mercoledì 31 dicembre 2014

ILVA, “regalo” natalizio di Renzi ai tarantini

Una strenna dell’ultim’ora sotto l’albero. Il 24 dicembre, mentre ormai già volgeva a termine la frenesia consumista degli acquisti natalizi dell’ultim’ora (per i, ogni anno di meno, pochi che ne sono partecipi), Renzi annunciava in conferenza stampa i provvedimenti del consiglio dei ministri “natalizio” appena concluso, tra cui un nuovo decreto ILVA. Durissimo il commento dell’Associazione PeaceLink, autrice di alcuni degli esposti da cui ha preso avvio l’attuale “stagione giudiziaria” sul colosso siderurgico e di altri in sede di Commissione Europea (dai quali stanno scaturendo provvedimenti nei confronti dell’Italia). Per l’associazione ambientalista il decreto (il settimo!) mette a disposizione “soldi pubblici” in “quantità irrisoria” che “non serviranno che a pagare un terzo del debito che ILVA ha con le banche” e che verranno sottratti “fondi europei FESR e di coesione sociale che dovrebbero essere invece investiti a favore dello sviluppo, della ricerca e dell’innovazione sostenibili”.
“I cittadini di Taranto – ormai senza più tutele ambientali – rimandano al mittente il regalo di Natale di Renzi”, scrive PeaceLink.Il decreto, accusano gli esponenti dell’associazione Alessandro Marescotti, Luciano Manna e Antonia Battaglia, violerebbe le normative europee e l’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) così non garantirebbe più la salute dei cittadini tarantini. “Lo Stato rinuncia definitivamente ad investire nelle migliori tecnologie” e “i tempi di completamento dell’autorizzazione ambientale AIAsi dilatano in maniera indefinita” che per PeaceLink rappresenta un “salvacondotto penale al Commissario che guiderà l’ILVA” (il decreto prevede 3 “manager pubblici”).
Durissima la presa di posizione degli ambientalisti taranti che invocano l’intervento della Commissione Europea alla quale chiedono di sanzionare “nuovamente il Governo Italiano” che, con quest’ultimo decreto, peggiorerebbe l’AIA (che già, accusano, non è mai stata rispettata nelle “sue parti più significative”) aggiungendo subito dopo “non è vero (come affermato da Renzi) che l’AIA Ilva sia troppo severa e non è vero che nel resto dell’Europa non sarebbero in vigore le norme impiantistiche prescritte per l’Ilva di Taranto. A tal fine, basta consultare il sito del Ministero dell’Ambiente per documentarsi: le nuove Best Available Techniques (BAT) sono entrate in vigore in Italia in data 8 marzo 2012. E sono state approvate dall’Europa il 28 febbraio 2012 diventando quindi valevoli per tutti gli stati europei. Ma questo Renzi non lo dice, producendo un effetto distorsivo dell’informazione”. PeaceLink esprime quindi “sbigottimento per le parole del premier Renzi, che afferma di voler venire in soccorso dei bambini di Taranto prevedendo di non applicare le norme europee che prevedono tecnologie meno impattanti” arrivando quindi a rendere “meno stringenti i limiti emissivi per l’ILVA e andando quindi contro la legge”. “La produzione ed il funzionamento degliimpianti attuali dell’Ilva (che sono attualmente sotto sequestro penale) avevano alla base un obbligo non rispettato: lo stretto rispetto del cronoprogramma AIA. Questo obbligo era stato indicato dalla Corte Costituzionale già nel maggio 2013. Il primo decreto Salva-Ilva (dicembre 2012) è stato infatti dichiarato costituzionale a condizione che il cronoprogramma AIA venisse rispettato entro il 2014” evidenzia il comunicato di Alessandro Marescotti, Luciano Manna e Antonia Battaglia che sottolineano il “ruolo fondamentale assunto dalla Commissione Europea nel garantire il rispetto delle norme ambientali, in linea ed in perfetta continuità con l’azione della Magistratura tarantina” (PeaceLink per questo “invierà una lettera al Presidente della Commissione Europea per segnalare in maniera dettagliata la gravità delle violazioni di diverso tipo presenti nel decreto del governo italiano”) aggiungendo che s’impegneranno per “un piano B che salvi Taranto e i suoi lavoratori dalla catastrofe attraverso i fondi europei per le aree di crisi industriale”

venerdì 26 dicembre 2014

Confcommercio: nel 2014 sparite 260 imprese al giorno

Recessione, crollo degli acquisti e calo della domanda interna. Sono questi i principali fattori che, secondo l’Osservatorio sulla demografia delle imprese di Confcommercio, rendono negativo il saldo fra aperture e chiusure di realtà commerciali: quasi 78mila imprese in meno.
Stando ai numeri diffusi nella giornata di ieri, nei primi dieci messi dell’anno sono state in media 260 ogni giorno le attività che hanno chiuso. I dati -in peggioramento rispetto al 2013- si riferiscono alle sole imprese del terziario, vale a dire le realtà del commercio al dettaglio, del turismo e dei servizi. Cali ancora più marcati si hanno scendendo nel dettaglio delle statistiche: 25mila imprese in meno nel commercio al dettaglio, 13mila nella ristorazione e oltre 26mila nei servizi. L’unico dato in controtendenza è quello del commercio ambulante, che mostra un aumento di 1600 unità.

Le aree geografiche più colpite sono state quelle del Mezzogiorno e del Nord ovest, dove i saldi negativi mostrano i maggiori valori sia in assoluto che in termini percentuali.

martedì 23 dicembre 2014

La doppia fregatura sul Tfr: in busta paga e ai fondi previdenziali

Le espressioni dialettali per qualificare le fregature che ogni governo regala ai cittadini sono numerose quanto i marchi "dop". E non ce n'è una che non sia un insulto. Dopo averne cercate inutilmente di "scrivibili", vi affidiamo il compito - se volete misurarvi con il tema - nei commenti.
La legge di stabilità (la ex "finanziaria" è stata approvata con voto di fiducia notturmo al Senato, senza che nemmeno i senatori avessero avuto il tempo di leggere il testo del "maxiemendamento" presentato dallo stesso governo al suo proprio testo. Chi blatera di democrazia dovrebbe pudicamente tacere, quando la legge più importante dello Stato viene fatta passare solo grazie a "peones" senza qualità disposti a dire sì a qualsiasi cosa pur di non perdere la poltrona anzitempo.
Idem per quanto accadrà stasera, stanotte o domani alla Camera.
Il testo è ormai definitvo, il dibattito parlamentare inesistente (scaramucce a beneficio di telecamere a parte), quindi si può esaminare il contenuto. Infinito, naturalmente. Prendiamo perciò per le corna un primo tema perché riguarda i lavoratori dipendenti assunti con qualsiasi formula contrattuale: il tfr (trattamento di fine rapporto o liquidazione).
Questa veneranda istituzione che permette a ogni lavoratore di accantonare un tredicesimo della retribuzione per incamerarla in un solo colpo alla fine del contratto di lavoro viene sottoposta da Renzi e dal suo esperto Padoan a una doppia fregatura.
La prima misura riguarda la possibilità - su base volontaria, dicono; ma quanti possono davvero scagliere sulla base di stipendi miserevoli? - di farsi accreditare mensilmente quella quota in busta paga. Direte voi: meglio pochi maledett e subito, che problema c'è? Il problema è tassazione. Se vi fate accreditare il tfr in busta paga è possibile - per una percentuale rilevante di lavoratori è certo - che questo determinerà un "aumento di stipendio" che vi porterà al passare all'aliquota fiscale superiore. In pratica: vi metterano (per ipotesi) 100 euro lordi in più, ma ne potreste avere un po' di meno netti. Insomma: se decidete di volerli subito ne avrete anche di meno.Non basta. Anche se decidete di lasciarli dove sono, è stata innalzata dall'11,5 al 17% l'aliquota sulla rivalutazione (la maturazione degli eventuali interessi) del trattamento di fine rapporto. A differenza delle prime ipotesi, il governo al Senato non ha ritoccato questo punto.Sono soldi nostri, preferiscono tenerseli loro
Seconda fregatura. Ricordate tutta propaganda fatta per costringerci a sottoscrivere una "previdenza integrativa privata"? La motivazione era chiara: quella pubblica non vi basterà per sopravvivere, quindi vi serve la "seconda gamba". Per facilitarvi la scelta, avevano anche messo una tassazione di favore sul tfr girato ai fondi pensione. Una volta deciso di ritirare la cifra tutta intera o di incassare mensilmente un secondo assegno pensionistico, sareste stati tassati all'11,5%. Un contratto è per sempre, perché nonn fidarsi?
Perché un governo come questo poteva in qualsiasi momento di aumetare la tassazione. E Renzi l'ha fatto: l'aliquota sale al 20%. Con buona pace dei vistri sogni di gloria da pensionati.
Attenzione però: se voi ci perdete, c'è qualcun altro che invece non ci perde nulla. In effetti, un aumento così forte della tassazione (l'8,5% in più) poteva incidere anche sull'appetibilità dei fondi pensione privati. A favore di questi, quindi, Renzi ha deciso che "per compensare" (c'è scritto proprio così...) i fondi privati viene fissato un credito di imposta (per un totale massimo di 80 milioni a favore delle Casse previdenziali (del 6%) e Fondi pensione (del 9%).
Questa erogazione (tecnicamente: la possibilità di defalcare una certa quota delle tasse dovute dal fondo privato) è però condizionata alla "scelta" dei gestori dei fondi: se decideranno di investire in economia reale, in progetti infrastrutturali. La compensazione scatterà dal 2016 per la parte di investimenti realizzata nel corso del prossimo anno e sarà a «rubinetto», ovvero limitata alle risorse messe in campo.
In realtà, anche per i gestori dei fondi, il guadagno non è alto; ma soprattutto diventa incerto. Ma non è su in loro favore che si deve spargere qualche lacrima.
Tutte le cose fi qui dette, infatti, sono semplicemente un modo per spolpare fette di tfr (sottili, se riferite a ogni singolo individuo, enormi se ci fa la somma di milioni di dipendenti). Ovvero di stipendio, se è vero - come è vero - che il tfr è "salario differito".

lunedì 22 dicembre 2014

Nasce a Bolzaneto l’inquietante legalità di Marino

Dall’inferno di Bolzaneto al Campidoglio, per garantire la legalità nel rimpasto della Giunta Marino. Si parla di Alfonso Sabella, pm e, all’epoca di Genova 2001, inviato del Dap a supervisionare il carcere provvisorio per le retate di manifestanti.

