece stucchevoli certe denunce (spesso del tutto mediatiche), che arrivano anni se non decenni dopo la presunta molestia.
Questioni da gente benestante, che strapperebbero finanche un sorriso se non fosse che la situazione del lavoro e delle classi medio-basse in Italia è decisamente preoccupante. Carlo Soricelli dell’“Osservatorio Indipendente morti sul lavoro” denuncia come dall’inizio dell’anno sarebbero già 30 i morti sul posto di lavoro, una statistica che l’anno scorso è tornata a mostrare segno positivo, dopo anni di progressivo ridimensionamento. Nel 2017 il numero di incidenti mortali rispetto all’anno precedente è aumentato di oltre il 5%.
Jobs Act e Legge Fornero posso essere annoverati come i principali responsabili di questa temibile fotografia della situazione: l’aumento sensibile del limite d’età dei lavoratori e il licenziamento facile hanno aggravato il numero e l’entità degli infortuni. Se la media più alta dell’età dei lavoratori spiega l’incremento degli infortuno, con il Jobs Act si osserva un perverso meccanismo nel quale il lavoratore è costretto ad accettare mansioni più pericolose, pressato dal ricatto di poter perdere il posto all’interno dell’azienda e di ritrovarsi disoccupato in un momento storico dove l’offerta lavorativa è scarsa.

Da un disastro all’altro

Il sorprendente incidente di Milano capita a un anno dalla tragedia di Rigopiano, dove il 18 gennaio del 2017 terremoto e maltempo si accanirono con il Centro Italia, provocando la caduta dell’Hotel/Rifugio di Rigopiano, nel pescarese. In quella circostanza furono ben 29 le vittime, in uno di quegli episodi che l’Italia ricorderà a lungo.
La lunga ondata che ha portato da quel maledetto 24 agosto del 2016 al 26 gennaio del 2017 la piaga del terremoto sull’Italia centrale, ha mostrato un paese inerme, incapace programmare e prevenire il proprio futuro e la propria stabilità, come quella di riprendersi dalle crisi. Dalla scarsa professionalità del Centro di Coordinamento dei Soccorsi, che ha mostrato l’inadeguatezza della Protezione Civile (ancora una volta) nel caso di Rigopiano, agli scandali, quasi telefonati, che sono usciti fuori nella gestione del post-terremoto nelle zone del reatino e dell’Appennino umbro-marchigiano.
Stando ai dati raccolti alla fine dello scorso anno soltanto l’1% delle scuole che erano state previste nella ricostruzione, sono state ultimate, mentre delle casette previste per fronteggiare il periodo della ricostruzione ne sono state consegnate poco meno di un terzo, cifre disastrose alle quali si aggiungono diversi punti oscuri, come il mistero dei 33 milioni di euro donati dagli italiani alle popolazioni colpite dal sisma, dei quali i comuni coinvolti non hanno visto un centesimo.

Un’Italia ferma al palo

Il quadro di un’Italia ferma al palo e che annaspa nei suoi problemi oramai cronici è sempre più nitido. Con il governo Gentiloni nel preciso ruolo di tenere tutto bloccato fino alle prossime elezioni, sistemando per bene clientelismi e consorterie.
I venti miliardi versati dallo Stato nel Fondo Atlante, con ben otto miliardi regalati al Monte Paschi di Siena degli scandali cozzano con il clima di austerity e di scarsi investimenti compiuti dai governi a partire dal 2011 appoggiati dall’attuale partito di governo.
Nonostante gli elogi autoreferenziali e i meriti che si attribuisce il Partito Democratico in questa campagna elettorale, restano cinque anni di legislatura a maggioranza di centrosinistra fallimentari sia per i lavoratori che per le stesse piccole e medie imprese. Un ultimo esempio è il dato dell’ISTAT sulla pressione fiscale: secondo l’istituto statale la pressione fiscale sarebbe diminuita del 2% rispetto al 2012. Tuttavia i meriti che si attribuisce il PD sono fasulli se si considera che la pressione fiscale è rapportata in base al Prodotto Interno Lordo, che è tornato a crescere (ma restando sotto i livelli del 2012), e che dal 2013 siano stati inseriti nel computo del gettito fiscale e del PIL tutto il sommerso relativo alla criminalità.
Discorso simile e più grave riguarda ancora una volta il lavoro. Secondo i dati diffusi da Istat, Ministero del Lavoro, Inps, Inail e Anpal è il lavoro dipendente a intermittenza a trainare il lavoro, nei quali sono compresi quei “contratti” che prima della loro abolizione andavano a voucher. In generale è il lavoro dipendente a tempo determinato a trainare il settore, soprattutto con l’aumento dei contratti di somministrazione. Sono rimasti invece quasi invariati i contratti a tempo indeterminati, mentre sono in calo progressivo i lavoratori indipendenti. Una carneficina di classe media, relativa alle professione, settore impiegatizio, e tecnico-specializzato per il quale, al contrario del PD, c’è poco da gioire.
Anche in questo settore l’anno è cominciato male come il precedente, con la minaccia di chiusura dello stabilimento della Embraco (Whirlpool) a Riva di Chieri nel torinese. A rischio il posto per oltre 500 lavoratori.

Le inutili elezioni del 4 Marzo

Inutile anche sperare che possa cambiare qualcosa con la tornata elettorale di Marzo, a sette anni dal golpe montiano l’Italia è ancora commissariata dall’Unione Europea a conduzione franco-tedesca. Ci ha pensato Moscovici nella giornata di ieri a spegnere sul nascere ogni velleità di rivalsa sovranista nei confronti di un’Europa che si pone nei confronti del nostro paese più come il padrone con lo schiavo che come tra paesi europei, il Commissario europeo per gli affari economici e monetari ha ricordato come l’Italia non dovrà in nessun caso sforare il 3%, nonostante diversi paesi nell’Unione lo facciano impunemente, permettendosi inoltre di dare indicazioni di voto, o meglio fare ostracismo nei confronti del 5stelle.
L’andazzo del nostro paese rimarrà lo stesso degli ultimi 7 anni, dove ai proclami dei politici si contrapporrà la politica reale, quella europea, interessata soltanto a che l’Italia paghi il suo debito alle banche tedesche e francesi. Nessuno degli attuali partiti in lizza per i seggi parlamentari sembra oggi avere voglia o essere in grado di compiere quelle mosse coraggiose che sarebbero necessarie per uscire definitivamente dalla crisi.

mercoledì 17 gennaio 2018

Macron e l'Internazionale del profitto contro la democrazia

Mi domando se i nostri contemporanei abbiano preso coscienza del fatto che non viviamo più in democrazia. Mi domando se abbiano compreso che i nuovi comunicatori non credono più alla democrazia, non più di quanto ci credano i loro padroni che che li incaricano e li dirigono dalle loro isole fortunate cosparse d'oro e palme da cocco al vento. Per quanto mi riguarda, penso che per capirlo, occorra definitivamente assumere il punto di vista dei ricchi, con il loro approccio alla politica vista come scienza e pratica di dominio. Mi sembra indispensabile cogliere la loro intima convinzione, questa convinzione che non esprimono abbastanza ma tradiscono coi loro atti che, messi insieme pezzo a pezzo, ne definiscono nettamente i contorni affilati.
  
Ma ci sono le elezioni, li si sente rispondere, prova che la libertà esiste, che il popolo può ancora scegliere, allontanare i tiranni quinquennali e gli impostori interinali dal Parlamento e dai ministeri. Grazie al suffragio universale, li si può scacciare, si possono informare gli elettori, mostrare loro quali minacce incombono, ed essi sceglieranno, inevitabilmente, il candidato buono, il nemico dei ricchi che i ricchi, che rispettano i risultati, lasceranno governare ed abrogare le “riforme” neoliberiste che ci hanno servito da più di un decennio. Allora, di colpo, sotto i loro occhi rossi di rabbia impotente, crollerà il loro progetto, come un castello di carte: sarà la fine di Maastricht, di Lisbona, dell’Europa, della NATO, del CICE, dell'evasione fiscale, della corruzione, delle connivenze, delle porte girevoli, del nepotismo e della massoneria. Si vareranno imposte obbligatorie e progressive, si decreterà l'eguaglianza per davvero, si elimineranno gli intrallazzi, si crocifiggeranno i profitti indebiti, se ne approfitterà anche per riprendersi i 62 000 euro in eccedenza al ministro del Lavoro di un governo che è insieme sciocco e presuntuoso che fa le fusa strusciandosi sugli stivali insanguinati del capitale.
 
Io non credo che le cose andranno così. Non credo nemmeno che in Francia il popolo dei pensionati, dei piccoli proprietari, dei titolari di piccole rendite e degli arrivisti che si considerano dei vincenti (gli elettori di Macron) voterà un giorno per colui che, in qualche modo, avrà il merito di assomigliare ad una alternativa possibile. E se pure accadesse, anche se tutti questi ignoranti diplomati e soddisfatti si mettessero, come per incanto, a guardare e pensare e a voler cambiare le cose, non li lascerebbero fare. Avete visto che cosa è successo in Honduras, prima con Manuel Zelaya, poi, da ultimo, quando i risultati elettorali non erano convenienti per l'élite? Avete visto come, in Brasile, Dilma Rousseff è stata destituita da un'assemblea golpista dominata dai profittatori e dagli schiavisti? Avete capito quali difficoltà sono state quelle di Hugo Chavez e di Nicolas Maduro, che hanno incontrato nel seno stesso dello Stato venezuelano – e della società PDVSA che gestisce la produzione di petrolio nazionale -, le resistenze che gli spiriti semplici e poco informati si sarebbero attesi venissero piuttosto dall'estero? Allende l’aveva peraltro detto al mondo intero, che realizzare una rivoluzione nel quadro di una struttura politica borghese era quasi impossibile. In ogni caso, non glielo hanno fatto fare in Cile e lui è caduto nel suo palazzo, suicidato secondo i giornali, che non hanno detto da chi…
 
Ecco perché mi sembra urgente cominciare a pensare come loro, come i ricchi che cospirano, che complottano, che ordiscono piani dai loro castelli, i loro uffici e i loro  yacht presto supersonici. Ecco perché è importante capire che, per loro, la democrazia è già morta, che essa non è altro, oggi, che uno scheletro sbiancato e una statua di gesso che circondano il cadavere dei sogni infantili di una popolazione che dovrà accettare, i ricchi non hanno dubbi in proposito, di essere asservita, di essere schiacciata e, quando sarà necessario, di essere sterminata. Perché i ricchi che, in Francia, hanno già all'attivo tanti successi – ricordiamo uno dei più belli, l'adozione a Versailles, il 4 febbraio 2008, del Trattato di Lisbona, solo tre anni dopo il ‘no’ francese al Trattato detto Costituzionale -, questi ricchi che appartengono all'Internazionale in smoking che manovra i suoi fili dalla sua costellazione di banche, di fondi di investimento e di club privatissimi, questi ricchi che non dubitano assolutamente delle loro future vittorie contro le casse degli Stati e le tasche dei salariati, questi ricchi cospiratori che tessono complotti mentre ci ingiungono di non credere alle teorie dei complotti, questi ricchi che hanno deciso di sottomettere il mondo e di ricavarne rendite per l'eternità – non hanno forse predicato la fine della storia per bocca di uno dei loro rappresentanti? – questi ricchi non credono alla democrazia, non vi hanno mai creduto e mai vi crederanno. Ve ne parleranno talvolta, loro e i loro lacchè ronfanti faranno finta di difenderla, ma sarà solo per tranquillizzarvi, perché invece preparano nuove offensive, perché non abbandoneranno mai le loro politiche della porta aperta, i loro progetti di invasione globale che, avvolta negli stracci del diritto e di una buona coscienza diventata comica a forza di essere mimata con la poca serietà che conosciamo, è diventata la mondializzazione, una mondializzazione che si fa scienza, che si fa imparziale e che ha eletto domicilio nei manuali scolastici.
 