Il primo atto di indagine della procura di Genova su quanto accaduto nella caserma lager di Bolzaneto nelle giornate genovesi fu nei confronti del responsabile della struttura detentiva di Bolzaneto: il magistrato Alfonso Sabella. Fu ascoltato il 1° agosto 2001, ad appena nove giorni dalla fine del G8. Ex sostituto procuratore a Palermo al fianco di Giancarlo Caselli, Sabella nei giorni dei fatti di Genova era il dirigente della polizia penitenziaria, inviato a Genova dal Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

Prima di essere smentito dalle deposizioni dei torturati a Bolzaneto, Sabella, scolpì negli atti – e sulle agenzie – che “la Polizia Penitenziaria a Bolzaneto ha gestito due camere di sicurezza dove non ci sono state violenze”. Il 29 agosto Sabella insisteva nel minimizzare quanto accaduto: “E’ probabile che ci siano stati singoli e isolati comportamenti, che potrebbero anche costituire dei reati, ma allo stato non emerge assolutamente una situazione di confusione o di disorganizzazione riconducibile al dipartimento dell’amministrazione penitenziaria”.

“Per quanto potevo constatare allora tutto si era svolto tranquillamente. Ora, invece, abbiamo più di qualche dubbio che non sia stato effettivamente così”. Ma lui dov’era?, si chiede il sito Misteri d’Italia. Era a Bolzaneto: “Mi ci recavo tre-quattro volte al giorno e anche qui non ho visto niente di particolare, se non il fatto che gli arrestati venivano fatti sostare in piedi, con le mani alzate addosso al muro”. Una cosa, quindi, assolutamente normale in tutte le carceri…

L’11 maggio 2004, quando i magistrati formulano le loro richiesta di rinvio a giudizio per 47 persone tra poliziotti, secondini, carabinieri e medici presenti a Bolzaneto, la posizione di Sabella viene stralciata e destinata ad essere archiviata. Così fu chiesto il 31 marzo 2005: “Risulta, per sua stessa ammissione, che Sabella ebbe a vedere personalmente che i detenuti nelle celle erano tenuti nella posizione vessatoria in due occasioni. Da ciò e dal non avere dato l’ordine di fare immediatamente sedere i detenuti potrebbe inferirsene una responsabilità quanto meno ex art. 608 cp, stante la posizione di garanzia rivestita dal magistrato che comportava anche un dovere di controllo”. I pm aggiungono però: “Peraltro, da un lato la già rilevata intermittenza della presenza in Bolzaneto del magistrato non consente di ritenere la consapevolezza del perdurare della posizione vessatoria e ciò tanto più perché aveva dato ordine a Gugliotta (responsabile della sicurezza della caserma di Bolzaneto, ndr) di contenerla in un tempo massimo di un quarto d’ora e perché non vi erano ragioni di pensare che il proprio ordine sarebbe stato invece disatteso; dall’altro lato deve osservarsi che, secondo il suo incarico, il magistrato aveva il compito di ‘organizzare il controllo e non quindi di effettuarlo personalmente (non essendo tra l’altro Ufficiale di Polizia Giudiziaria) e che indubbiamente la precisa individuazione – effettuata da parte del magistrato – di responsabili per ciascun settore del sito (ispettore Gugliotta per la sicurezza, ispettore Tolomeo per la matricola, dottor Toccafondi per l’Area Sanitaria, Capitani, Cimino e Pelliccia per il servizio traduzione) può ritenersi adempimento dell’obbligo di organizzazione del controllo”.

L’archiviazione arriverà il 25 Gennaio 2007. A cinque anni e mezzo dagli orrori della Bolzaneto, il Gip Lucia Vignale archivia la posizione del magistrato che però nell’ordinanza scrive: “Sabella non adempì con la dovuta scrupolosa diligenza al proprio dovere di controllo e non impedì il verificarsi di eventi che avrebbe dovuto evitare”. E più avanti aggiunge: “Sarebbe stato opportuno cercare di comprendere ciò che, pur nella confusione e nella difficoltà del momento, poteva essere almeno intuito. In questo senso si può affermare che il comportamento del dott. Sabella non fu adeguato alle necessità del momento”.

L’Associazione Giuristi Democratici di Roma è piuttosto angosciata per la scelta del Sindaco di Roma Capitale, Ignazio Marino, di prendere in considerazione per l’incarico di assessore alla legalità proprio Alfonso Sabella. “Ciò, nel ricordo dell’operato dello stesso nelle drammaticamente storiche giornate del G8 di Genova 2001. In quel contesto, ormai universalmente definito come la più grande sospensione dei diritti di democrazia in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale, il Dr. Sabella si trovò a operare quale coordinatore dell’organizzazione e del controllo su tutte le attività dell’amministrazione penitenziaria, che si svolsero anche nella caserma N. Bixio di Bolzaneto. I comportamenti illegali, i trattamenti inumani e degradanti inflitti agli ospiti di tale struttura ad opera di alcuni degli agenti ivi presenti sono ormai dato incontrovertibile. In quel quadro, «il comportamento del dott. Sabella non fu adeguato alle necessità del momento. Egli fu infatti negligente nell’adempiere al proprio obbligo di controllo, imprudente nell’organizzare il servizio (…) imperito nel porre rimedio alle difficoltà manifestatesi”, scrivono citando l’ordinanza e ricordando che Sabella “non impedì il verificarsi di eventi che sarebbe stato suo obbligo evitare”.

Per i giuristi democratici tutto ciò dimostra che, “sebbene l’operato del Dr. Sabella non sia stato ritenuto illecito, lo stesso non è stato ritenuto in grado di svolgere i ruoli organizzativi e di controllo sulla commissione di reati affidatigli, avendo per di più creduto alle giustificazioni di chi fu poi condannato per quei fatti gravissimi, circa il trattenimento dei fermati in piedi, faccia al muro e mani in alto; e ancora avendo, fin da subito, affermato pubblicamente che «A Genova l’operato degli agenti penitenziari è stato esemplare». Sicuramente, non è questo il viatico che può accompagnare chi si appresta a ricoprire un incarico quale quello per il quale il Dr. Sabella sarebbe stato prescelto”.

giovedì 18 dicembre 2014

Contaminazione da rifiuti tossici nelle basi militari Usa

Le forze armate statunitensi sono i più grandi inquinatori del mondo. Soprattutto nei teatri di guerra. Durante i conflitti. Gli effetti si manifestano dopo molto tempo. In particolare in Iraq e in Afghanistan. Deserti tossici: grandi aree a rischio, inadatte alla vita umana. Le operazioni militari generano centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti tossici. Agenti cancerogeni pericolosi: tra cui uranio impoverito, metalli pesanti, sostanze chimiche pericolose, materie plastiche, solventi, amianto, pesticidi, combustibili del petrolio, funghi e batteri. L'avvelenamento dell'aria, dell'acqua e del suolo impattano sulle popolazioni locali e sulle forze Usa, causando immaginabili problemi di salute. Molti a lungo termine. Debilitanti. Altri potenzialmente fatali. Tra cui cancro, malattie cardiache, diabete, disturbi gastrointestinali, renali e malattie del fegato, delle vie respiratorie, della pelle e altre infezioni, asma, soppressione del sistema immunitario, ulcere, difetti di nascita, forti mal di testa, stress emotivo, problemi polmonari, disfunzioni sessuali e diarrea cronica.

Fosse estese su decine di ettari che bruciano a cielo aperto, sono tra le cause di maggior responsabilità dei danni ambientali e alla salute. Sono utilizzate per bruciare i rifiuti. In particolare in Iraq e in Afghanistan. Questi inceneritori sperimentali quando utilizzati rilasciano durante l'incenerimento metalli pesanti, sostanze chimiche tossiche incombusti, ne generano di completamente nuove. Centinaia. Potenzialmente migliaia. Molte non identificate. Molto più tossiche dei rifiuti bruciati inizialmente. Persistono a lungo termine, producendo contaminazione permanente. Una volta rilasciate queste sostanze viaggiano a grandi distanze. Attraverso l'aria e l'acqua. La contaminazione è globale.

Impattano sul cibo e l'acqua utilizzata per alimentazione. Sull'aria che si respira. Secondo i dati di EPA [Agenzia di tutela dell'ambiente, ndt]: "Le emissioni scaturite dall'incenerimento incompleto dei rifiuti e gli sversamenti accidentali possono rilasciare tanto o addirittura più materiale tossico nell'ambiente che le emissioni dirette".

Le esplosioni e gli incendi rilasciano tossine. Alcune potenzialmente catastrofiche. Un documento delle forze aeree statunitensi dice: "Bruciare rifiuti solidi in una trincea a cielo aperto genera numerosi inquinanti. Questi inquinanti sono diossine, particolato, idrocarburi policiclici aromatici, composti organici volatili, monossido di carbonio, esaclorobenzene e cenere".

"In quasi tutti i processi di combustione vengono prodotte piccole quantità di diossine altamente tossiche, che arrivano a livelli elevati con la combustione dei rifiuti in plastica (ad esempio le bottiglie di acqua potabile) in particolare se la combustione non avviene a temperature elevate". "La combustione inefficiente di rifiuti medici o degli scarti delle latrine può agire come aerosol pregni di agenti batterici".

Nell'ottobre 2008, un report di US Military Times titolato Army making toxic mess in war zones, riprendeva un rapporto di Rand Corp. che descrive "casi di rifiuti pericolosi scaricati in fossati, soldati che montano tende su aree dove incidono perdite di carburante, militari esposti a gas di cianuro durante i dispiegamenti d'oltremare". DOD [Dipartimento della Difesa, ndt] "non ha una politica generale per garantire che gli incidenti ambientali in Iraq e in Afghanistan non danneggino la salute delle truppe, ed eviti la disputa politica e i costi dell'attività di pulizia quando è il momento di lasciare quei paesi". "Quando le considerazioni ambientali non sono inserite nella pianificazione e nelle operazioni, le missioni dell'esercito possono essere più difficili. A tutt'oggi le considerazioni ambientali non sono ben inserite nella pianificazione dell'esercito in ciascuna fase delle operazioni".

Il rapporto intitolato Green Warriors: Army Environmental Considerations for Contingency Operations from Planning through Post-Conflict; afferma che: "I contractors del DOD stivano gli oli esausti in discariche in Iraq. Poi rivendono i barili. "I soldati americani in Afghanistan hanno sepolto fusti contenenti liquidi non identificati. Più tardi si è scoperto che sono pericolosi, e causano contaminazione del suolo e delle acque sotterranee.
Un aeroporto in Iraq ha perdite dai serbatoi di carburante. Insorgono gravi problemi di salute ogni qualvolta sia necessario scavare.

I comandanti in Iraq installano le aree di smaltimento dei rifiuti pericolosi nei pressi dei perimetri del campo.
Gasolio di prima scelta è stato rovesciato in un lago in Iraq, utilizzato per l'acqua potabile.
Le forze degli Stati Uniti in Iraq hanno smaltito impropriamente insetticidi, prodotti petroliferi e altri materiali pericolosi.

Nell'agosto del 2010, il corrispondente del New York Times James Risen ha sollevato una discussione circa le conseguenze causate dalla combustione di rifiuti tossici. Ha raccontato dell'ex sergente Susan Clifford, una delle tante vittime, a causa della discarica dei rifiuti nella base di Balad Air "in una enorme fossa all'aperto". "Ogni sorta immaginabile di… " plastica, batterie, elettrodomestici, medicine, animali morti, anche parti di corpo umano", venivano incendiate "attraverso l'irrorazione di combustibile". Clifford nelle sue visite bimensili descrive "un enorme pennacchio di fumo nero appeso sopra il pozzo che si diffonde su tutta la base, quasi accecante".

Clifford era un bravo corridore. Nel 2005, ha iniziato con tosse e catarro, l'insorgenza di problemi di respirazione, difficoltà a lavorare all'aperto, oltre l'impossibilità di allenarsi fisicamente. I suoi sintomi peggiorano e si fecero seri. I medici hanno diagnosticato che i polmoni erano pieni di liquidi. Cosa mai vista prima, tanto da renderli incerti sul da farsi. Nell'aprile 2010, Clifford si è ritirata dal servizio militare con invalidità totale.

"Uno dei primi veterani a cui è stato riconosciuto con una decisione ufficiale che l'esposizione alle fosse combustibili in pieno campo nelle basi americane in Iraq e in Afghanistan, hanno causato problemi di salute" ha commentato Risen.

Numerosi altri soldati sono stati colpiti nello stesso modo. Funzionari del Pentagono minimizzano il problema fino ad oggi.

Al contempo, Dr. Michael Kilpatrick, vice direttore del Programma di tutela della salute e di pronto intervento, ha detto che: "Non vi sono evidenze mediche... che indicano la correlazione di qualsiasi malattia o malattie specifiche con l'esposizione dei fumi delle combustioni".

Recentemente, nell'estate 2014, i funzionari del Veterans Affairs hanno sostenuto che nessuna prova dimostra che le tossine bruciate nella cave causano problemi di salute a lungo termine".

La verità è l'opposto. L'esperto pneumologo Dr. Robert Miller ha trattato decine di soldati dall'Iraq e constatato una respirazione insolita e malattie polmonari. Ha supposto un collegamento con l'esposizione ai fumi. Un problema enorme, di cui soldati sono maggiormente a conoscenza dei medici. Le sue competenze sono richieste "in tutto il paese". I soldati di ritorno e i veterinari necessitano del suo aiuto.

Di aiuto è anche Sciencecorps che si autodefinisce "una rete informale di operatori sanitari che lavorano sulle questioni ambientali e occupazionali basandosi sui campi della tossicologia, dell'epidemiologia, della medicina e altre aree tecniche". "Lavoriamo per rafforzare la tutela della salute pubblica e della consapevolezza attraverso la sensibilizzazione e l'educazione".

Studiano i "rischi per la salute dei prodotti chimici di uso comune nelle basi militari" e sostengono che "l'esposizione tossica tra il personale degli Stati Uniti è conclamata". "La prova di contaminazione tossica è indiscutibile. Gli effetti umani sono devastanti".
"Il nemico che conosci è molto meno pericoloso di quello che non conosci" sostiene Sciencecorps. DOD opera in modo irresponsabile, lasciando il personale statunitense in balia di tossine pericolose e senza allerta dei potenziali pericoli o fornendo equipaggiamenti protettivi inadeguati.

La maggior parte delle basi statunitensi in patria e all'estero sono contaminate. L'esposizione provoca malattie, disabilità e danni intergenerazionali, per i veterani e le famiglie. I grandi pozzi che bruciano all'aperto producono nubi tossiche di sostanze chimiche, create durante l'incenerimento. L'esposizione (anche in piccole quantità) provoca danni potenziali per ogni organo del corpo, innescando una catena di processi biologici che prima o poi si manifestano.

Secondo Sciencecorps, i problemi di salute dipendono "da una serie di caratteristiche individuali: i tempi di esposizione, il canale di esposizione (attraverso inalazione, ingestione o esposizione della pelle) e suscettibilità individuale". "La suscettibilità individuale è determinata da differenze genetiche, dalle condizioni di salute attuali e precedenti, dalle esposizioni passate e in corso ad altri prodotti chimici e fattori di rischio, dalla dieta, dallo stile di vita, dall'età, dal genere e altre variabili personali".

La maggior parte dei veterani sa poco delle esposizioni tossiche. Dimostrare la causalità chimica non è facile, ma è fondamentale per ottenere l'aiuto di Veterans Affairs (VA).

Molte sostanze chimiche pericolose sono genotossiche. Danneggiano il materiale genetico delle cellule, causando mutazioni. Innescano mutazioni negli organi e determinano lo sviluppo del cancro o di altre malattie, di solito molto tempo dopo che i militari lasciano il servizio e ciò rende più difficile ottenere i benefici del VA.

Quando il personale militare Usa entra in servizio non ha idea di quello che gli aspetta. I nemici delle zone di guerra sono meno pericolosi dei contaminanti ambientali. Le malattie future superano il numero di vittime sul campo di battaglia. E' il costo occulto della guerra, che interessa centinaia di migliaia di truppe e veterinari…. oltre le popolazioni locali. E' il prezzo per l'avanzamento dell'imperium statunitense.

mercoledì 17 dicembre 2014

Sanità al collasso: cittadini pagano sempre di più di tasca propria

E' l'incubo di tutti: quello di vedere sgretolarsi il sistema sanitario nazionale. Già ora, complici file interminabili agli ospedali, malasanità e disservizi, molti cittadini italiani si rivolgono alla sanità privata. Molti - è bene precisare - di quelli che se lo possono permettere, visto che rimane un'ampia fetta che non potrebbe sostenere i costi altissimi di strutture non pubbliche.

Nuovi dati allarmanti sulle condizioni del SSN - sistema sanitario nazionale - arrivano con il Compendio SIC-Sanità in Cifre 2013, che è stato appena presentato da Federanziani.

A dispetto degli sforzi dello Stato centrale e delle Regioni di contenere la spesa pubblica, quella della sanità cresce ancora. Tanto che nel 2012 è arrivata a 113 miliardi di euro; ancora peggio, se si prende in considerazione l'arco temporale degli undici anni compresi tra il 2002 e il 2012, con un differenziale tra la spesa sanitaria di 34 miliardi di euro tra il primo e l'ultimo anno, si arriva a capire che si è verificato un balzo +43% della spesa sanitaria nazionale.

Ma ad aumentare è anche la spesa pro capite nazionale, che si attesta a 1.903 euro nel 2012, con un +4,5% negli ultimi quattro anni e ben +34% dal 2003.

Nullo l'effetto della decisione di ridurre l'attività ospedaliera: nel 2012 si è verificata di fatto una sensibile diminuzione del volume di ricoveri e di giornate di degenza erogate rispetto al 2010: circa 1 milione di ricoveri e 5,2 milioni di giornate di degenza in meno. Ma anche se la Spending Review ha ridotto ulteriormente di 7.400 il numero di posti letto a partire dal 1 gennaio 2012, e anche se calano le attività per acuti, la spesa sanitaria cresce.

L'SSN è presentato alla stregua di un mostro intasato da 1 miliardo e 365 milioni di prestazioni erogate ogni anno. E aumenta sempre di più il numero di chi deve pagare di tasca propria le spese per curarsi e a volte deve anche abbandonare l'idea, in quanto non ce la fa in termini economici.

Dell'ammontare delle prestazioni, in media ne vengono erogate 22,7 a cittadino, delle quali il 30-40% sarebbero evitabili o ingiustificate.

E intanto l'Italia diventa sempre più vecchia. La proporzione di over 65 cresce dal 20,2 del 2010 al 21,4 del 2014. E gli oneri per i cittadini crescono anch'essi, dal momento che i ticket sono balzati +10% negli ultimi 3 anni.

martedì 16 dicembre 2014

Incubo Grecia, a rischio liquidità da marzo. Ue trema

Nel caso in cui dovessero essere indette elezioni anticipate, la Grecia rischierebbe di finira a corto di liquidità a partire dal prossimo marzo.

L'alert è stato lanciato dal ministro delle Finanze Guikas Hardouvelis, in una intervista al quotidiano Naftémporiki. La probabilità di un ritorno alle urne non è da sottovalutare. Se il Parlamento non dovesse riuscire a eleggere un nuovo
presidente della Repubblica, si rischierebbe lo scioglimennto anticipato e dunque sarebbe necessario tornare al voto.

In questo caso ci sarebbe "uno scarto finanziario, che sarebbe gestibile fino a febbraio, ma poi a partire da marzo il fabbisogno aumenterà".

Il ripresentarsi del caso Grecia fa tremare l'Unione europea, con la Commissione che lavora affinché la Grecia resti "saldamente" nell'euro: "è l'unica opzione e l'unico scenario praticabile", ha detto la portavoce Mina Andreeva, interpellata sulle nuove ipotesi di abbandono della valuta unica.

Intanto ad Atene è arrivato Pierre Moscovici, commissario agli Affari economici della Ue: stando alla sua agenda, non ci sarà nessun incontro con gli esponenti di Syriza, la formazione di estrema sinistra guidata da Alexis Tsipras in testa ai sondaggi nell'ipotesi di elezioni anticipate, cui si finirebbe in caso di mancata elezione in queste settimane di un nuovo presidente della Repubblica.

lunedì 15 dicembre 2014

Emerse nuove testimonianze sul caso Cucchi. Speranze di verità?