Le rovine della democrazia assomigliano a quelle di Dresda, di Hiroshima o di Mosul e quelli che si aggirano tra esse senza vedere che la città è morta avrebbero senz'altro da guadagnare a capire bene, a cogliere bene, a intuire bene il progetto distruttore menato a tambur battente dall'Internazionale del profitto.
 
E' urgente entrare nella testa dei ricchi e capire quanti passi sono avanti a noi. Perché i ricchi vivono già nel futuro che stanno confezionandosi. E le nostre lamentele sono solo  scoppiettii che li infastidiscono un po', molto, con passione, e che vorrebbero cancellare per poter tranquillamente ascoltare in high fidelity, la lussureggiante e proficua filarmonica che è già al culmine nelle loro cuffie futuriste

martedì 16 gennaio 2018

Renzi, De Benedetti e Repubblica: la fine della diversità morale

olti lettori possono aver l’impressione che tutto questo interesse alle vicende che riguardano Carlo De BenedettiRepubblica e il Gruppo Espresso (che ora si chiama Gedi) siano questioni interne alla piccola casta dei giornalisti, regolamenti di antichi conti o sfogo di ambizioni professionali frustrate. Magari c’è pure questo, ma quanto sta succedendo intorno a Repubblica riguarda tutto il Paese o almeno quella parte, in senso lato di centrosinistra, che in quel giornale e in quel gruppo editoriale ha sempre cercato una bussola etica e culturaleben prima che politica. Ne scrivo, pur stando in un giornale concorrente, perché di quel pezzo del Paese ho fatto (e forse faccio) parte anche io, cresciuto leggendo e talvolta ritagliando Repubblical’EspressoMicromegaLimes.

Se mettiamo in fila gli eventi di questi ultimi due anni capiamo che è davvero finita un’epoca. Il Gruppo Espresso si è fuso con l’Itedi, la società editoriale degli Agnelli che pubblica la Stampa, Carlo De Benedetti ha lasciato la presidenza, l’Espresso è diventato un allegato di Repubblica, molti editorialisti hanno lasciato il giornale (alcuni proprio per il Fatto), in una delle più accese battaglie politiche di questi anni, il referendum 2016 sulla riforma costituzionale, Repubblica non ha preso posizione. Il suo direttore Mario Calabresi ha dedicato più editoriali critici al sindaco di Roma Virginia Raggi che all’ex premier Matteo Renzio a Silvio Berlusconi. Il fondatore, Eugenio Scalfari, ha detto che, dovendo scegliere tra Silvio Berlusconi e Luigi Di Maio, preferisce Berlusconi, ridimensionando vent’anni di leggi ad personam e di politiche economiche contrarie a tutto quello che Repubblica e Scalfari hanno sempre professato. De Benedetti ha attaccato Scalfari in una intervista sul Corriere della Sera, ha definito le sue posizioni “un pugno nello stomaco per gran parte dei lettori di Repubblica, me compreso”. Scalfari, che ha troncato ogni rapporto, gli ha risposto martedì da Rai3, a Cartabianca, dicendo che uno arrivato a 94 anni “se ne fotte” di quello che pensa De Benedetti.  


 


Ultima, ma solo in ordine di tempo, la vicenda della speculazione di Carlo De Benedetti grazie alle informazioni avute da Matteo Renzi e dalla Banca d’Italia. Questa, come ha detto l’ex commissario Consob, Salvatore Bragantini, è come minimo “sconveniente”, a prescindere dal fatto che sia reato. Per mille ragioni che provo a riassumere.

Primo: Carlo De Benedetti ha accesso a Renzi e alla Banca d’Italia non tanto perché è (stato) un finanziere di successo – l’impero economico l’ha passato da tempo ai figli – ma in quanto editore di giornali rilevanti. Il non detto di questi rapporti è che il politico o l’uomo delle istituzioni coltiva le simpatie dell’editore convinto di ottenere, per questa via, un trattamento di favore dai giornalisti. E quando poi il giornale dovesse invece dimostrarsi completamente autonomo, si genera la spiacevole telefonata del tipo “Ma come, pensavo fossimo in buoni rapporti…”. In questo si vede che Renzi non è diverso dagli altri politici che voleva rottamare, corteggia gli editori nella speranza di avere trattamenti di favore dai giornali. E De Benedetti non ritiene che invitare a cena ministri e presidenti del Consiglio possa complicare la vita ai suoi direttori ed editorialisti.