Una flebile luce sembra illuminare le tenebre che aleggiano intorno alla verità sulla morte di Stefano Cucchi: il Procuratore Generale di Roma Giuseppe Pignatone ha dato mandato a un nuovo sostituto procuratore, il Dott. Giovanni Musarò (che divide il suo lavoro fra la procura di Roma e quella di Reggio Calabria, dove si occupa di ‘ndrangheta) di accertare i fatti precedenti all’arrivo di Stefano Cucchi presso le celle di sicurezza del Tribunale di Roma.
Fonte: Oltremedianews
Musarò ha quindi avviato diversi interrogatori verso “persone informate dei fatti” (S.I.T.) per fare luce sui suddetti eventi, ancora confusi e poco chiari; fra i testimoni ascoltati, pare ci sia stato un interrogatorio particolarmente rilevante con un ex-detenuto che avrebbe come iniziali “L.L.”, per due notti compagno di cella di Stefano Cucchi nel periodo in cui era recluso al carcere Regina Coeli: questi avrebbe dichiarato che Stefano gli avrebbe raccontato modalità, tempi, luogo, autori e persino alcuni nomi inerenti il pestaggio che lo avrebbe poi portato alla morte poco tempo dopo all’ospedale Sandro Pertini. Alla luce di questi particolari, pare siano sorti dei contrasti fra i genitori e la sorella di Stefano circa la strategia processuale adottata da uno degli avvocati più in vista della famiglia Cucchi.
Può essere dunque questa la svolta per arrivare alla tanto agognata verità sulla morte di Stefano? Per quanto la testimonianza possa risultare valida o meno, il problema potrebbe porsi anche in ambito giuridico: se si dovesse utilizzare lo stesso capo di imputazione dei primi due gradi di giudizio, ovvero “lesioni colpose”, questo andrebbe prescritto nel 2016, rendendo nei fatti impossibile la riapertura stessa del processo; se invece come chiedono le parti civili si cambiasse (“derubricare in peius”) l’accusa in omicidio preterintenzionale il processo si potrebbe celebrare e si aggirerebbe l’ostacolo, onde evitare sentenze bugiarde e ingiuste causate dalla prescrizione, come quella tristemente nota del caso Eternit.

domenica 14 dicembre 2014

Da Mafia Capitale a ’ndrangheta Capitale. Così il «mondo di mezzo» flirtava coi clan

L’appalto su cui lucrare era sempre quello dell’accoglienza. Anche in Calabria. La coop 29 giugno aveva l’appalto del Cara di Cropani: 1,3 milioni per 240 immigrati. Gli «interessi comuni» di Carminati e Buzzi con i Mancuso

Da Mafia Capi­tale a ‘ndran­gheta Capi­tale il passo è stato breve, anzi bre­vis­simo. C’era da aspettarselo.

Che i ten­ta­coli delle ‘ndrine si muo­ves­sero intorno a Roma era un fatto noto, già regi­strato da altre inchie­ste. Come non ricor­dare le feste elet­to­rali di Ale­manno al Cafè de Paris di via Veneto in cui l’ex sin­daco, non inda­gato, avrebbe cono­sciuto il boss Giu­lio Lam­pada. Per que­sta vicenda Ale­manno è stato escusso come teste nel pro­cesso di ’ndran­gheta con­tro i Valle e i Lam­pada per il quale l’ex con­si­gliere regio­nale Franco Morelli, suo capo cor­rente in Cala­bria, è stato con­dan­nato in appello a 4 anni.

Gli arre­sti di ieri di Rocco Rotolo e Sasà Rug­giero dimo­strano che il busi­ness su cui lucrare è sem­pre quello dell’accoglienza. Anche e soprat­tutto in Cala­bria. Che detiene il poco ono­re­vole pri­mato di ben due Cpt (Cro­tone, il più grande d’Europa, e Lame­zia), della gigan­te­sca ten­do­poli di San Fer­di­nando per gli sta­gio­nali della Piana, più una miriade di cen­tri d’accoglienza affi­dati a coo­pe­ra­tive a dir poco ambi­gue (Falerna, Rogliano nel Savuto, Cro­pani). E pro­prio su Cro­pani si è con­cen­trata l’attività inve­sti­ga­tiva della pro­cura di Roma.

«…Sic­come stanno aumen­tando i pasti mi ha detto ‘facci entrare anche la ’ndran­gheta’» diceva Mas­simo Car­mi­nati in un’intercettazione del 26 mag­gio par­lando con Paolo Di Ninno, com­mer­cia­li­sta di Sal­va­tore Buzzi in car­cere per asso­cia­zione mafiosa, e Clau­dio Bolla, stretto col­la­bo­ra­tore del ras delle coo­pe­ra­tive sociali.

Tra il «mondo di mezzo» di Car­mi­nati e Buzzi e i Man­cuso c’erano «inte­ressi comuni» da met­tere a pro­fitto. I Man­cuso, tra­mite i romani, riu­sci­vano ad entrare nel lucroso affare degli appalti delle puli­zie dei mer­cati rio­nali della Capi­tale e in cam­bio accre­di­ta­vano, anche per inter­ces­sione dei Piro­malli di Gioia Tauro, le coo­pe­ra­tive di Buzzi al fine di ricol­lo­care gli immi­grati in esu­bero dal Cpt di Cro­tone. Il legame tra i due soda­lizi nasce, dun­que, da un do ut des: una richie­sta di pro­te­zione per fare busi­ness in Cala­bria. Per­ché la coop 29 giu­gno di Buzzi aveva l’appalto di gestione del Cara di Cro­pani, isti­tuito dal Vimi­nale per sop­pe­rire al sovraf­fol­la­mento del vicino Cpt Sant’Anna di Cro­tone Lo stan­zia­mento era di 1,3 milioni, per l’accoglienza di 240 immigrati.

Buzzi era di casa sullo Jonio cro­to­nese. È lui stesso a spie­garlo in un’intercettazione del luglio 2014: «Allora io te dico, quando stavo a Cro­pani scen­devo er pome­rig­gio, salivo su la mat­tina e ripar­tivo er pome­rig­gio… par­lavo con il pre­fetto, par­lavo con tutti, par­lavo con la ’ndran­gheta.. par­lavo con tutti. E poi risa­livo su». Lo stesso Buzzi ram­men­tava gli incon­tri con il clan: «Quando siamo andati giù… ci siamo messi a par­lare, noi siamo .. in que­sto periodo… ber­sa­gliati… sap­piamo tutto ciò che è suc­cesso a Vibo… noi siamo ber­sa­gliati dai giu­dici, dai cosi… però chia­miamo un ragazzo… che è pulito nella legge e quindi nello… ok…. ci siamo dati appun­ta­mento e ci ha pre­sen­tato que­sto “gin­gillo” diciamo…».

Il gin­gillo è Gio­vanni Cam­pennì, che così avrebbe curato gli inve­sti­menti romani della potente cosca vibo­nese. Come l’appalto per la puli­zia del mer­cato Esqui­lino, gestito attra­verso la coo­pe­ra­tiva Santo Ste­fano, e affi­da­to­gli con il diretto con­senso di Carminati.

Anche la figura di Rotolo emerge in maniera elo­quente dalle parole di Buzzi: «Quello è un ’ndran­gheta… affi­liato… se tu gli dici sei un mio sol­dato… lui il gene­rale l’ha… il gene­rale non cè l’ha qui a Roma… se offende… non so se me capi­sci… se tu c’hai dei pro­blemi con que­sto… tu me chiami a me e ci parlo io… loro sanno come devono fa’, quali so’ i limiti, non si devono allarga’…però pure te devi sta attento a come ce parli!…».

venerdì 12 dicembre 2014

La finanza nel web oscuro

Quando in tempi tecnologicamente lontani nacque internet, già vi navigavano pirati informatici. Tutti ricorderemo dunque i “corsi di prevenzione” (chiamiamoli così) che, verso adulti o minori, venivano fatti in tv, da aziende, e sullo stesso web, sui pericoli che quest’ultimo poteva nascondere. A tutt’oggi le insidie orditevi son simili, come i virus che potrebbero infettare i nostri computer, le truffe finanziarie, gli adescamenti di ragazze e ragazzini, e molto altro. Contro questi in realtà a poco servono i “filtri famiglia”, né tanto meno gli antivirus.
Ad ogni modo, se volessimo pensare essere per lo più questi gli “inganni” telematici, ci sbagliamo di grosso. Esiste infatti un internet più profondo, più fosco, ed immenso. Lo chiamano darknet, deep web o, con non troppa fantasia, il lato oscuro della rete. Ma di che cosa si tratta?
Si tenga presente l’immensità del world wide web e la mostruosa quantità di informazioni in esso contenute. Ora si pensi che esso non rappresenta che appena l’1% dei dati circolanti sul web invisibile, più grande del primo di oltre 500 volte (!). Si tratta di un sistema di siti e servizi web non normalmente rintracciabili con motori di ricerca tradizionali. Un posto assolutamente privo di regole e controlli, che ha come assoluto e principale obiettivo la protezione della privacy. Un club riservato dove circolano quotidianamente non più di 400mila persone in tutto il mondo, rispetto agli oltre 2miliardi di utenti che ogni giorno razzolano nel web “in chiaro” (con un rapporto circa 5000:1). Per fare un esempio, nella sola Roma, la quale ha una popolazione fissa di circa 3 milioni di abitanti, soltanto 540 si muovono nelle profondità di internet . Ma a che cosa serve?

Come appena detto la caratteristica principale è la privacy (comunque mai assoluta e totale) offerta a chi vi naviga. Con semplici applicazioni, programmi e browser è possibile infatti nascondere il proprio indirizzo IP, la propria “targa” di riconoscimento . Molti vi accedono anche soltanto per sfuggire al controllo smodato ed invadente della maggior parte dei motori di ricerca (Google e Facebook in primis, dove la sicurezza e riservatezza dei dati è fortemente dubbia) o di altri servizi che captano ogni nostra possibile informazione ottenibile. Altri per cogliervi uno spropositato quantitativo di notizie non altrimenti reperibili ; per capirci, è la fonte principale di wikileaks. Altri, purtroppo, per compiere tutta una serie di operazioni decisamente poco pulite. Se infatti su internet normale non avete problemi a trovare i vostri cd o libri preferiti, nel deep web con la stessa facilità si possono ottenere armi, droga, documenti falsi, killer a pagamento (avete letto bene), files pedopornografici, e tutta un’infinita serie di altri escrementi illegali.