Secondo: Carlo De Benedetti, che ha consolidato la sua carriera da finanziere in un’Italia in cui l’uso di informazioni privilegiate per fare operazioni di Borsa non era neppure reato, rivendica la correttezza del proprio operato con questa argomentazione: se avessi saputo davvero qualcosa di specifico, non avrei investito solo 5 milioni ma almeno 20. Autodifesa che diventa ammissione dell’assenza di ogni vincolo etico. Renzi, da parte sua, ha dimostrato di non avere alcun filtro, alcuna prudenza nel gestire provvedimenti e informazioni con un impatto sui mercati. Negli anni 2014-2015 a palazzo Chigi c’era un vorticoso ricambio di consulenti, amici del premier, collaboratori più o meno ufficiali che discutevano di Telecom, Eni, banca Etruria, riforma delle popolari e delle banche di credito cooperativo. Ora abbiamo chiaro con quale prudenza e quale riservatezza. Chissà quanti “casi De Benedetti” ci sono stati di cui non sappiamo.

Terzo profilo sconveniente, nella vicenda Renzi-De Benedetti, quello più rilevante: la reazione del sistema a tutela del potere costituito. Renzi e De Benedetti fanno qualcosa, a gennaio 2015, che può essere reato o non esserlo, che può portare a sanzioni o meno. Dipende dalla valutazione che ne viene fatta. La Consob indaga e decide, nel collegio dei commissari, di non sanzionare. La Procura di Roma, a quanto emerge, praticamente non indaga affatto ma chiede subito l’archiviazione dell’unico indagato, il povero broker che esegue l’ordine d’acquisto di azioni di banche popolari arrivato da De Benedetti. La vicenda esce una prima volta sui giornali dopo gli attacchi di Renzi alla Consob di Giuseppe Vegas, riesplode ora che, con grande fatica, i parlamentari della commissione di inchiesta sulle banche sono riusciti ad avere una parte dei documenti dell’inchiesta da una molto riottosa Procura di Roma.

I punti critici sono vari: per quasi tre anni in tanti, troppi, hanno saputo che incombeva questa bomba su Renzi (incombe ancora, visto che l’inchiesta non è stata archiviata). Non è mai una cosa sana quando un politico sa di essere potenzialmente ricattabile. Poi la Procura di Roma, che tanto zelo ha dimostrato in varie occasioni, non ha davvero niente da rimproverarsi nella gestione del caso? Perché è così importante secretare tutto? Perché il procuratore Pignatone considera grave che il contenuto delle carte sia filtrato dalla commissione banche? Non lo ha mai spiegato. E  quante richieste di archiviazione vengono trattate come se fossero un segreto di Stato?

E quando Vegas è andato allo scontro con il governo, dopo la sua mancata riconferma al vertice della Consob, rivelando gli interessamenti di Maria Elena Boschi su Etruria, sapeva di avere nel cassetto l’arma segreta: tutte le carte di quello che i suoi uffici avevano classificato come insider trading, prima che la Commissione lo archiviasse. Sicuramente non ha avuto bisogno neppure di evocare la vicenda. Lui sapeva, Renzi sapeva, chi doveva sapere sapeva. E tutti si sono comportati di conseguenza.  

E poi ci sono i giornali, parte non irrilevante di questa storia. Il giorno in cui esce la trascrizione della telefonata di De Benedetti con il suo broker, Repubblica non ha la notizia. Succede. Diciamo che è stato uno scoop della concorrenza, anche se di questa fanno parte praticamente tutti i giornali italiani incluso La Stampa, testata dello stesso gruppo editoriale. Il giorno dopo viene dato conto solo del “caso politico” intorno alla telefonata. Poi il Sole 24 Ore pubblica sul proprio sito web in modo quasi integrale il verbale di De Benedetti in Consob dove l’editore di Repubblica si difende e rivela i suoi rapporti con Renzi, Boschi, Padoan, Visco, rivendica perfino di essere stato il primo ispiratore del Jobs Act. Non una riga esce oggi su Repubblica di tutto questo. E, cosa ancora più singolare, solo un francobollo sul Sole 24 Ore cartaceo, che invece spesso ha ospitato gli editoriali di De Benedetti. Scelta bizzarra questa di regalare lo scoop on line ma di non valorizzarlo nell’edizione a pagamento. Gli imprenditori della Confindustria che ricevono ogni mattina la copia del giornale che hanno portato vicino al disastro così non hanno dovuto leggere il verbale del loro collega De Benedetti. Il Corriere della Sera dedica al caso un colonnino. Non è sempre stato così. Negli archivi si trovano ampi e completi articoli, per esempio, su quando alcuni familiari di De Benedetti sono stati sanzionati dalla Consob per 3,5 milioni per un insider trading su Cdb Web Tech, all’epoca uno dei veicoli finanziari dell’Ingegnere.

Durante le feste ho letto un libro di qualche anno fa di Francesco PiccoloIl desiderio di essere come tutti (Einaudi), appena ripubblicato proprio in una collana di allegati a Repubblica. E’ la storia di una maturazione politica e di una scelta individuale di Piccolo, quella di preferire una sinistra del compromesso, pragmatica e disposta a sporcarsi nella pratica quotidiana del potere rispetto a quella che invece rivendica la superiorità morale, una diversità antropologica, che considera chi vota Berlusconi moralmente disprezzabile. E’ la storia di come Francesco Piccolo ha scelto l’Enrico Berlinguer del compromesso storico al posto di quello della “questione morale” e della diversità comunista. E di come ha accettato di essere italiano, nel bene e nel male, invece che considerarsi sempre diverso, una persona un po’ migliore degli italiani raccontati dalla tv, quelli che votavano prima Democrazia cristiana e poi Forza Italia.

lunedì 15 gennaio 2018

Iva e trappole fiscali, stangata da 60 miliardi in tre anni

Altre tasse in arrivo: nei prossimi tre anni è prevista una stangata fiscale superiore ai 60 miliardi di euro. Oltre 30 miliardi in più di tasse corrispondono all'aggravio Iva che farà salire il balzello sui consumi fino al 25% nel 2019-2020. E altri 30 miliardi saranno prelevati dalle tasche dei contribuenti grazie a una lunga lista di misure contenute nella legge di bilancio. Si tratta di trappole fiscali che faranno lievitare il gettito dello Stato: nella manovra sono contenute ben 27 voci, in qualche modo nascoste o comunque poco note, che portano complessivamente a far lievitare le entrate nelle casse dello Stato per complessivi 29,6 miliardi nel triennio 2018-2020. In totale, dunque, i contribuenti italiani, imprese e famiglie, dovranno pagare all'erario 60 miliardi in più.
E' questo, secondo l'analisi del Centro studi di Unimpresa, il conto finale della legge di bilancio approvata dal Parlamento. Il provvedimento sui conti pubblici stabilisce il rinvio dell'aumento dell'imposta sul valore aggiunto al 2019 ed evita, così, un incremento del carico fiscale a carico di famiglie e imprese, per il 2018, pari a 15,7 miliardi.
Ma si tratta di mancati aumenti tributari e non di tagli. E comunque la stretta fiscale è solo rinviata: secondo i calcoli dell'associazione, nel 2019-2020 l'aumento delle aliquote Iva (quella ordinaria dal 22 al 25% e quella agevolata dal 10 all'11,5%) comporterà complessivamente un aumento del gettito tributario superiore a 30 miliardi di euro. Nel 2019, l'incremento sarà di 11,4 miliardi e nel 2020 di 19,1 miliardi per un totale di 30,5 miliardi.
E poi, prosegue Unimpresa, ci sono le 27 trappole fiscali, grazie alle quali lo Stato incasserà 29,6 miliardi aggiuntivi, cifra che porta il totale della stangata a 60,1 miliardi. Nel dettaglio, per quanto riguarda le trappole, nel 2018 il gettito tributario complessivo salirà di 11,7 miliardi, nel 2019 crescerà di 9,5 miliardi e nel 2020 aumenterà di 8,3 miliardi.
Dalle misure sulla fatturazione elettronica derivano aumenti delle entrate per 202,2 milioni, 1,6 miliardi e 2,3 miliardi per un totale di 4,2 miliardi nel triennio. La stretta sulle frodi nel commercio degli oli minerali "vale" 272,3 milioni, 434,3 milioni e 387 milioni per complessivi 1,09 miliardi. La riduzione della soglia dei pagamenti della pubblica amministrazione a 5.000 euro frutta all'erario 145 milioni, 175 milioni e 175 milioni per complessivi 495 milioni.
Dai nuovi limiti alla compensazione automatica dei versamenti fiscali derivano 239 milioni l'anno per tutto il triennio, con un totale di 717 milioni. L'aumento dal 40 al 55% (per il 2018 e per il 2019) e al 70% (dal 2020) degli anticipi delle imposte sulle assicurazioni porteranno più entrate pari a 480 milioni nel 2018 e nel 2020 per 960 milioni complessivi. Il ridimensionamento del fondo per la riduzione della pressione fiscale vale 377,9 milioni per il 2018, 377,9 milioni per il 2019 e 507,9 milioni per il 2020 per un totale di 1,2 miliardi. Le nuove disposizioni in materi di giochi valgono in totale 421,2 milioni (rispettivamente 120 milioni 150,6 milioni e 150,6 milioni).
Sono sei, in tutto, le voci che riguardano le detrazioni per spese relative alla ristrutturazione edilizia o alla riqualificazione energetica: un "pacchetto" che porta a un incremento di gettito, rispettivamente, per 145,3 milioni, 703,7 milioni e 4,3 milioni per un totale di 853,3 milioni. I cosiddetti "effetti riflessi" derivanti dai rinnovi contrattuali e dalle nuove assunzioni portano a maggiori entrate per 1,02 miliardi, 1,08 miliardi e 1,1 miliardi per complessivi 3,2 miliardi.
Il differimento al 2018 dell'entrate in vigore della nuova Iri (imposta sui redditi) "vale" 5,3 miliardi nel 2018, 1,4 miliardi nel 2019 e 23,2 miliardi nel 2020 per un totale di 6,8 miliardi in più di tasse. Altri 4,04 miliardi complessivi, nel triennio in esame, sono legati all'imposta sostitutiva sui redditi da partecipazione delle persone fisiche: 1,2 miliardi nel 2018, 1,4 miliardi nel 2019 e 1,4 miliardi nel 2020. Vi sono, poi, altre 11 voci, piccole misure e interventi vari, che comportano 5,4 miliardi aggiuntivi di entrate nel triennio: 2,1 miliardi nel 2018, 1,8 miliardi nel 2019 e 1,4 miliardi nel 2020.
"Ancora una volta i cittadini e le imprese si preparano ad aprire il portafogli per sostenere i conti pubblici: i contribuenti sono spremuti all'osso, ma la manovra va bocciata per sei motivi", commenta il vicepresidente di Unimpresa, Claudio Pucci.
La manovra, dice il vicepresidente di Unimpresa, "non contiene misure importanti per tagliare le tasse alle imprese, anzi allontana la nuova Iri che potrebbe progressivamente portare a una aliquota unica per le imprese; rimanda il problema della clausole di salvaguardia dell'Iva al 2019, creando ancora una volta incertezza sul prelievo tributario relativo ai consumi, con un aggravio di quasi 20 miliardi di euro che incombe; non interviene sul costo del lavoro, lasciando intatto il cuneo fiscale e il peso dei contributi a carico delle aziende, che ormai non assumono più a tempo indeterminato, ma sono di fatto costrette a creare solo posti a tempo determinato e quindi un esercito di nuovi precari".
E, ancora, prosegue Pucci, la manovra "ignora le esigenze delle famiglie, alle prese con enormi difficoltà soprattutto a causa dell'occupazione in calo e dei redditi in discesa; dimentica la questione del debito pubblico, che continua a rappresentare la principale zavorra per la ripresa economica; non rilancia gli investimenti dello Stato, indispensabili per favorire la crescita del prodotto interno lordo dopo una lunga fase di recessione".