Ma ancora qualcos’altro che attira la nostra attenzione, in parte migliore ed in parte peggiore delle sopracitate oscenità: i servizi finanziari. Nell’oscurità della rete infatti pare scontato dire che non vengono utilizzate modalità di pagamento rintracciabili, pertanto niente contanti, né bonifici né carte prepagate. Si utilizzano solamente i bitcoins. È una cripto-moneta, ossia regolata da algoritmi matematici. Non è assolutamente legata ad alcun controllo governativo o bancario (il che per certi versi potrebbe essere un incredibile vantaggio), ma soprattutto può, con tutta una serie di trucchetti, diventare anonima.
E con “trucchetti” si intendono un’enorme quantità di “servizi nascosti” atti esattamente a nascondere dati e provenienza di quelle “monete”. Si capiranno allora le tremende opzioni offerte da questa possibilità. Oltre infatti all’acquisto di stupefacenti – o peggio-, si può riciclare denaro sporco, e con esso speculare sugli stessi bitcoins – già essi grosso oggetto di investimento- o su altre operazioni finanziarie di natura decisamente dubbia. Allo stesso modo, tramite altri passaggi, si potrà approdare verso le “sicure” spiagge delle isole Cayman. Ma vi è qualcosa di ancor più preoccupante.
I bitcoins infatti sono utilizzati anche sulla rete normale, addirittura nei negozi online vengono utilizzati otto volte su dieci, e solo una volta su dieci dollari, o euro. Sono mesi che si parla di come alcune tra le più grosse compagnie informatiche stiano facendo di tutto per ottenere il permesso di emissione delle cripto-monete. Qualcuna, come Facebook, c’è anche riuscita. E guarda caso proprio Zuckerberg con la sua società ha appena aperto il suo sito alla navigazione anonima, al deep web, permettendo agli utenti di accedere al social network continuando ad utilizzare il sistema criptato ed anonimo. E questo non soltanto amplierà potenzialmente l’utenza (da tempo i membri di fb hanno superato il miliardo di persone, la compagnia non soffrirà di certo per qualche numero in meno), ma permetterà di incanalare una nuova mostruosa quantità di denaro (potenzialmente sporco) altrimenti non reperibile. Gli inganni della tecnica.

giovedì 11 dicembre 2014

“Mafia capitale” alla conquista di Roma

Nuovi sviluppi sull’inchiesta “mafia capitale”, che continuano a svelare intrecci tra criminalità, affari e politica. Roma doveva essere conquistata palazzo dopo palazzo, istituzione dopo istituzione. Non era importante arrivare al numero uno, ma bastava che l’uomo o la donna giusti di quell’ufficio diventassero affiliati. Nessun rito di iniziazione, ma favori, affari e mazzette. Accade così che l’organizzazione di Massimo Carminati e Salvatore Buzzi avesse un suo uomo, Luigi Lausi, anche dentro il Tribunale. Professore commercialista ora indagato per associazione a delinquere di stampo mafioso, Luigi Lausi aveva incarichi prestigiosi e delicati come curatele, liquidazioni di società, nonché di amministratore giudiziario direttamente nominato dai Tribunali e consulente di molti pubblici ministeri. Per gli inquirenti Lausi era “al servizio” dell’organizzazione in una posizione e con un ruolo nei Tribunali certamente strategico.

“Ci stiamo comprando mezza prefettura” dice l’ex terrorista nero in una intercettazione. Delirio o realtà Carminati instrada il socio Buzzi verso Palazzo Chigi dove incontra l’allora sottosegretario Gianni Letta. Da Palazzo Chigi a Palazzo Valentini alla Prefettura di Roma, dove sempre Buzzi incontra il prefetto Pecoraro. Il problema è sempre quello del centro richiedenti asilo di Castelnuovo di Porto, una gallina dalle uova d’oro per 20 milioni di euro, perché la mafia capitale, quando si tratta di centri di accoglienza e campi nomadi, non guardava in faccia a nessuno. Gli appalti o l’affidamento urgente dei servizi doveva finire a una delle cooperative della banda . Poi i soldi rubati, truffati o evasi finivano in una miriade di rivoli finanziari e bancari dal Lussemburgo alla Svizzera.

Le manovre di accerchiamento a palazzo Valentini si evincono anche da un episodio avvenuto a marzo di quest’anno. Sempre da quanto riportano gli inquirenti, all’epoca Buzzi avrebbe avuto una discussione con Luca Odevaine, ex vice-capo di gabinetto dell’ex sindaco Veltroni, “operativo” proprio nelle azioni di contrasto all’illegalità, colui che gestiva gli sgomberi di occupazioni abusive da parte da parte di forze della criminalità organizzata, in prima fila nelle operazioni di sgombero al Celio e a Tor di Nona.

Fino a una settimana fa Odevaine faceva parte del coordinamento per i rifugiati del Viminale. La discussione tra Buzzi e Odevaine del marzo scorso riguardava l’organizzazione di un incontro con Gianni Letta a proposito di progetti della cooperativa “29 giugno”, bloccati sul Cara (Centri di accoglienza richiedenti asilo), secondo loro, dal prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro. “Io gliel’ho messo in mano alla Scotto Lavina (Direttore centrale per le politiche dell’immigrazione e dell’asilo) e lei m’ha detto che ‘È buono, questa roba mi piace, certo devo sentì Pecoraro che un po’ resiste”. “Allora gli si può chiedere a Pecoraro che sbloccasse la situazione – prosegue Odevaine – e Letta interverrà perché lì il filo c’è, se glielo dice lui si sblocca in un secondo”. L’incontro con l’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio va così bene che subito dopo Buzzi chiama Mario Schina, ex responsabile decoro del Campidoglio e gli dice che Letta “mi ha mandato dal Prefetto. Alle sei vedo Pecoraro”.

“Mafia capitale” ha bisogno però anche di orientare i voti nelle elezioni per il rinnovo della Regione Lazio del 2013. Per questo è indagato l’ex consigliere regionale, capogruppo di Forza Italia, Luca Gramazio. Da alcune intercettazioni risultano che, a votazioni concluse, schede false sarebbero state inserite nelle urne.

Intanto la Commissione parlamentare antimafia ascolterà in audizione il prefetto Pecoraro e il procuratore della repubblica presso il tribunale di Roma, Giuseppe Pignatone. Mentre una news annuncia che il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha delegato Pecoraro a esercitare i poteri di accesso e di accertamento nei confronti del Comune di Roma.

mercoledì 10 dicembre 2014

Grecia: governo Samaras in bilico, crolla la Borsa

Tutta colpa della decisione del primo ministro ellenico, Antonis Samaras, che ha deciso oggi di anticipare l’elezione del nuovo capo dello stato al 17 dicembre e che potrebbe essere l’anticamera delle elezioni anticipate. Infatti nel caso in cui il candidato di socialisti e conservatori al governo dovesse essere sconfitto e a sostituire Karolos Papoulias dovesse essere un eventuale presidente espressione delle opposizioni, il premier sarebbe costretto a sciogliere il parlamento e ad indire nuove elezioni. Che l’alleanza tra Nuova Democrazia e socialisti del Pasok potrebbe perdere.
L'ultimo sondaggio diffuso dal canale televisivo Action 24 dice che Syriza otterrebbe il 29% dei voti validi, Nuova Democrazia il 24,5%, il Pasok solo il 7%, i populisti liberali di Fiume il 6,5%, i neonazisti di Alba Dorata il 6,5%, i comunisti del KKE il 6%, i Greci Indipendenti (destra nazionalista) il 4%, la Sinistra Democratica solo l'1%.
Proprio ieri l’Eurogruppo ha deciso di dare ad Atene altri due mesi per ‘consentire’ a Samaras di accettare alcuni diktat della troika che il governo ellenico non ha per ora voluto inserire nella Legge Finanziaria, mettendo così a rischio una nuova tranche di prestiti da parte dei creditori internazionali e naturalmente la possibilità da parte delle istituzioni politiche ed economiche dell’Unione Europea di ricattare a oltranza Atene. Samaras sembra in un vicolo cieco perché se obbedirà ai diktat di Bruxelles e Francoforte – nuovi pesanti tagli e interventi su lavoratori e pensionati, aumento dell’Iva – potrebbe essere penalizzato alle elezioni, cosa che avverrebbe comunque anche nel caso in cui un suo ‘no’ ad alcune delle richieste della Troika dovessero far precipitare la situazione finanziaria del paese aggredito probabilmente a quel punto dalle manovre speculative di agenzie di rating e mercati. Se Atene non dirà si alla troika non riceverà i sette miliardi di prestiti fondamentali per un paese che nonostante il salasso su pensioni, salari e stato sociale ha ancora le casse vuote, visto che ogni entrata viene destinata al pagamento degli interessi sul debito. Secondo l’Fmi – uno dei tre soggetti della troika – il bilancio appena approvato dal parlamento con 155 voti ha un buco di 1,7 miliardi di euro.

Samaras e i suoi sembrano così voler rompere l’assedio interno ed internazionale passando all’offensiva. Così gli analisti spiegano l’anticipo del voto parlamentare sul presidente della Repubblica. Ma potrebbe essere un azzardo che socialisti e conservatori potrebbero pagare molto caro, visto che ci vogliono almeno 180 voti per eleggere il successore di Papoulias. Se alla terza votazione, prevista il 29 dicembre, nessuno dei candidati sarà stato eletto – il che a meno di una alleanza tra i partiti della maggioranza e qualcuna delle forze dell’opposizione di centrosinistra o centrodestra appare allo stato molto improbabile se non impossibile – il premier dovrebbe sciogliere l’assemblea e indire elezioni politiche per l’inizio di febbraio.
Secondo tutti i sondaggi la coalizione di sinistra Syriza potrebbe contare sulla prima posizione nelle intenzioni di voto degli elettori greci, secondo alcune rilevazioni di misura ma secondo altre di diversi punti. Samaras spera di recuperare qualche consenso grazie al suo ‘no’ tardivo e parziale alle imposizioni della troika, che il leader conservatore spera ammorbidisca un po’ le sue richieste per evitare una vittoria troppo schiacciante di Syriza.
“La decisione del governo di accelerare la votazione per eleggere il presidente della repubblica è prevedibile e benvenuta, perché avvicina di più la prospettiva di riscatto per il popolo e il paese che è il ricorso al verdetto popolare” scrive in un comunicato il partito guidato da Alexis Tsipras.
Che comunque, stando ai possibili scenari, difficilmente potrebbe governare con una solida maggioranza di sinistra dopo le eventuali elezioni di febbraio e sarebbe quindi costretta ad allearsi con partiti poco inclini al cambiamento, costringendo Tsipras e i suoi a moderare ulteriormente le proprie rivendicazioni che per ora si limitano ad una ricontrattazione del debito ellenico e a qualche mitigazione delle misure antipopolari introdotte dai governi ellenici manovrati da Bruxelles.

martedì 9 dicembre 2014

La truffa dei gratta e vinci… Quello che non vi dicono!

questo articolo parte da alcune considerazioni scaturite dal fatto che capita spesso di trovarmi a parlare con gente che critica e stigmatizza il gioco d’azzardo, soprattutto online, e poi la trovo tranquillamente in tabaccheria a spendere decine se non centinaia di euro per i famigerati gratta e vinci(non parliamo poi del lotto e tutte le sue varianti istantanee e non). Quindi in Italia giocare ai gratta e vinci e alle varie lotterie istantanee è socialmente accettato anche se ha portato alla rovina molte famiglie insospettabili.