venerdì 12 gennaio 2018

Grecia: i lavoratori costretti a restituire la tredicesima

Diversi datori di lavoro hanno trovato una “ricetta” per riempire i loro registratori di cassa durante i giorni di Natale: hanno chiesto indietro la tredicesima che sono obbligati – per legge – a pagare ai dipendenti.


Le proteste dei dipendenti sono atterrate una dopo l’altra negli uffici dei sindacati.


Patrasso, i lavoratori nei negozi di vendita al dettaglio, ristoranti e imprese di pulizia si sono lamentati con il sindacato dei dipendenti del settore privato che i loro datori di lavoro hanno richiesto indietro il bonus di Natale.
Diverse denunce hanno raggiunto i sindacati anche a Larissa, nella Grecia centrale. Il presidente del Centro per il lavoro locale ha affermato che “non credo di esagerare se dico che nel settore della ristorazione il fenomeno ha toccato l’80% dei lavoratori”.
Tra l’altro ha aggiunto che “una grande catena di negozi ha preteso che fosse restituita la tredicesima, minacciando di licenziare i lavoratori se non avessero obbedito”, aggiungendo che “purtroppo i datori di lavoro richiedono indietro anche parte degli stipendi, adducendo come pretesto le difficoltà economiche”.


Il problema è che i dipendenti non possono dimostrare di aver dovuto restituire il piccolo extra, poiché nella maggior parte dei casi sono costretti a restituire il bonus in contanti subito dopo averlo ritirato al bancomat.

 Episodi simili sono stati segnalati anche nell’isola di Creta.


Secondo quanto riferito, alcune catene di supermercati hanno costretto a restituire il bonus natalizio, dando in cambio agli impiegati un sacchetto di prodotti alimentari.


Non è il primo anno che i datori di lavoro richiedono indietro il bonus natalizio, equivalente a uno stipendio mensile.


La Grecia è in crisi economica, e questo rende i datori di lavoro creativi in ​​modo decisamente pessimo, a prescindere da quello che impone la legge sul lavoro.