Grazie a questo articolo de “La voce“, numeri alla mano, possiamo dimostrare perché i gratta e vinci facciano comodo solo al banco, cioè allo stato: innanzi tutto chiariamo che tutte le cifre sono fornite da AAMS (Amministrazione autonoma dei monopoli di stato), che quando autorizza un nuovo tipo di lotteria istantanea emette un decreto con il numero di biglietti stampati e le vincite programmate, quindi sono dati forniti dagli stessi organizzatori del gioco.

Bene nell’articolo della Voce si prende in esame il “Mega Miliardario” dal costo di 10€ per biglietto e vincita massima di 1.000.000€, stampato in 50 milioni e 160 mila biglietti e primo premio (il milione di euro) contenuto in 30 tagliandi… quindi con la possibilità di vincita massima dello 0,00006%… non male vero! Se invece esaminiamo il premio minimo, quello da 10 euro è portato in dote da 17.844.002 biglietti, ovvero il 35,5% del totale. Ma 10 euro è proprio il prezzo di un singolo biglietto del “Mega Miliardario”. Insomma, si avrà anche il 35,5% delle possibilità di vincere, ma solo un premio che consente di recuperare la giocata fatta e che molto spesso ispira l’acquisto di un ulteriore biglietto.

Ma la vera e propria truffa è insita nelle regole del gioco stesso che prevede che continui la vendita dei biglietti fino a quando l’ultimo premio (di qualsiasi importo sia) non viene assegnato, ciò significa che se per uno strano scherzo del destino i trenta biglietti da 1.000.000 di euro fossero i primi a saltare fuori, il gioco andrebbe avanti lo stesso.Ovviamente le informazioni sui premi già assegnati non vengono diffuse (ma sono registrate) e quindi ci si ritroverebbe a giocare con l’illusione di vincere un premio che in realtà ormai non c’è più.

Quindi in conclusione, l’unico modo per essere sicuri di vincere è non giocare!

lunedì 8 dicembre 2014

CAPITALISMO CONTRO FELICITA'

La felicità, o almeno il fatto di ricercarla, è un diritto. Perlomeno per quanto riguarda l' America, paese segnato fin dalla nascita dall'opera dei padri fondatori e dalla loro Dichiarazione di Indipendenza in cui viene affermato, senza mezzi termini, che “la vita, la libertà ed il perseguimento della felicità sono diritti inalienabili, conferiti dal creatore stesso, e come tali vanno salvaguardati dai governi”.

Questo documento illuminato prosegue enunciando che se un governo “si rivela un' inferenza distruttiva di tali fini, la gente ha il diritto di cambiarlo o addirittura di sostituirlo con uno nuovo che sia in grado di difendere il diritto alla salute ed alla felicità”. Recentemente un'inchiesta sulla salute mentale condotta in Gran Bretagna ha dimostrato la necessità del fatto che “la ricerca della felicità diventi un obiettivo dichiarato e misurabile del governo”.

Secondo la logica del buonsenso ogni governo dovrebbe avere come primo scopo il perseguimento della felicità. Il che, tuttavia, cozza apertamente con quelli che poi sono di fatto i fini e – secondo qualcuno – le intenzioni reali delle corporazioni democratiche, le quali, in piena contraddizione con la retorica liberale che vanno promulgando, altro non fanno che creare le condizioni da cui dipendono l'ansia e l'insicurezza che affligge ben il 99% della popolazione. Come se non bastasse il malcontento viene continuamente fomentato attraverso la creazione di falsi bisogni di comfort, di piacere, di fuga. Un'infinità di corporations non fa altro che fornire alla gente tutta una gamma di alternative volte ad assecondare la sua estemporanea assuefazione a prodotti effimeri e tuttavia in grado di creare dipendenza. Prime fra tutte i colossi farmaceutici che, stando a quanto afferma l'Organizzazione Mondiale della Sanità, raccolgono ogni anno qualcosa come 100 miliardi di dollari in tutto il mondo.

Non è facile essere felici o avere l'energia mentale per ricercare la felicità quando si è prigionieri della paura. Le condizioni di base per potersi dichiarare felici sono state oramai individuate: anzitutto – e il che non stupisce nessuno – il fatto di avere di cui cibarsi, una casa, delle amicizie, la sensazione di fare parte di qualcosa (una famiglia, una comunità, etc.) e di essere presi in considerazione. O addirittura di essere amati. Nel momento in cui queste condizioni esterne vengono in qualche maniera minacciate anche il nostro flebile senso di benessere e di felicità viene messo a repentaglio, e l'ansia prende il posto della dipendenza.

Piacere o felicità?

Che sia stato o meno universalmente riconosciuto come diritto umano, la felicità è uno stato a cui ciascuno di noi aspira. È insito nella nostra natura. Uno dei grandi saggi del ventesimo secolo, Ramana Maharshi, ha affermato che “la felicità è la nostra natura. Non c'è nulla di male nel desiderarla. Ciò che è sbagliato è cercarla al di fuori di ciò che sta dentro di noi”. Il modello economico attuale ci spinge esattamente in questa direzione: predica una felicità interamente basata sul consumismo e sul materialismo. Gli adepti di questa dottrina, che ha generato un sistema controverso, oramai giunto al degrado e sicuramente individuabile come radice di una serie infinita di problemi, utilizzano dei metodi di persuasione efficaci a livello universale, in grado di trarre le masse in inganno e di il loro consenso. La pubblicità e le pubbliche relazioni, opportunamente coadiuvate dai media, rappresentano la base ideale per la messa in opera della truffa.

Spesso la felicità viene confusa con il piacere. Ecco come Krishnamurti esemplifica il concetto di piacere come mero soddisfacimento del desiderio: “Vuoi una macchina, riesci a comprarla e sei felice (…). Voglio essere il più grande tra i politici, se ce la faccio sono felice. Se non riesco ad ottenere ciò che voglio sono infelice. Detto in altre parole ciò che voi chiamate felicità altro non è che l'arrivare a possedere ciò che desiderate”. E, per contro, “Se non riuscite ad ottenere ciò che volete siete infelici”. La felicità che deriva dal “possedere tutto ciò che si vuole” non dura e, soprattutto, ci rende schiavi della dialettica gioia-tristezza. Il brivido di avere finalmente ottenuto ciò che vogliamo – la macchina nuova, l'iPad, un lavoro, un vestito – finisce subito e, di conseguenza, ci ritroviamo catapultati in quella che era la nostra condizione di partenza, felicità o frustrazione a seconda dei casi (la Routine Edonistica di cui parla lo psicologo inglese Michael Eyenseck). Il vuoto che abbiamo cercato disperatamente di colmare si ripristina di continuo.

Siamo indotti a credere che “le esperienze piacevoli che ci rendono felici” siano, di fatto, la fonte stessa della felicità. E così le rincorriamo, passando da un momento di godimento all'altro, nella speranza che il successivo sia ancora più intenso e più appagante di quello che si è appena concluso. Noi viviamo per questi momenti salienti: essi scandiscono il ritmo delle nostre esistenze con – ovviamente, verrebbe da dire – grande dispendio di tempo e di energie nel tentativo di massimizzare il piacere, di perseguire la felicità e di evitare il suo contrario, ovvero il dolore e le sofferenze ad esso connesse. E nel frattempo il tempo passa. Siamo intrappolati in questa dialettica che, il più delle volte, ci rende ansiosi ed infelici.

In genere il piacere è qualcosa di legato ai sensi, spesso edonistico, sempre effimero. Va in tandem con il desiderio. Insaziabili e legati a doppio filo, impossibile stabilire se sia nato prima l'uovo o la gallina. Molto tempo fa il Buddha ha individuato nel desiderio e nella paura le cause di tutte le sofferenze. Come aneddoto contro il dolore egli ha promulgato la Terza Verità Nobile (le Verità sono quattro), secondo la quale “chi vuole essere libero dal dolore deve abolire qualsiasi forma di desiderio e di ambizione personale”. Già prima che l'Illuminato divulgasse la sua saggezza gli antichi veggenti indiani avevano affermato in maniera molto chiara la necessità di svincolarsi dal desiderio. Uno su tutti il Brihadaranyaka Upanishad, con la sua rivendicazione del fatto che la vera natura del Sé (o l'anima, potremmo dire) è libera dalla paura e dal desiderio che rappresentano i maggiori ostacoli alla felicità, alla libertà e alla pace. La brama è come un prurito continuo, fa aumentare l'insoddisfazione ed aggrava la sofferenza. Tiene schiave le menti ed è il requisito di base per la perpetuazione del sistema economico neo liberale, che pone al suo centro il consumatore e lo spinge ad assumere degli atteggiamenti (l'ambizione e la competizione, ad esempio) che non fanno altro che esasperare i desideri individuali e portano ad un conseguente aumento della disparità tra le classi sociali.

False promesse

Il modello neo liberale,che è frutto del compiacimento capitalista e che tanto piace ai politici inglesi, promette felicità ma non produce altro che malcontento, dipendenza dai beni materiali, disparità sociale e divisione: nessun ideale in grado di durare nel tempo. Incoraggia l'identificazione con la materialità, rinforza un sistema di valori che premia tutto ciò che è acquisizione, consumo e desiderio. Ideali vuoti e che non vedranno mai una realizzazione, che spaccano il tessuto sociale e ne aumentano la frammentazione, causando infelicità e addirittura malattie. Qualsiasi governo, a nord e a sud, ad est e ad ovest, che creda di essere stato eletto con lo scopo di promuovere la crescita economica e di essere competitivo sulla scena mondiale, in realtà altro non è che un torbido catalizzatore, un beneficiario connivente con le multinazionali che creano il caos. Il capitalismo rampante – il “fondamentalismo dei mercati”, come lo definisce l'acclamato scrittore indiano P. Sainath – prospera sul consumismo, sostiene il fatto che tutti dovrebbero vivere nell'agio e non in uno stato di indipendenza economica sufficiente a soddisfare i bisogni di base: riempitevi di desideri fino all'orlo, perché “voi ve lo meritate”. Ti urlano questo ed altro, e urlano, urlano... E' proprio qui, nel pianeta omogeneizzato dello shopping globale, la Shangri-la dell' avidità, dove ogni visitatore munito di carta di credito è il benvenuto, che la felicità trova il suo posto ideale: nei caffè di polistirolo, avvolti in un involucro di finta pelle con la scritta dorata “l'avarizia è Dio”.

Invece di agevolare la nascita di una civiltà basata sui principi eterni della bontà, della libertà, della giustizia sociale, dell'unità e della cooperazione, questi pupazzi in doppiopetto hanno promosso – o, per meglio dire, incoraggiato – la cultura della mediocrità, della bruttezza, della competizione e dell'avidità. Hanno permesso che le divisioni e la rovina si diffondessero come piaghe nel nostro splendido universo. Tutto è merce, dalle foreste ai bambini, dai fiumi ai panorami; tutto va comprato (come si dice, “tutto ha un prezzo”), utilizzato e venduto, svuotato del proprio valore intrinseco e poi gettato via. Ciò che si richiede è l'omologazione e la brama va costantemente alimentata. Non importa quanto c'è da rosicare, gli agenti del materialismo sanno che non c'è fine, non c'è pace: la felicità è dietro al prossimo sacchetto della spesa, alla prossima vacanza, alla giacca nuova e all'ultimo cellulare. Questo è il dogma inculcato ogni giorno, e le tecniche sono sottili ma grezze al tempo stesso: ansia, malcontento e di conseguenza una pletora di malattie mentali. In America ad esempio, dove “la ricerca della felicità” è un dovere costituzionale del governo, l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha rilevato che il 21% della popolazione (ovvero 64 milioni di persone) soffre di depressione. A livello mondiale si tratta di una vera e propria epidemia, dal momento che 350 milioni di persone ne sono affette: proprio il ritratto di una società felice. E figuriamoci se la stessa inchiesta venisse condotta sugli 800 milioni di individui che in India vivono in uno stato di povertà opprimente, o su coloro che nell'Africa sud sahariana o nella Cina rurale campano con meno di due dollari al giorno. Ebbene no, non sono “poveri ma felici”: sono poveri e basta, alcuni in maniera intollerabile.

La felicità intesa come condizione permanente significa essere appagati e liberi da ogni desiderio, con tutta l'agitazione e l'instabilità che ciò comporta. Se è vero che non spetta ai governi il compito di rendere le persone felici, è vero anche che è loro preciso dovere eliminare le metodologie ed i sistemi che ostacolano il raggiungimento di tale scopo. Gli stati dovrebbero promuovere la creazione di una società fondata su valori eterni, molti dei quali rappresentano il cuore stesso della democrazia: partecipazione, cooperazione, condivisione e unità. Qualità che, in modo naturale, permettono alla felicità di essere.

venerdì 5 dicembre 2014

Per Renzi, Gentiloni e Mogherini saranno ulteriori passi verso la libertà e verso l'Europa?

Mentre Renzi, Gentiloni e Mogherini continuano a parlare di “trionfo della libertà e della democrazia verso l'Europa”, in Ucraina il nuovo governo figlio del colpo di stato finanziato da Usa e Ue nello scorso febbraio sta arrivando a completare la visione orwelliana. Dopo i nuovi membri del governo scelti, nel silenzio dei media, ormai direttamente da Soros, Kiev ha deciso di creare un Ministro dell'Informazione (“Verità”).

Secondo il rappresentante OSCE sulla libertà dei media, Dunja Mijatovic, i piani del governo sono una chiara minaccia per il paese. “Non è il modo per contrastare la propaganda”, ha scritto su twitter. Mijatovic ha anche twittato un articolo dal titolo: “l'Ucraina ha appena creato la sua versione di Ministero della Verità di Orwell, citando il romanzo “1984”.

“In una democrazia, un ministero dell'informazione non può essere una soluzione per nulla che si riferisce ai media, libertà d'espressione e la salute dei giornali”, ha scritto. Mijatovic ha anche dichiarato che discuterà della questione con il ministro degli esteri ucraino Pavel Klimkin a Basilea giovedì.

Alcuni parlamentari – molti ex giornalisti – non hanno votato e si sono opposti alla creazione della nuova autorità governamentale, che mina la libertà di stampa e di informazione, già ampiamente compromessa dopo la decisione di chiudere tutte le tv russe e organi di stampa che avevano la parola “russo” nella loro testata.

Per riempire il vuoto informativo e inquadrare ideologicamente la popolazione, Kiev intende controllare ogni frase e immagine. Secondo il direttore del Centro di informazione politica Aleksey Mukhin, la funzione del nuovo ministero è proprio questa. L’attività del nuovo ministero porterà certamente alla limitazione della libertà di parola, in quanto intende creare delle regole speciali per il mercato mediatico dell’Ucraina. Il governo, in un prossimo futuro, difficilmente sarà in grado di risolvere i reali problemi sociali ed economici della popolazione, ma si impegnerà per creare un’immagine di benessere fittizio.

Per Renzi, Gentiloni e Mogherini saranno ulteriori passi verso la libertà e verso l'Europa...

giovedì 4 dicembre 2014

Messico. Ancora proteste contro il governo per i desaparecidos

A Città Del Messico sono andati in scena nuovi scontri tra manifestanti e polizia a margine di una manifestazione indetta per ricordare i 43 studenti scomparsi il 26 settembre nello stato di Guerrero. I manifestanti hanno anche aspramente contestato il presidente Enrique Pena Nieto in occasione del secondo anniversario della sua elezione.
E’ impossibile per i messicani dimenticare quello che successe nello stato di #Guerrero il 26 settembre quando 43 ragazzi, tutti studenti, sono letteralmente spariti nel nulla. Si scoprì poi che vennero presumibilmente sequestrati e bruciati vivi dai Guerreros Unidos, una pericolosissima banda di narcotrafficanti che avrebbe ricevuto l’ordine direttamente dalle istituzioni di Iguala, la località del sequestro. Chiaramente la notizia ha scatenato la rabbia del popolo messicano che richiede a gran voce giustizia, e infatti nelle settimane successive si sono verificate proteste e scontri un pò in tutto il Paese. Ma le proteste non accennano a scemare, a Città del Messico ad esempio un gruppo di manifestanti si è scontrato contro la polizia dopo aver assaltato alcuni negozi a margine di una manifestazione indetta per contestare il secondo anniversario della presidenza di Enrique Pena Nieto. Migliaia di persone si erano riunite per chiedere la fine dell’impunità e giustizia per i 43 studenti scomparsi il 26 settembre nello stato di Guerrero, anche perchè a dispetto di promesse e proclami ancora nessuno ha pagato per il massacro di Iguala. Alcuni ragazzi a volto coperto hanno attaccato anche banche e ristoranti lungo la via principale della città e negli scontri pesanti con le forze dell’ordine sono rimaste ferite diverse persone. Tutto questo avviene poche ore dopo che le autorità messicane avevano annunciato il ritrovamento di cinque cadaveri carbonizzati e decapitati nell’inquieto Stato di Guerrero, dove due mesi fa sono scomparsi 43 studenti. I corpi sono stati ritrovati ieri mattina in un autocarro nei pressi di Chilapa, a circa 330 chilometri da Città del Messico. Si tratterebbe dei resti di tre uomini d’affari e due architetti rapiti dallo Stato di Morelos mercoledì scorso. E’ l’ennesima macabra scoperta dopo che qualche giorno fa erano stati ritrovati anche i cadaveri di 11 giovani, decapitati e bruciati, sempre nello stato di Guerrero. Anche per questo motivo il presidente Enrique Pena Nieto ha annunciato un piano in dieci punti per una nuova strategia nella lotta alla criminalità organizzata. Ha promesso anche la riforma della polizia e una stretta con le istituzioni colluse con il crimine, ma nessuno ci crede più e nessuno ha fiducia che le misure promesse per combattere contro le infiltrazioni della criminalità nelle amministrazioni statali possano servire a qualcosa.

mercoledì 3 dicembre 2014

L’Italia affoga nella spazzatura. E ora la Corte Ue ci infligge una multa di 40 milioni per una violazione sistematica delle normative sui rifiuti

Arriva un’altra batosta dall’Europa. La Corte di giustizia dell’Unione europea ha condannato l’Italia a pagare una multa milionaria per non essersi ancora adeguata alla direttiva sui rifiuti e sulle discariche, infliggendo una sanzione forfettaria di 40 milioni di euro e una penalità di 42,8 milioni per ogni semestre di ritardo nell’attuazione delle misure necessarie di adeguamento alla sentenza del 2007. Insomma si tratta di una sberla vera e propria. Ma difficile negarlo, il nostro Paese in quanto a smaltimento dei rifiuti ha ritardi siderali già da molti anni. Basti pensare che già sette anni fa la Corte ci aveva bacchettato perché in modo generale e persistente eravamo venuti meno agli obblighi relativi alla gestione dei rifiuti stabiliti dalle direttive relative ai rifiuti, ai rifiuti pericolosi e alle discariche di rifiuti.

martedì 2 dicembre 2014

Gangster al governo, brogli d’oro per salvare il dollaro

Truccano il prezzo dell’oro, giocando al ribasso e colpendo l’economia e i risparmiatori, solo per proteggere il dollaro, cioè la grande speculazione finanziaria. Peggio ancora: controllati e controllori sono le stesse persone. In un sistema sano, dovrebbero finire in galera. Lo affermano Paul Craig Roberts e Dave Kranzler: la finanza americana è un colossale imbroglio, scrivono, e cospira contro l’economia reale, a cominciare da quella degli Stati Uniti, aziende e famiglie. Sono accusa i “bankster” delle famigerate “bullion bank”, soprattutto Jp Morgan, Hsbc, ScotiaMocatta, Barclays, Ubs e Deutsche Bank: «Agendo probabilmente per conto della Federal Reserve, hanno sistematicamente spinto al ribasso il prezzo dell’oro», dal settembre del 2011. «Tenere basso il prezzo dell’oro serve a proteggere il dollaro Usa da una esplosione incontrollata dell’aumento del valore del dollaro e dei debiti in dollari». Certo, la domanda di oro continua a salire. Ma il prezzo viene tenuto basso col trucco dei “futures”: il prezzo dell’oro non è determinato dal mercato fisico, ma dalle scommesse speculative sul prezzo che si vuole stabilire.