giovedì 11 gennaio 2018

MILIARDARI E VITTIME

ra le molte attività redditizie di Bloomberg, c’è un comodo Indice dei miliardari di Bloomberg, che ha pubblicato i suoi risultati per il 2017.
Questo indice riguarda soltanto le 500 persone più ricche e annuncia con orgoglio che hanno accresciuto la loro ricchezza di 1 trilione di dollari soltanto in un anno.
Le loro fortune sono aumentate del 23% fino ad arrivare al piacevole massimo di 5 trilioni di dollari (per mettere le cose nella giusta prospettiva, il bilancio degli Stati Uniti è ora di 3,7 trilioni).
Ovviamente, questo significa una riduzione equivalente per il resto della popolazione che ha perduto quei trilioni di dollari.
Infatti, Forbes, la rivista per i ricchi, afferma che ci sono oltre 2000 miliardari nel mondo, e che questo numero aumenterà e aumenterà velocemente.
Cina
La Cina ha ora superato gli Stati Uniti, con 594 miliardari, se paragonati con i 535 miliardi degli Stati Uniti, e ogni tre giorni nasce un nuovo milionario. C’è anche un club esclusivo di miliardari, il China Entrepreneur Club (il Circolo cinese degli imprenditori) che ammette membri soltanto  con l’unanimità dei suoi attuali 64 membri. Insieme hanno 300 miliardi di dollari, equivalenti al 4,5% del Prodotto Interno Lordo (PIL).
Di norma, la ricchezza cinese è una faccenda di famiglia, il che significa che tra 10 anni lasceranno un’eredità di 1 trilione di dollari, molto probabilmente ai loro figli; fra 20 anni l’ammontare di ricchezza ereditata aumenterà fino a tre miliardi di dollari in 20 anni.
Sappiamo, grazie a un ampio studio dell’economista francese Thomas Piketty, che si occupa di 65 paesi nei tempi moderni, che il grosso della ricchezza proviene da denaro ereditato. Il motivo è che, come tutti sappiamo, il denaro genera denaro.
“La miseria porta miseria, la ricchezza porta ricchezza”
Di fatto, Ronald Reagan aveva iniziato la sua campagna dicendo: “La miseria porta miseria, la ricchezza porta ricchezza” – e perciò dobbiamo tassare i ricchi meno dei poveri.”
Tuttavia, la riforma fiscale di Donald Trump appena adottata negli Stati Uniti, taglia le tasse alle aziende, aumentando così il deficit degli Stati Uniti di 1,7 trilioni di dollari in 10 anni. Nessuno ha, apparentemente notato che il deficit degli Stati Uniti ammonta già a 18, 96 trilioni di dollari o a circa il 104% del PIL dei 12 mesi precedenti.
La riforma fiscale avrà un profondo impatto sull’Europa, trasferendovi molti dei costi della riforma tramite la bilancia dei pagamenti e il commercio. I cinque ministri più importanti della finanza in Europa, compresa il Regno Unito, hanno scritto una lettera di protesta, ovviamente con grande gioia del Presidente Trump che percepisce gli Stati Uniti soltanto come vincitori e tutti gli altri come perdenti.
Tutto questa incredibile quantità di denaro nelle mani di pochi (8 persone hanno la stessa ricchezza di 2,3 miliardi di persone), ci porta a tre considerazioni rilevanti: a) che cosa sta accadendo con il debito mondiale;  b) in che modo i governi stanno aiutando i ricchi a evitare le tasse; c) il rapporto tra ingiustizia e democrazia. Nessuna di queste prospettive dà spazio alla speranza e meno di tutto fiducia nella nostra classe politica.
Il debito mondiale
Iniziamo con il debito mondiale. Non mi ricordo di aver visto un solo articolo su questo argomento alla chiusura dell’anno. Il Fondo Monetario Internazionale ci ha, tuttavia avvisato: il debito complessivo del settore non finanziario è raddoppiato in termini nominali fin dalla fine de secolo, ed è di 152 trilioni di dollari.
Questo è un 225% da record del PIL mondiale. Due terzi provengono dal settore privato, e un terzo dal settore pubblico. Questo è per cresciuto dal meno del 70% del PIL dell’anno scorso, all’85%, un aumento straordinario in un periodo così breve.
Infatti il rispettabile Istituto per la Finanza internazionale stimava che alla fine del 2017 il debito globale – privato e pubblico – avrebbe raggiunto la incredibile cifra di 226 trilioni di dollari, più del triplo dell’annuale produzione economica globale…
Questo non sembra interessare nessuno. Consideriamo, però, lo stato dell’economia americana, e il caso dell’orgoglioso presidente che si vanta dell’indice di crescita, ora valutato al 2,6%.
Ebbene, questo dimostra l’inadeguatezza del PIL come indicatore valido. La crescita è un indice macroeconomico. Se l’80% va a pochi, e le briciole a tutti gli altri, coloro che pagano la maggior parte delle tasse, non è un esempio di crescita; è soltanto un problema in attesa di esplodere.
Inoltre, nessuno pensa all’aumento del deficit. Il debito totale privato alla fine del primo quarto del 2017, è stato di 14,9 trilioni, con un aumento di 900 milioni di dollari in tre mesi.
Mentre i salari sono aumentati dai 9,2 miliardi di dollari del 2014 ai 10,3 miliardi di dollari nel secondo quarto del 2017, il debito delle famiglie è cresciuto da 13,9 miliardi di dollari a 14,9 miliardi, un aumento di un miliardo di dollari in soli 4 mesi.
Crescita? Quale  Crescita?
Di quale crescita stiamo parlando? Di fatto, abbiamo l’86% della popolazione che sta affrontando un crescente debito, che sta diventando tale a causa della concentrazione di ricchezza nelle mani del solo 1% della popolazione.
Questo dovrebbe essere motivo di preoccupazione per qualunque amministrazione, che sia di sinistra o di destra. Infatti non ci sorprende che i 400 uomini più ricchi degli Stati Uniti, con a capo Warren Buffet*, abbiano scritto a Trump, dicendogli che stanno bene e che non hanno bisogno di un rimborso fiscale e che si dovrebbe preoccupare della parte più povera della popolazione.
Il denaro nascosto
Adesso un modo preferito per evitare le tasse, è  di mettere i soldi nei paradisi fiscali
dove sono ben sistemati  tra i 21 e i 30 trilioni di dollari. La rete di giustizia fiscale) riferisce che questo sistema è “fondamentalmente designato e fatto funzionare da un gruppo di specialisti molto ben pagati delle più grosse banche private del mondo (guidate da UBS, Credi Suisse,  e Goldman Sachs), di uffici legali e di società di revisione contabile ed è tollerato da organizzazioni internazionali come il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, l’OECD (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, e il G20.
La quantità di denaro tenuto nascosto, è significativamente aumentata fin dal 2005, evidenziando  la frattura tra i super-ricchi e il resto del mondo. Questo è il motivo per cui c’è stata moltissima pressione per obbligare le banche ad aprire i loro conti all’ispezione fiscale e a fare pressioni sulle Bahamas, Hong Kong, Panama e altri paesi del Terzo Mondo.