«Praticamente tutte le scommesse effettuate sul mercato dei “futures” sono pagate in contanti, in moneta e non in oro», spiegano Craig Roberts e Krnzler. Così, «il pagamento in contanti dei contratti serve a spostare dal mercato fisico al mercato Paul Craig Roberts e la Casa Biancamonetario il luogo in cui si determina il prezzo dell’oro». E’ il terreno perfetto per manpolazoni d’ogni genere. L’ultima macchinazione orchestrata? E’ legata alla Fed, per esempio, che ha deciso di far salire il picco del tasso di cambio del dollaro dopo aver annunciato la fine del “quantitative easing”. Appena la banca centrale Usa ha dichiarato che avrebbe smesso di stampare dollari per sostenere il prezzo delle obbligazioni, ha dato mandato alle banche di far scendere il prezzo dell’oro con nuove vendite “naked”, cioè “allo scoperto”. Funziona così: enormi quantità di contratti a termine “scoperti”, cioè solo di carta, vengono stampati per essere buttati, tutti in una volta, sul mercato dei “futures” nei momenti in cui il mercato tende a salire. «Aumentando l’offerta di “oro di carta”, le vendite di enormi quantità servono a far scendere il prezzo dei “futures”, ed è il prezzo del “future” che determina il prezzo a cui le quantità fisiche dei lingotti possono essere acquistate».

Stesso schema in Giappone, dove il prezzo dell’oro – su pressione di Washington – è stato fatto crollare per compensare l’effetto del nuovo massiccio programma di “Qe”. Obiettivo: impedire che l’oro si valorizzasse come bene-rifugio, a scapito della speculazione finanziaria. «L’annuncio del Giappone di voler creare moneta all’infinito avrebbe dovuto provocare un rialzo del prezzo dell’oro. Quindi, per evitare questa prevedibile risalita, alle 3 di notte – ora occidentale – mentre era in corso un intenso scambio di “futures” dell’oro, il mercato dei “futures” elettronico (Globex) è stato investito da una improvvisa vendita di 25 tonnellate di contratti Comex di “oro di carta”, allo scoperto, facendo scendere immediatamente il prezzo dell’oro a 20 dollari. «Nessun venditore onesto avrebbe buttato via il proprio capitale con una vendita di quel genere, in quel modo». Il prezzo dell’oro si è stabilizzato con un lieve rialzo, ma alle 8 del mattino – ora della costa orientale Usa – 20 minuti prima della apertura del New York Futures Market (Comex), sono state messe in vendita altre 38 tonnellate di oro in “futures di carta e allo Abe e Obamascoperto”, sempre per far scendere il prezzo del lingotto. «Anche in questo caso, nessun investitore onesto si sarebbe liberato di una quantità tanto enorme di suoi beni personali, cancellando così improvvisamente la sua propria ricchezza».

Il fatto che il prezzo dell’oro sia determinato in un mercato di carta – in cui non c’è nessun limite di quantità nel creare la carta su cui scrivere i contratti – produce lo strano risultato che la domanda di lingotti di oro fisico si trovi in un mondo fuori dal tempo, senza rapporti con la produzione reale, e quindi il prezzo può continuare a scendere, annotano Craig Roberts e Kranzler. «La domanda asiatica è pesante, in particolare quella dalla Cina, e le aquile d’argento e d’oro stanno volando via dagli scaffali della zecca degli Stati Uniti in quantità da record. Le scorte dei lingotti si stanno esaurendo, ma i prezzi dell’oro e dell’argento continuano a scendere giorno dopo giorno». Spiegazione: «Il prezzo del lingotto non è determinato in un mercato reale, ma in un mercato truccato, fatto solo di carta, in cui non c’è nessun limite alla quantità e alla possibilità di creare “oro di carta”». Cinesi, russi e indiani «sono ben lieti che autorità americane corrotte, con questo sistema, rendano loro possibile acquistare sempre maggiori quantità di oro a prezzi sempre più bassi». Infatti, «un mercato truccato è proprio quello che ci vuole per gli acquirenti di lingotti, così come è proprio quello che ci vuole per le autorità Usa che si sono impegnate a proteggere il dollaro da un aumento del prezzo dell’oro».

Certo, «una persona onesta potrebbe pensare che esista una incompatibilità tra una forte domanda per un bene che può essere fornito solo in quantità vincolata e un contemporaneo calo del suo prezzo». Il fenomeno è più che anomalo: «Una situazione del genere dovrebbe suscitare l’interesse degli economisti, dei media finanziari, delle autorità finanziarie e delle commissioni del Congresso». Tutto tace, invece. «Dove sono le class action delle compagnie delle miniere d’oro contro la Federal Reserve, e contro le banche che custodiscono i lingotti, e contro tutti quelli che stanno danneggiando gli interessi delle società minerarie con contratti di vendita “allo scoperto” a breve?». Sottolineano Craig Roberts e Kranzler: «La manipolazione dei mercati, soprattutto sulla base di informazioni privilegiate, è illegale e altamente immorale. La vendita allo scoperto – “naked” – sta causando danni agli interessi delle miniere. Una volta che il prezzo dell’oro sarà portato sotto i 200 dollari l’oncia, molte Orominiere diventeranno antieconomiche. Dovranno chiudere. I minatori diventeranno disoccupati. Gli azionisti perderanno soldi. Come si può continuare a mantenere un prezzo a questo livello, ovviamente truccato, e continuare a manipolarlo?».

La risposta, scrivono Craig Roberts e Kranzler, è che «il sistema politico e finanziario degli Stati Uniti è stato inghiottito da un sistema di corruzione e criminalità», nientemeno. «La politica della Federal Reserve di brogli sui prezzi delle obbligazioni e dell’oro per dare liquidità alla speculazione del mercato azionario ha danneggiato l’economia e decine di milioni di cittadini americani, solo per proteggere le quattro mega-banche dai loro errori e dai loro crimini». Attenzione: «Questo uso privato della politica pubblica non ha precedenti nella storia». E’ puro banditismo. «I responsabili devono essere arrestati e mandati sotto processo e dovrebbero contemporaneamente essere citati per danni». Il guaio è che, accanto alle mega-banche, sono implicate le stesse autorità Usa, che «pagano S&P per mantenere un valore artificiale del cambio del dollaro e per trovare la liquidità necessaria per sostenere i titoli azionari e obbligazionari, particolarmente quest’ultimo tanto artificiosamente alto che i risparmiatori ricevono dalle banche un interesse reale negativo sui loro risparmi investiti in obbligazioni». Tutto abusivo, e Obama e Janet Yellen della Fedpericoloso, perché il sistema finanziario è fuori dalla realtà dell’economia: «Quando le autorità non riusciranno più a tenere in piedi il castello di carte, il crollo del castello sarà completo».

«La costruzione di questo castello di carta – accusano Craig Roberts e Kranzler – è la prova della complicità degli economisti, dell’incompetenza dei mezzi finanziari e della corruzione delle autorità pubbliche e delle istituzioni private. I capi di una manciata di mega-banche responsabili di tutto questo problema sono le stesse persone che siedono al Tesoro degli Stati Uniti, alla Fed di New York e nelle agenzie che controllano la finanza degli Stati Uniti. Stanno usando il loro potere di controllo sulla politica pubblica per proteggersi e per proteggere le loro imprese dai loro stessi comportamenti insensati». Dettaglio: «Il prezzo di questa protezione è tutto sulle spalle dell’economia e degli americani che pagano le tasse, e il prezzo da pagare sta continuando a salire». Ok, l’America sarà anche la patria dell’economia, vista la quantità di Premi Nobel. Questo però non spiega «come gli economisti americani non abbiano notato che il prezzo dell’oro, dell’argento, delle azioni e delle obbligazioni emesse negli Stati Uniti non abbiano nessun rapporto con la realtà economica del paese. L’incompatibilità tra mercati e realtà economica non disturba, comunque, né i politici né gli economisti, che fanno solo gli interessi del governo e dei gruppi di interesse loro alleati». Il risultato? «E’ un’economia ridotta a un castello di carte», gestita da personaggi che «dovrebbero stare in galera, anziché al governo».

lunedì 1 dicembre 2014

Crolla il prezzo del petrolio, l’Arabia Saudita lancia la sua nuova guerra

L’Arabia Saudita è scesa in guerra con l’ultima arma che le è rimasta, dopo che ha fallito nei suoi scopi con fiumi di denaro, montagne d’armi ed eserciti di tagliagole.
Il prezzo del petrolio è crollato del 35% dal giugno scorso, allora era di 115 $ al barile, ora, dopo l’ultima riunione dell’Opec di giovedì 27 che ha mantenuta invariata la produzione, è sceso a 71 $.

In un mondo ancora in crisi, con una domanda di energia che langue e sempre nuovi pozzi che vengono attivati sotto la spinta di prezzi che erano alle stelle, Riyadh da mesi spinge al ribasso le quotazioni, rifiutando di ridurre l’estrazione. La sua non è una politica suicida, ma una lucida scelta per mettere in crisi i suoi nemici e i loro alleati, riaffermando il potere della sua arma strategica.

Il petrolio saudita, e del Golfo in genere, è quello che ha i più bassi costi d’estrazione al mondo; schiacciando in basso le quotazioni, l’Arabia perde valanghe di denaro ma in primo luogo mette fuori mercato lo shale oil americano (e scoraggia altri Stati a provarci); è stata questa la scusa ufficiale con cui ha respinto le richieste di Venezuela, Nigeria ed Iran di tagliare le produzioni per mantenere alti i prezzi; in realtà è stato un brutale messaggio di potere alle lobby che stavano pensando di poter fare a meno di lei. Lo shale, infatti, comincia ad aver margini di utile a partire dai 70 $ al barile, e ora rischia di mandare in rovina gli investitori che vi hanno scommesso, in genere nuove compagnie fortemente appoggiate dall’Amministrazione Obama ed avversate dalle vecchie Major del mercato tradizionale, che rimangono le prime alleate del Golfo.

D’altronde, in un mondo che ha sovrabbondanza di greggio, per chi tagliasse l’estrazione in un cartello dei produttori infranto, significherebbe solo perdere quote di mercato.

Con il petrolio al livello più basso dal 2010, sono colpite duramente le economie di Russia, Venezuela ed Iran; è la russa quella messa più sotto tensione, con il rublo che da giugno ha perso il 27%, indebolito dalla guerra finanziaria e dalle sanzioni orchestrate da Washington; ma anche Venezuela ed Iran sono sotto gli attacchi coordinati che provengono dagli Usa quanto dal Golfo, per colpire chi non si riesce a piegare ai propri fini con l’ultima arma rimasta.

La prossima riunione dell’Opec si terrà a giugno del 2015, per allora molte cose saranno cambiate ed è probabile una ribellione generale contro il Golfo di cui s’avvertono tutte le avvisaglie; ci sono state numerose riunioni di Pesi non Opec (come Russia e Messico) insieme ad altri del cartello che stentano ad accettare ancora una sudditanza fatta sulla loro pelle. Sarà l’ennesimo fronte indotto a saldarsi contro chi s’intestardisce a giocare il tutto per tutto per mantenere il proprio strapotere.