Adesso un altro bell’esempio dell’ipocrisia imperante: il recente incontro dei Ministri della Finanza dell’Unione Europea (Ecofin), non è stato in grado di prendere una decisione su qualcosa di nefando: vari paesi membri (Lussemburgo, Regno Unito, Irlanda, Paesi Bassi, Malta e Cipro) ospitano paradisi fiscali sui loro territori.
La regina di Inghilterra ha investito 10 milioni di sterline in un paradiso fiscale inglese. E due stari americani, in particolare il Delaware, hanno paradisi fiscali che sono impenetrabili anche per la CIA e l’FBI.
I paradisi fiscali come le Isole Cayman, l’Isola di Jersey (nel Canale della Manica, n.d.t.) e le Bahamas erano di gran lunga meno permissive, come hanno scoperto i ricercatori, di stati come il Nevada, il Delaware, il Montana, il Dakota del Sud, il Wyoming e lo Stato di New York.
“[Gli Americani] hanno scoperto che in realtà non avevano bisogno di andare a Panama” ha detto James Henry della Tax Justice Network (Rete di giustizia fiscale). L’Ecofin (Consiglio Economia e Finanza)** ha deciso che continueranno a colpire i paesi del Terzo Mondo fino a quando hanno decideranno  che cosa fare in patria.
E quindi l’Occidente proclama principi di trasparenza e di responsabilità, fino a quando può imporli agli altri. C’è, però, un paradosso, per i governi occidentali: se quei paradisi fiscali venissero chiusi, dato che la maggioranza dei depositi arriva dall’Occidente, sarebbero in garo di avere molte più tasse.
Facciamo soltanto l’esempio degli Stati Uniti: l’economista del College Reed, Kim Clausing, stima che l’inversione nei paradisi fiscali e altre tecniche di trasferimento del reddito, abbiano ridotto le entrate di  fino a 111 miliardi di dollari nel 2012.
Inoltre, secondo una nuova proiezione dell’Ufficio di Bilancio del Congresso,  l’erosione della base corporativa  continuerà a tagliare ricevute fiscali  nel decennio prossimo.
Deve essere perciò chiaro che se i governi fanno ridurre gli introiti delle aziende e delle grosse fonti di guadagno, non agiscono nell’interesse del cittadino medio.
“Proteggiamo  i più ricchi”
Traiamo, quindi, le nostre conclusioni. Nessuno presta oggi attenzione al debito mondiale che è sempre più fuori controllo, ma stiamo lasciando il problema alle prossime generazioni, sperando che lo affronteranno. Stiamo mettendo su di loro le ipoteche del debito, del cambiamento di clima e di qualunque cosa possibile, per evitare qualsiasi sacrificio da parte nostra adesso.
Il nostro motto sembra essere: proteggiamo i più ricchi, e che si aspetti meno da loro e di più dagli altri. Nel 1952, le imposte sul reddito delle aziende hanno finanziato il 32% del governo degli Stati Uniti. Questa cifra si è ridotta al 10,6 % nel 2015. Mentre i paradisi fiscali non sono l’unica causa di questo cambiamento, vale la pena notare che la quota de profitti delle aziende riportata nei paradisi fiscali, è aumentata di dieci volte fin dal 1980. E ora arriva da Trump il gigantesco regalo fiscale per le aziende.
Questa politica, nascosta ai cittadini, e mai legittimata da alcun formale atto legale, sta ora diventando evidente a causa del gigantesco aumento di disuguaglianza che non ha precedenti nella storia.
Secondo la Oxfam,* la gran Bretagna avrà maggiore ingiustizia sociale nel 2020 rispetto ai tempi della Regina Vittoria. Il mondo si sta muovendo più velocemente per  gli investimenti e le transazioni finanziarie  e non per la produzione di merci e di servizi che non portano ricompense immediate. Si stima che con un trilione di dollari si può comprare la produzione mondiale giornaliera di merci e servizi.
Quello stesso giorno le transazioni finanziarie raggiungono i 40 trilioni di dollari. Questo significa che per ogni dollaro prodotto  dalle mani dell’uomo, ci sono 40 dollari creati dalle astrazioni finanziarie.
Globalizzazione
La globalizzazione sta, ovviamente, ricompensando i capitali, non gli esseri umani. Ebbene, questo sta avendo un impatto sulla politica, e non il migliore.
C’è dappertutto un numero crescente di perdenti, specialmente nei paesi ricchi, anche a causa dello sviluppo tecnologico  e del cambiamento nei consumi. Un esempio classico sono le miniere di carbone che Trump vuole che risorgano, per fare di nuovo grande l’America.
Il carbone, però sta venendo inesorabilmente eliminato a causa delle preoccupazioni per il clima (anche se non sufficientemente in fretta), e l’automatizzazione riduce considerevolmente il numero di lavoratori da impiegare. Nel 2040 i robot saranno responsabili del 42% della produzione di merci e servizi, rispetto all’attuale 16%. Questo significa circa 86 milioni di nuovi disoccupati, soltanto in Occidente, secondo l’organizzazione Internazionale del Lavoro.
Coloro che vengono lasciati fuori dai benefici della globalizzazione guardano i vincitori che considerano ben collegati al sistema. Questo ha come conseguenza la globalizzazione del risentimento e della frustrazione che in pochi anni ha provocato l’aumento dei partiti di destra in tutti i paesi europei, ha innescato la Brexit e Trump. Una volta la sinistra era il portabandiera della battaglia per la giustizia sociale. Adesso è la destra!
Infine, la globalizzazione ha perduto il suo splendore, ma non il suo potere. La discussione ora è sul modo in cui de-globalizzare; la cosa preoccupante è che il dibattito non è come portare il processo al servizio dell’umanità, ma come impiegare il populismo e il nazionalismo e la xenofobia  per “fare di nuovo grande l’America”, per aumentare gli scontri e i conflitti.
Troppo tardi?
Le organizzazioni internazionali come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale – che per decenni hanno sostenuto che il mercato è la sola base per il progresso e che, una volta che sia a posto un mercato totalmente libero, l’uomo e la donna comune ne sarebbero i beneficiari – hanno fatto inversione di marcia.
Ora parlano tutti  della necessità che lo stato sia di nuovo l’arbitro dei regolamenti e dell’inclusione sociale, perché hanno scoperto che l’ingiustizia sociale è un freno non soltanto per la democrazia, ma anche per il progresso economico.
Malgrado, però, tutti i mea culpa, sono piuttosto in ritardo. Il genio è uscito dalla lampada e i poteri non tentano neanche di rimetterlo dentro. Totale ipocrisia, interessi acquisiti e una mancanza di visione, hanno purtroppo sostituito la politica.